Caro Maninchedda, partito carente su Lingua, Storia ed Università Sarda

Lettera all’On. Paolo Maninchedda sulla politica portata avanti dal partito nella valorizzazione dei temi identitari e territoriali.

Caro Maninchedda,

Essendo Sardegna & Libertà uno degli spazi sardisti privilegiati del dibattito culturale, si impone la necessità di esprimere alcuni dubbi sulla linea perseguita dal partito.
Perché si ha la vaga impressione che oltre la mozione indipendentista presentata in Consiglio Regionale nel 2010, utile a far ripartire il sonnacchioso tema delle riforme istituzionali, poco e nulla venga destinato in termini di attenzione ai temi della Lingua Sarda ma anche della Storia Sarda, che i Sardi continuano ad ignorare. Soprattutto dai luoghi che dovrebbero essere preposti a veicolarne la divulgazione, come le scuole di ogni ordine e grado, non ultime le università.

Come si può pretendere che i Sardi sviluppino attenzione (e possibili investimenti) sul valore aggiunto determinato dalle specialità del territorio se gli stessi abitanti non lo conoscono e quindi non possono valorizzarlo?
Si tratta di temi che portiamo avanti da anni.
Mesi fa abbiamo avuto uno scambio di opinioni, le ragioni del contrasto erano se la storia Sarda si poteva considerare o meno “valore nazionale”. Non è questo il punto, fu probabilmente una discussione sterile, perché la storia non può avere un’attribuzione politica (ed in quest’ottica la pensiamo alla stessa maniera), ma deve avere il semplice obiettivo di essere esposta ai cittadini, affinché siano informati sui fatti che hanno interessato il proprio territorio. Da parte del PSD’AZ, occupato in una amministrazione regionale di maggioranza, in merito di scuola si è parlato di precari, si è parlato di tagli alla scuola pubblica, si è parlato insomma dei problemi comuni a tutta la scuola italiana con riferimento a quelli regionali, ma poco dei problemi relativi a quelli di costruire una scuola veramente Sarda, che oltre alla formazione, alla specializzazione, allo sviluppo della ricerca ed alla competenza, deve associare il suddetto valore aggiunto. Non si può più fare leva solo sulla facoltatività dell’insegnamento della storia Sarda da parte di qualche corso e/o volenteroso docente che tratta la spinosa questione.
Ma quando struttureremo qualche università Sarda sul modello di quella, ad esempio, di Bolzano, o della Pompeu Fabra Catalana? Le nostre università dovrebbero produrre eccellenze Sarde che possano reinvestire nel territorio, non mediocrità italiane che spesso non si occupano dello sviluppo della comunità.
Sul piano della tutela archeologica invece i Riformatori Sardi hanno presentato una proposta relativa alla valorizzazione del patrimonio isolano, ma negli ultimi mesi da parte sardista non si è riscontrata analoga solerzia sulla questione. Più che il (lecito) confronto sulle tesi di storici come Francesco Cesare Casula, probabilmente c’è bisogno di confronti sulle modalità (incluse quelle che riguarderanno la riscrittura dello Statuto Sardo) della sistematica introduzione della storia Sarda nelle scuole e della valorizzazione del nostro complesso archeologico. Come appare inevitabile dover mettere mano ad una capace legge sulla ricerca, che non divenga il solito “parcheggio” per gli inutili “amici degli amici” di questa o quella maggioranza, ma il luogo entro il quale si possono avvicinare delle eccellenze, evitando l’emigrazione dei nostri studenti (nel momento in cui questi non tornano ad investire la propria competenza, anche eventualmente acquisita all’estero). Temi noti a Sardegna & Libertà.

Per quanto riguarda la Lingua Sarda, tra gli ultimi interventi del PSD’AZ vi fu quello di dedicare attenzione alla mancata adozione del nostro idioma da parte del contratto di servizio RAI, ma quanti e quali sono gli interventi proposti e/o messi in campo a sostegno di una politica bilinguista nel territorio?
Tra i vari che hanno tentato a più riprese di tenere attenzione sul tema si segnalano Efisio Planetta ed il membro del PSD’AZ Oliviero Nioi che nel marzo 2010 osservava giustamente che “da sempre quello della lingua sarda è esclusivamente un problema politico e quindi la sua risoluzione potrà avvenire solo per volontà politica. I referendum consultivi e i vari comitati sorti per la tutela e riconoscimento reale della lingua sarda non hanno alcuna utilità senza un autorevole e risolutivo intervento politico.
La ricerca di una standardizzazione è semplicemente un pretesto per non risolvere il problema. Nessun popolo al mondo ha impiegato 60 anni per trovare lo standard di scrittura di una lingua. Se esistesse la volontà di farlo e si agisse in maniera equilibrata il Popolo Sardo avrebbe uno standard condiviso per la scrittura della sua lingua nel tempo massimo di sei mesi.
E’ impensabile pervenire ad uno standard per il Sardo non coinvolgendo nella scelta gli insegnanti, gli esperti di didattica, tutti coloro che da anni operano sul campo dell’insegnamento della lingua sarda e soprattutto i parlanti, cioè il Popolo Sardo, come è avvenuto finora.
Non si può inoltre sperare di arrivare ad una scelta condivisa senza vagliare tutte le proposte che finora sono scaturite dal lavoro dei vari gruppi che da parecchi anni operano a favore dell’uso ufficiale della Lingua Sarda come lingua ufficiale della Sardegna con la stessa dignità della lingua italiana, sancita per legge e rispettata in maniera reale e non subdolamente virtuale come accade ora. Spero che tutti i militanti del Partito Sardo d’Azione capiscano l’importanza della lotta a favore della pari dignità tra la Lingua Sarda e la lingua Italiana […] La diversità linguistica è una ricchezza culturale ed è una delle tante motivazioni che giustificano la lotta per l’Indipendenza e per la sovranità della Sardegna. In linea di massima coloro che osteggiano la pari dignità della Lingua Sarda con la lingua italiana sono gli stessi che sono contrari all’indipendenza della Sardegna”.

Così invece proponeva in materia Michele Pinna, sempre nel marzo 2010:

“Le cose da fare e da fare subito:

- Tra i programmi elettorali delle prossime amministrative, in ogni Comune e in ogni Provincia, ci dovrà essere lo stanziamento, nei bilanci ordinari, di una cifra congrua per finanziare la politica linguistica comunitaria (sportelli linguistici, corsi di formazione e di alfabetizzazione linguistica comunitaria, toponomastica, insegne pubblicitarie, cartelli stradali), per sopperire in maniera autonoma e indipendente agli esigui fondi della 482/99. La politica linguistica non possiamo farcela fare dal Governo e dallo Stato. Dobbiamo uscire dallo stagno del bilinguismo integrazionista per andare nella direzione dell’indipendenza linguistica.

- La Regione dovrà attivare l’Istituto Pedagogico Sardo per la formazione degli insegnanti e per la realizzazione dei materiali didattici necessari. L’Università come la scuola di Stato si sono dimostrate inconcludenti e inaffidabili. Ecceptio cunfirmat regulam.

- L’avvio della fase costituente e la riscrittura del nuovo Statuto dovrà trovare il suo asse strategico nell’inserimento del sardo come lingua primaria dei sardi negli uffici e nelle scuole, unitamente all’indipendenza e all’autogoverno del sistema fiscale. In tal senso i programmi e la campagna elettorale delle prossime amministrative non potranno essere un’occasione da perdere per avere il consenso dei sardi.

- La politica linguistica e la politica fiscale, fermo restando tutto il resto, dovranno costituire la nuova sfida del Sardismo e la nuova stagione della battaglia nazionalitaria-indipendentista”.

Probabilmente l’errore politico più grande che è stato commesso in Sardegna dall’insieme del nazionalismo Sardo è stato quello di far sì che la popolazione non considerasse un problema l’assenza di un vero bilinguismo. Ragion per cui oggi la Lingua Sarda non è un tema sentito come prioritario e praticamente assente in qualsiasi campagna elettorale, ma ciò non significa che non vi sia un problema di discriminazione a cui tanti Sardi si approcciano con imbarazzo nella loro vita pubblica.
Si tratta di una di quelle vertenze che nella storia richiedono un carattere impositivo, serve uno slancio autoritario. Diversamente, relegando la Lingua Sarda a mera appendice di corredo della nostra politica, saranno gli eventi negativi ad imporsi contro la sopravvivenza del nostro idioma, e noi saremo corresponsabili di questo genocidio linguistico.
In sintesi, dobbiamo guardarci dal rischio di cadere esclusivamente in una visione economicista ed ordinaria della Pubblica Amministrazione, elemento che ha sempre contraddistinto la perdita di credibilità di un partito che si definisce “territoriale”, ma che spesso da l’impressione di svolgere la stessa identica mission della partitocrazia centralista. Non foss’altro perché i temi della lingua e della storia Sarda sono anch’essi ragguardevoli sul piano economico oltre che su quello identitario.
Il “Partidu Sardu” dunque dovrebbe fare il partidu Sardu ed occuparsi di “sardizzare” il dibattito politico, piuttosto che farsi “italianizzare” a sua volta, perché non ci serve l’ennesimo partito italiano o “demosardista”. Di inflazione politica al riguardo ne abbiamo a sufficienza.

Grazie per l’attenzione.

Bomboi Adriano.

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