Una replica a Mario Garzia sul futuro federale dell’Europa, ed ecco il lavoro Melis-Nonne

Premessa:

Doveva essere una estate tranquilla, con altri membri di U Erre Enne occupati al lavoro o in pausa estiva, ma con le elezioni alle porte, i dibattiti e le terminologie che impazzano da un punto all’altro del web, è giusto proseguire nel contributo alla discussione, il vero sale della democrazia. Così mi sono preso la briga di intervenire in un dibattito che potrà essere utile ai lettori per comprendere il futuro delle nostre istituzioni e il senso del nostro agire politico nel presente. Un dibattito a cui recentemente si è aggiunta anche l’associazione Casa Sardegna di Paolo Biancu.
Uno dei temi essenziali oggi è racchiuso nel quesito: quale Europa vogliamo? Interessanti a questo riguardo le riflessioni di Giuseppe Melis e Andrea Nonne, mentre Mario Garzia, nella sua replica ad una mia sintesi sulla terminologia oggi in uso in Sardegna nella galassia dell’autonomismo e dell’indipendentismo, ha sollevato alcune considerazioni, tra cui il superamento della nazione come elemento di formazione dello Stato. Ma sarà proprio così? Mi ero già espresso per altri versi su un tema analogo (“Ma quale Europa vogliamo?” – Sa Natzione, 01-06-13), torno quindi su alcuni punti mossi da Garzia con la seguente replica:

La nazione non farà più lo Stato?

Nel breve dizionario (che tra l’altro costituisce una sezione del glossario di un testo a cui sto lavorando), ovviamente ho teso a semplificare le terminologie e senza appesantire il lettore di note bibliografiche dalle fonti storiche, sociologiche, politologiche e del diritto da cui ho attinto per creare una sintesi (per quelle infatti ci sarà il libro). Bisogna tuttavia segnalare alcuni aspetti: non sono affatto sicuro che esista questa crisi dello Stato-nazione nel quadro del suo rapporto con istituzioni sovranazionali più ampie, esiste casomai all’opposto. La crisi dello Stato-nazionale non deriva tanto dalla cessione di sovranità verso un organismo più alto (anche perché quell’organismo più alto è disegnato dai maggiori Stati UE e dai loro interessi e scapito dei partner minori). La vera crisi si sta determinando proprio perché lo Stato-nazione, artificialmente edificato nell’800, sta facendo emergere – con la sua negazione dei diritti economici e culturali – tutte quelle minoranze che a loro volta intendono proiettarsi verso un nuovo Stato-nazione per tutelare direttamente e non in forma delegata i propri interessi. Pensiamo alla rivolta dei comuneros del 1520, quando Carlo V° d’Asburgo trasferì la sua sede a Bruxelles e venne contestato dai castigliani per la sua lontana e vorace pressione fiscale. In questi termini, se avvenisse una piena automazione delle minoranze e se proseguisse la loro collaborazione internazionale-istituzionale, non si potrebbe parlare, in prospettiva, di “Stato federale europeo” ma a limite di “Federazione di Stati europei”, e c’è una bella differenza. Il ’700 è stata una delle culle del repubblicanesimo moderno, all’epoca i giuristi guardavano al sistema elvetico ed agli Stati Uniti d’America come modelli di riferimento, e proprio con quell’accezione di nazione di cui hai parlato (multiculturale, ecc), diversa da quella italiana nata un secolo dopo. Eppure, nella realtà, il modello USA (come pure il costituzionalismo italiano), dietro la retorica, ha sempre fatto carne di porco delle minoranze, dando protagonismo al gruppo linguistico prevalente (nella burocrazia, nella pubblica istruzione, ecc). A Washington solo nel XXI° secolo un nero è diventato Presidente. Forse il futuro non consiste nel miscelare all’interno di una sola istituzione le varie culture dandogli legittimità giuridica (sarebbe una variante del patriottismo costituzionale di Habermas), ma far si che queste abbiano proprie indipendenti istituzioni, e toccherà poi a loro stabilire se federarsi o meno con altre (è il principio dell’elvetizzazione di cui parlavo nell’intervento sull’Europa, e sollevato negli anni 2000 da autori come Hoppe). In questi termini la nazione come fondamento della statualità rimarrebbe valida.

Le “monarchie federali” sono più virtuose delle repubbliche nei confronti delle minoranze?

Per quanto riguarda il federalismo, introduco il tema delle “monarchie federali”, partendo dall’assunto che se ogni forma di condivisione del potere è qualificabile come federalista, anche il regionalismo italiano nel suo piccolo lo è, malgrado, appunto, più retorica che pratica, proprio perché impostata sulla verticalizzazione della sovranità. Il Regno Unito una Costituzione non ce l’ha neppure, ciò nonostante ha un livello di riconoscimento delle minoranze nazionali (e della loro automazione amministrativa) ben superiore rispetto a quelle sottoposte alla forma repubblicana dello Stato-nazione ottocentesco. Questo è un retaggio storico, in quanto le monarchie tendevano ad assumere il controllo di Regni multietnici non direttamente connessi al concetto di jus sanguinis che attualmente contraddistingue l’assegnazione della cittadinanza in molte repubbliche contemporanee (pensiamo agli Hannover tedeschi instauratisi nel trono britannico da Giorgio I° in poi). Non a caso in tutte le realtà europee in cui sono sopravvissute istituzioni post-monarchiche, o ancora monarchiche, le minoranze hanno maggiori spazi di manovra e riconoscimento rispetto alle repubbliche (che invece hanno attinto parte della loro concettualità unitarista dal nazionalismo romantico di Herder e dal centralismo burocratico francese). Lo si è visto con la dissoluzione dei domini asburgici (pensiamo all’Ungheria, ma anche alla Repubblica Ceca, ecc.), alla Polonia, in alcuni territori dell’ex Prussia (la Slesia nei prossimi anni ci riserverà molto sorprese), ma anche nel modello Westminster, in Spagna, ecc. Prima ancora che nascesse lo Stato contemporaneo, le istituzioni di età moderna, anche se a posteriori definibili sovranazionali, iniziarono ad identificarsi con la cultura, la lingua e gli interessi locali.
Non a caso, finita l’epoca di Carlo V°, il successore Filippo II° abbandonò Bruxelles per trasferire il centro dell’amministrazione nella penisola iberica, mentre il secondo ramo del casato ottenne la corona del Sacro Romano Impero dei territori a prevalente lingua tedesca (Ferdinando I°).
Dunque, sulla tua affermazione (“Questo Stato federale garantirà alla Sardegna un grado di sovranità di gran lunga superiore a quello previsto (e non applicato) dall’attuale Autonomia regionale, ma comunque inferiore alla “sovranità” di cui hanno goduto gli Stati membri della UE fino ad oggi”), potrei trovare condivisibile la prima parte ma non necessariamente la seconda, perché non ne siamo sicuri, e teoricamente anche la simpatica manifestazione di “Gaddura nazioni” che citi nel tuo intervento potrebbe diventare legittima, per quanto oggi possa sembrarci astrusa.
Esiste già in realtà un modello nazionale ed istituzionale del genere, si tratta del Lesotho, è una enclave all’interno della Repubblica del Sudafrica, parte del Commonwealth delle nazioni, strutturata come monarchia parlamentare. E come noto, nella geografia politica il termine “enclave” ha sviluppato anche una sua caratterizzazione linguistica, che risulta persino distinta sul piano politico rispetto alle istituzioni che la circondano (ad esempio l’etnia Basotho è maggiormente diffusa nel territorio repubblicano circostante piuttosto che in quello regio di riferimento, su cui invece insiste la propulsione a tenere istituzioni indipendenti).

Adriano Bomboi, 23-07-13.

Replica a Mario Garzia sul nazionalismo – Parte seconda.

Caro Mario, ho letto tutti i passaggi del tuo nuovo intervento e spero di averne colto il senso, in particolar modo sulla tua lettura del nazionalismo, che mi pare viziata da una lettura ideologica piuttosto che politologica del termine.
Penso che il rischio di cui parli sia da intendersi solamente nella declinazione sciovinista del nazionalismo (che non è necessariamente connessa alla crisi economica, e la storia della Serbia parla da sola). Ma se l’etnonazionalismo avvezzo allo jus sanguinis può generare tendenze esclusiviste, il nazionalismo civico avvezzo allo jus soli è di natura integrativa e progressista (ad esempio ci sono nazioni la cui alterità culturale ed istituzionale non deriva strettamente dalla lingua), eppure sempre di nazionalismo si tratta. Teoricamente potrebbe anche esistere la nazione dei magri, la nazione degli obesi e la nazione degli uomini pelosi. Mi rifaccio al pensiero di Ludwig Von Mises, se la porzione di un territorio in cui è stanziata una comunità ritiene di avere elementi per automatizzarsi rispetto al suo centro istituzionale (siano essi fondati o artificiosi), ha il diritto di proseguire nel suo intento. Prendi il caso della Padania, sappiamo tutti che ha origini artificiose, eppure, se per ipotesi domani tutto il nord Italia si svegliasse padano, che diritto avrebbero gli altri italiani a trattenerli dentro lo Stato? Forse la nazione italiana ha più fondamento? O perché la Costituzione parla di inseparabilità? Ma le costituzioni dovrebbero rappresentare la realtà corrente e le sue mutazioni, non il passato. Gli USA rientrano a pieno titolo nel discorso, perché quando gli Stati sudisti ritennero di non voler più far parte dell’Unione, gli Stati nordisti ingaggiarono una guerra per tenerli all’interno (1861-1865). C’è tutta una letteratura che da qualche secolo a questa parte ha teso a riportare l’individuo al centro dell’azione politica piuttosto che come anonimo spettatore di una forza istituzionale che agisce per conto di una collettività (pensiamo a Benjamin Constant o Mandeville). La domanda è: che diritto ha una maggioranza di imporre la sua volontà ad una minoranza? Potrebbe anche esistere la nazione LGBT, ma ciò non significa poi che persone di tale comunità non possano trovare spazi anche in terzi nazionalismi. A loro volta tali nazionalismi potrebbero puntare a fare degli Stati, oppure federarsi. Perché no? Può esistere anche la nazione delle nazioni, in cui troverebbero spazio le identità multiple. Non ci sono limiti. Potremmo considerare i loro membri dei folli, ma se esiste un gruppo multietnico di persone che vuole vivere secondo leggi fatte su misura dovrebbero avere il diritto di farle, senza che gli siano imposte da terzi. E’ chiaro che quest’ultima variante della visione del proprio rapporto con la collettività e del territorio si pone oltre il classico concetto di popolo a cui siamo abituati. Il nazionalismo è un sentimento, e come ogni espressione dell’uomo si presta ad infinite interpretazioni e variabili, tanto pacifiche quanto radicali. Ma dire che sia al termine del suo percorso storico mi pare improprio, soprattutto alla luce di teorie come quelle di Anthony D. Smith che retrodatano persino le origini delle nazioni rispetto alle varie forme istituzionali moderne.

Sulla tua frase:

“intanto cominciamo col dire che la crisi dello Stato-nazione deriva esclusivamente dalla forte accelerazione del processo di globalizzazione dell’economia. Le spinte localistiche sono un effetto di questa crisi, non la causa.”

Io non ho detto il contrario, ma le spinte localistiche non derivano sempre da ragioni economiche ma anche culturali (basti osservare l’ideologia dell’indipendentismo algerino degli anni ’60, o il panarabismo del Ba’th). C’è caso e caso, non bisogna generalizzare, ma tendenzialmente – e non significa quindi tutti i casi – interessi culturali ed economici finiscono per convergere.

Ancora sul tuo ragionamento:

“infine, è bene evidenziare che lo Stato-nazione ottocentesco non esiste più. Esiste una sua evoluzione rappresentata da uno Stato che già oggi è di gran lunga basato più sulla costituzione che non sulla nazione.”

Se osserviamo il caso italiano si ripropone il problema di cui parlavo nell’intervento precedente: è vero che di fatto non esiste più la forza mitologica risorgimentale (sebbene ancora presente), ma nei fatti anche il modello costituzionale corrente è tarato sulla stessa dimensione ideologica. Ne trattai ad esempio nella comparazione fra la Costituzione Italiana e quella Elvetica (Sa Natzione, 01-09-12). I diritti delle minoranze sono semplicemente esposti, ma che siano applicabili ed applicati è tutto un altro paio di maniche. Nei fatti lo Stato Italiano continua a promuovere lo stesso modello ottocentesco (una lingua, una nazione, uno Stato). Poi bisognerà vedere come si evolverà la situazione. Ma non escludo qualsiasi opzione. Sugli USA indirettamente mi dai ragione, la Costituzione sarà pure repubblicana, ma hai mai visto un presidente ispanofono sinora? E’ vero infatti che talvolta le minoranze controllano le maggioranze (pensiamo al Sud Africa prima di Nelson Mandela).

Il fatto che nella prima età moderna le istituzioni non fossero tarate sulla concezione della nazione così come la intendiamo oggi non significa che determinate popolazioni fossero esenti da analoghi problemi di esclusivismo o persecuzione visti in età contemporanea (pensiamo alla storia degli ebrei d’Europa nel corso dei secoli).

In conclusione, ciò che voglio dire è che nel futuro non ci sono necessariamente Stati per ogni singola identità esistente (e che nell’individuo infatti spesso è multipla), ma dovremo inevitabilmente rassegnarci a forme statuali sempre più piccole a seconda delle esigenze storiche, linguistiche, economiche e culturali varie che di volta in volta si sovrapporranno e muteranno, e per le quali non sarà sicuramente più sufficiente una istituzione multiculturale per assicurare i diritti di tutti.

Adriano Bomboi, 24-07-13.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Natzionalistas Sardos

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    4 Commenti

    • IL NAZIONALISMO È COME LA NITROGLICERINA – UNA RISPOSTA ALLA REPLICA DI ADRIANO BOMBOI: http://www.cagliarifornia.eu/2013/07/il-nazionalismo-e-come-la.html

    • Pagina integrata con replica.

    • Adriano, anche per il prolungamento del tuo intervento vale perfettamente lo stesso rilievo: la visione nazionalista è sempre troppo appiattita sul passato e sulla Storia, piuttosto che orientata verso una visione dell’oggi in prospettiva futura.

      E aggiungo anche appiattita sulla teoria e sulle dottrine politiche e filosofiche. Teoricamente può essere tutto, è chiaro. Ma siccome, come hai detto ottimamente tu, «il nazionalismo è un sentimento», come tutti i singoli sentimenti che si estrinsecano nella realtà (con la quale bisogna sempre fare i conti), non è categorizzabile se non esclusivamente a fini accademici e didattici.

      Non esiste la «declinazione» civica, etnica o sciovinistica dell’amore. Esiste l’amore che ha più o meno gradi di intensità a seconda delle persone, dei contesti e delle circostanze. E soprattutto, quando si estrinseca nella realtà, come tutti i sentimenti non è razionalizzabile, né statico, cristallizzato, definitivamente dato. Questo vale per tutti i sentimenti, nazionalismo compreso.

      E non c’è nulla di meno ideologico dei sentimenti, per cui temo che sia tu ad avere una visione ideologica del nazionalismo, tutta fatta di categorizzazioni teoriche e distinzioni dottrinali.

      Non puoi sapere che piega prenderà nel tempo il nazionalismo una volta alimentato. Il nazionalismo non è un esperimento controllato di laboratorio che possiamo indirizzare a nostro piacimento. Il nazionalismo è sempre un esperimento sfuggito di mano. Prova a calmare una folla inferocita cercando di spiegare la distinzione tra etnonazionalismo e nazionalismo civico…

      Chiudo con un aneddoto, che forse conoscerai già, del filosofo milanese Giulio Giorello. Aneddoto tanto divertente quanto illuminante:

      “In viaggio nell’Irlanda del Nord, Giulio Giorello, giunto a sera in una cittadina di campagna, chiese ospitalità per la notte a una famiglia. Subito scattò la domanda: «Cattolico o protestante?». «Per trarmi d’impiccio, risposi: Ateo!». Un attimo di silenzio perplesso, poi, un’altra domanda: «Sì, ma ateo cattolico o ateo protestante?»”.

      http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2011-03-27/atei-statura-televisivi-liquidi-082225_PRN.shtml

    • Non comprendo perché secondo te il nazionalismo dovrebbe per forza assumere qualche declinazione negativa, anche questa è una impostazione dogmatica (su cui sono cascati anche tanti noti intellettuali, e alcuni per la verità organici all’ideologia dello Stato-nazione ottocentesco, per difendere l’esistente). Prendi il caso scozzese. Però da che mondo e mondo, l’ideologia derivante da interessi economici e culturali (o entrambe le cose assieme), ha contribuito all’edificazione della statualità. E verosimilmente anche nel futuro sarà così.

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