Prospettive per la Sardegna? Un nuovo indipendentismo

Prospettive per la Sardegna? Un nuovo indipendentismo.

Gianni Carboni (Sardegna in prospettiva) intervista Carlo Sanna ed emerge un nuovo affresco indipendentista: l’autodeterminazione come stimolo di responsabilità e riforme per uscire da un paese imbalsamato e prossimo al declino, l’Italia.

Ringrazio Carboni e Sanna per la citazione, oggi il libro “Problemi economico-finanziari della Sardegna”, che ha archiviato la linea del ribellismo e del vittimismo in favore di quella della razionalità e dell’analisi, sta circolando anche presso vari imprenditori sardi, ben oltre l’ambiente sardista e indipendentista. È un fatto nuovo nella storia dell’Autonomia su cui riflettere.

Ma ecco alcuni appunti sull’intervista di gennaio.

Adriano Bomboi.

Alle scorse elezioni regionali sono emersi dei fatti molto chiari: il sardismo, complice l’ondata leghista, ha conquistato nuovamente la guida della Regione, mentre tutte le altre forze indipendentiste sono state spazzate via. Incapaci di proporsi come credibile forza di governo, anche in ragione della loro palese distanza da una qualsiasi base elettorale. Tolto il sardismo, le cui capacità riformistiche al momento non paiono particolarmente brillanti, l’indipendentismo tout court non ha interlocutori di peso nella società sarda, men che meno nel suo tessuto economico. Ma che deve fare l’indipendentismo, sardista e non, per superare i canoni del passato?

In un futuro in cui buona parte del lavoro riguarderà professioni in cui la conoscenza e l’innovazione saranno fattori determinanti di reddività, l’isola non sembra in grado di uscire da una spirale che continua a proporre l’esatto opposto. Pensiamo alla romantica retorica del “rilancio dell’agricoltura e dell’allevamento”, importanti ma interamente assistite, e non particolarmente pesanti nei numeri del PIL regionale.

A questo riguardo, nell’intervista dello scorso 14 gennaio, Gianni Carboni ha sottolineato la necessità di investire maggiormente in conoscenza e nuove tecnologie, cosa su cui tutti concordiamo. Consentitemi però di frenare gli entusiasmi. Come spiegato nel libro, non tutti potremo diventare una nuova Silicon Valley. Nel settore, la Sardegna è stata una piccola avanguardia in Italia nella stagione che parte dalla fondazione del CRS4 e culmina con la nascita di Tiscali. Successivamente si assiste ad un progressivo declino, rimpiazzato solo recentemente da poche ma interessanti start-up.
Cos’è successo?
In Sardegna manca letteralmente un ecosistema in grado di tenere in vita una diffusa competitività del settore: da un lato abbiamo un’istruzione dotata di poche eccellenze, a cui fa da corollario un fisco ed una burocrazia che ostacolano una migliore infrastrutturazione della nostra economia; dall’altro lato, conseguenza del primo, anche nella capacità di attirare nuovi investimenti, abbiamo una scarsa solidità finanziaria per imprese che in questo settore, ormai, sono invece a “capital intensive”. Richiedono cioè ingenti risorse finanziarie che in loco né il pubblico né il privato sono in grado di offrire. Oltre alla necessaria preparazione richiesta dalla componente del lavoro. Questa è la ragione per cui Tiscali, nonostante goda di un fatturato superiore ai 170 milioni di euro, ha perso terreno rispetto alla concorrenza, e per la quale non sarà facile assistere alla nascita di qualche altro big locale.

Questo ragionamento mi porta ad un appunto mosso da Carboni, secondo cui, se questo nuovo indipendentismo è in grado di offrire una buona analisi dei problemi, non lo sarebbe altrettanto sul piano delle soluzioni.

Penso che per l’indipendentismo oggi la sfida consista nell’offrire un approccio realista ai problemi del presente. Ad esempio, nell’intervista, come nel mio libro, finalmente Sanna da voce ai pochi indipendentisti che non ignorano il peso del negativo residuo fiscale della Regione.
Sappiamo che non esistono ricette magiche per raggiungere l’Eden, esiste solo la fatica e la responsabilità delle riforme da compiere che, passo dopo passo, possono consentire al territorio di trovare una propria strada allo sviluppo (una strada in cui comunque anche l’accrescimento del capitale umano, del sapere e delle nuove tecnologie, dovranno o potranno avere un ruolo).
Ma non possiamo pianificare tutto a tavolino.

A differenza dei partiti italiani, ma anche di ciò che pensano tanti confusi e chiassosi leader indipendentisti, non dobbiamo realizzare alcun “business plan” per l’isola.
Il nostro compito consiste semplicemente nel promuovere la sistematica eliminazione di tutti gli intoppi che oggi si frappongono fra lo spirito imprenditoriale e la capacità di concretizzare le azioni di questo spirito.

Perché solo dalla riduzione dell’assistenzialismo e dell’interventismo pubblico avremo la possibilità di ottenere una spontanea crescita della nostra economia. Questa è anche la differenza fondamentale che separa un approccio politico di natura socialista da uno nuovo di natura liberale.
Eppure, non si tratterà di uno scontato automatismo. Questo lavoro implica il contrasto al barocchismo burocratico e al bizantinismo clientelare della politica che lo alimenta, per una necessaria trasparenza ed efficienza delle istituzioni, affinché non gravino su cittadini e imprese. Ed anche la necessità di comprendere che parte di questo contrasto sarà possibile attuarlo solamente limitando il centralismo statale, a vantaggio dello sviluppo di maggiore sovranità locale. Non una sovranità in cui i diritti prevalgano sui doveri, ma, al contrario, dei doveri sui diritti. O, come nel presente, finiremmo per abusare a suon di spesa pubblica del nostro piccolo spazio di autonomia.

La cultura, richiamata da Carlo Sanna nell’intervista, è dunque un tassello importante di questo percorso. Perché non dobbiamo scordarci, come ho sempre sottolineato, che lo sviluppo, come un’ipotetica indipendenza, non è un salto repentino da una condizione a un’altra, ma un processo. Un processo che potrebbe durare anche oltre la nostra esistenza, o non concludersi mai.

Invece, gli aspetti in cui indugio di meno rispetto a Sanna riguardano l’enfasi per la storia passata dell’isola (comunque importante e da valorizzare, rispetto al nazionalismo italiano presente nell’ideologia e nella didattica delle nostre scuole); o la partecipazione ad organizzazioni, come l’ANS, meritevoli ma ancora eccessivamente parziali rispetto a questa linea.

Servirà un nuovo partito al riguardo o una riforma del sardismo? È presto per dirlo.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE

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