Indipendenza? Il PSD’AZ e i tempi che furono

Correva il 2008, su invito dell’allora sardista Paolo Maninchedda partecipai col gruppo culturale che avevo fondato, U.R.N. Sardinnya, all’assemblea regionale del Partito Sardo d’Azione tenutasi a Macomer. All’epoca il partito era libero dall’ipoteca salvinista ed era possibile avanzare proposte più innovative del presente.

Il tema della giornata?

Modernizzare l’idea di “indipendentismo sardo”, ospiti Eva Klotz (Sudtiroler Freiheit) e Fabrizio Comencini (Liga Veneta Repubblica – ALE/EFA), affinché l’isola divenisse in grado di affrontare le sfide socio-economiche del periodo, senza rinunciare alle riforme per una conquista graduale della sovranità.

Scrissi un testo, esposto alla platea dal nostro Daniele e trasmesso anche da Radio Macomer Centrale, che a 14 anni di distanza, tra romanticismi e ingenuità giovanile, appare ancora di grande attualità, e che vorrei riassumervi.

Il discorso rappresentava una sintesi tra alcuni temi dello storico bagaglio culturale sardista, e diverse novità provenienti dalla cultura liberale, che in Sardegna non andavano (e non vanno) esattamente di moda. Tenete conto che il gruppo U Erre Enne nacque nel 2005 con l’obiettivo di svecchiare, più che il solo PSD’AZ, l’intero indipendentismo sardo, disarticolandolo dall’egemonia della sinistra radicale, per comprendere meglio le ragioni del sottosviluppo locale, e spingere la politica ad adottare le soluzioni più idonee al nostro contesto. Per questo, più che il discorso fine a se stesso, è interessante spiegare i contenuti che motivarono quel breve discorso.

L’architrave del testo riguardava l’assunzione della responsabilità: bisognava uscire dalla tendenza retorica di scaricare tutti i mali dell’isola a cause esterne (lo Stato, l’Europa, presunti complotti governativi, il “capitalismo”, ecc.). I sardi erano e sono corresponsabili del proprio declino, nella misura in cui hanno preferito delegare le scelte per lo sviluppo a Roma, mendicando assistenza e assumendo una politica “vittimistica” nei riguardi delle autorità centrali.
Un comodo escamotage per non lavorare seriamente e direttamente alla crescita.

Notate bene, il PSD’AZ proseguirà purtroppo in questa linea anche nel presente. Supportando la dannosa iniziativa della “insularità in costituzione”. Uno strumento retorico con cui l’intera classe politica sarda, di destra e sinistra, troverà sempre giustificazioni per scaricare ogni deficit sullo Stato centrale, pretendendo solo diritti e zero doveri.

Il discorso proseguiva inevitabilmente su un argomento molto caro ai sardisti storici, e su cui avevano già lavorato, ossia la necessità di riformare lo Statuto regionale per incrementare la quota di sovranità della nostra Autonomia.
Ma attenzione, non spiegammo il perché: dal nostro punto di vista, la richiesta di accrescimento dei poteri autonomistici non costituiva una devolution fine a se stessa di alcuni poteri dallo Stato centrale alla Regione, né una mera rivalsa nazionalistica verso la penisola. L’obiettivo verteva non solo sulla capacità di ridurre il fisco (per attirare investimenti e know-how), ma anche sul dovere di responsabilizzare la politica locale nell’uso della spesa pubblica. Ciò al fine di ridurre i trasferimenti da parte dello Stato centrale (e dunque in prospettiva per limare il negativo residuo fiscale tra l’isola e le altre Regioni più ricche).
Ancora oggi nel 2022 una consistente fetta dell’indipendentismo non riconosce neppure l’esistenza di un residuo fiscale negativo, e non presta il dovuto peso all’argomento come elemento su cui basare un programma politico. Men che meno il sardismo, che tratta semmai questo argomento come giustificazione per chiedere più risorse allo Stato con cui spera maldestramente di coprire i ritardi allo sviluppo.

Il veneto Comencini mi disse poi in privato che ammirava la lingua sarda poiché costituiva pure un formidabile strumento nazionale con cui tenere viva una coesione sociale al riguardo. E dunque a mio avviso utile anche ad accompagnare le nostre istanze politiche, ma noi sardi non abbiamo mai voluto seriamente sviluppare questa peculiarità.

Non a caso nel discorso si menzionava anche la necessità di valorizzare al meglio la lingua sarda, sottraendola dalla marginalità sociale in cui era relegata. E si poneva l’accento, tra i vari temi, su altri due fondamentali argomenti con cui affrontare i ritardi allo sviluppo: la scuola e la burocrazia.

Senza un’adeguata formazione culturale e professionale non sarà mai possibile sviluppare un capitale umano capace di investire su una politica riformistica, più coraggiosa, che porti i sardi a credere nelle proprie potenzialità di crescita, abbandonando la tendenza al vittimismo. Un vittimismo che ci porta a ricorrere spesso all’assistenzialismo come “soluzione” che in realtà non aiuta la nostra competitività, ma la deprime. Si tratta di una variante del velenoso “keynesismo all’italiana”.

In quanto alla burocrazia, il senso del nostro intervento verteva sulla necessità di affrontare tanto la capacità di rispondere celermente a cittadini e imprese, quanto la necessità di accrescerne la trasparenza. In senso “elvetico”, per ridurre alla politica gli spazi con cui esercitare opache manovre clientelari a spese dei contribuenti.

In conclusione, come ogni assemblea preelettorale sardista che si rispetti, il discorso prese parecchi applausi e ovviamente nessuno ebbe la minima intenzione di concretizzare tali concetti.

Ma questa è proprio la storia del PSD’AZ, non abbiamo inventato nulla. Lo disse lo stesso Camillo Bellieni.
Perché ad ogni altisonante discorso accompagnato da calorose strette di mano, seguono grigie legislature in cui il partito abbandona ogni ideale riformista e si occupa esclusivamente di ordinaria amministrazione. Esattamente come qualsiasi altra forza politica italiana, dove l’obiettivo segue le stesse logiche della cultura politica libanese: tirare a campare e rimandare la soluzione dei problemi ad un indefinito domani, nella vana speranza che si risolvano da soli. Infine, mentre ci si occupa del proprio potere, si attende l’ennesimo altisonante discorso a cui fare un applauso.

O almeno, speriamo che presto o tardi questo circolo vizioso venga interrotto.

Adriano Bomboi.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE

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