Quegli indipendentisti all’ombra del XXXIII° congresso sardista

Di Adriano Bomboi.

Non può che riempire il cuore di gioia vedere così tante persone alla scuola di formazione indipendentista tenutasi a Torre Grande grazie a ProgReS, un evento contemporaneo al XXXIII° congresso del Partito Sardo d’Azione tenutosi ad Arborea.

Eppure, il bilancio non è brillante. La variegata leadership indipendentista appare contrassegnata dal classico immobilismo che si denota nella formula già anticipata da qualche anno a questa parte: “collaborare sì, ma no al partito unico”. Come se sigle dai programmi identici abbiano una qualche ragione per differenziarsi dalle altre o puntare ad un diverso bacino elettorale. Infatti la traduzione pratica dei loro intenti consiste nel proseguire tutti in ordine sparso per poi, se capita, tentare improbabili cartelli elettorali dell’ultim’ora, privi di seguito popolare.

Circa dieci anni fa questa miopia politica ha spinto i sardisti verso una rinnovata tradizione di alleanze coi partiti italiani, ottenendo alcuni posti di governo, mentre il restante panorama indipendentista si è chiuso in un settarismo ideologico e personalistico che ancora oggi lo tiene ai margini dell’amministrazione regionale. Entrambe le strategie non hanno portato ad alcuna riforma delle istituzioni sarde in un’epoca in cui il governo italiano procede nello smantellare i poteri delle autonomie locali, in controtendenza ad un’Europa che grazie a Scozia e Catalogna sarà sempre più federale.

Bisogna considerare che il motivo per il quale l’indipendentismo sardo rimane avvitato su sé stesso non riguarda unicamente la scelta di allearsi o meno con partiti italiani, né se fare un partito “unico” (o meglio, se ridurre a due o tre sigle questo panorama politico). La verità è che al di là delle tematiche inerenti le servitù militari e la contestazione ad un eventuale deposito sardo di scorie nucleari, i sardi non hanno mai sentito alcun leader indipendentista esprimersi in merito al riordino della sanità; in merito alla fiscalità ed alla burocrazia che sta falcidiando le partite IVA; e neppure in merito al riordino degli enti locali, né sui trasporti o sulla crisi commerciale del gruppo Sigma, o su credibili proposte inerenti Abbanoa, IMU, metanodotto da Piombino, trasparenza, lingua e/o appalti per lo smaltimento differenziato dei rifiuti solidi urbani.
In buona sostanza, l’indipendentismo non fa politica. E quando non si ha una posizione su nulla, a partire dai Comuni, non si può pretendere di avere neppure un voto di opinione.

Nessuno ha riconosciuto le proprie responsabilità per l’incompetenza manifestata di fronte alle leggi elettorali, e nessuno ha avuto il coraggio di sostenere con forza delle Primarie come strumento per selezionare programmi, credibilità e risultati degli eventuali candidati di una coalizione indipendentista.

In casa sardista la situazione è ancor più complessa, perché oltre ad alcuni problemi sopra esposti abbiamo luci ed ombre. La nuova presidenza di Giovanni Columbu dovrà garantire l’unità sardista, infatti il partito è apparso diviso tra “colombiani” e sostenitori del presidente uscente Giacomo Sanna, questi ultimi oggi minoritari, che si contenderanno la segreteria del partito rimasta vacante. Le tensioni appaiono del tutto ingiustificabili alla luce delle tesi sardiste esposte al congresso, che presentano vari punti in comune. L’aspetto storico da segnalare riguarda l’introduzione del liberalismo nel lessico politico del partito come mai avvenuto prima d’ora. Mentre la tesi di Christian Solinas contesta il mutuo regionale aperto dalla Giunta Pigliaru e la sua formula keynesiana, la tesi di Angelo Carta si apre senza remore ad una rivalutazione del liberalismo sardo in contrapposizione all’italica cultura della spesa pubblica come strumento di amministrazione del territorio, ed a favore della tutela della lingua nazionale sarda. Incisivo su questo versante anche il documento di Giovanni Scanu, che coglie la grande sfida della Sardegna di domani nella necessità di ridurre l’assistenzialismo economico in favore di una maggiore libertà del mercato. Il sardismo inizia così a raccogliere quelli che saranno gli elementi prioritari del dibattito politico per il rilancio del territorio e su cui il think tank di Sa Natzione col sottoscritto ha investito buona parte del suo decennale lavoro di persuasione culturale.

Non sfugge a nessuno tuttavia il problema di un partito pesantemente attraversato da logiche conservatrici, con un bacino di tesserati che supera la media dei quarant’anni di età, e che, al pari delle neonate sigle sovraniste, presenta dinamiche di affiliazione basate sull’estemporaneo interesse dei singoli, magari di natura clientelare, totalmente contrapposte al centenario idealismo variamente espresso dalle tesi sardiste. Ciò nonostante, si deve anche alla federazione sardista gallurese il merito di aver riportato al centro del dibattito la volontà di sviluppare alleanze col solo ambito indipendentista, anteponendolo alla classica strategia di collaborazione con i partiti italiani, ed assegnando al Partito Sardo d’Azione quel ruolo di aggregazione oggi più che mai necessario.

In conclusione, il processo di riforma del nazionalismo sardo, sardista e non, passerà per un aggiornamento dei suoi contenuti programmatici, per una revisione dei suoi quadri dirigenti, e per la capacità di dialogare e confrontarsi. Una capacità che nel bene e nel male, pur tra varie tensioni e scissioni, non è mai venuta meno. Possiamo dunque guardare al futuro con moderato ottimismo.

- Vedere anche la terza tesi congressuale di Alessandro Gervasi, con 100 firmatari (PDF).

- Online anche su Cagliari Globalist, Podimus e Zero online.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE

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