La Nuova: Mi risponde lo storico Manlio Brigaglia, torno sul tema del Pecorino romano

Di Adriano Bomboi.

Dal dibattito sul quotidiano La Nuova Sardegna del 17 ottobre, lo storico Manlio Brigaglia interviene sul mio articolo dal titolo “Come nacque il pecorino romano?”, e scrive:

«Il lettore prova a raccontare che cosa c’era, secondo lui, prima della “invenzione” del Pecorino romano da parte degli imprenditori continentali che vennero, a cavallo dell’anno 1900, a “industrializzare” la piccola, precaria e frammentata attività di singoli pastori, facili da sfruttare perché “pocos” e “mal unidos”. L’unico tentativo di creare una cooperativa fra sardi verso il 1897 fallì dopo pochi mesi: la prima vera cooperativa fu fondata a Bortigali nel 1907, quando però i “colonizzatori” continentali avevano già messo in piedi una prima rete di caseifici.
Non sempre le colpe sono degli altri».

Caro Brigaglia,

Sulle origini del “brand” del Pecorino romano, sorto grazie ad imprenditori continentali piuttosto che sardi, come noto, venne reso possibile, non solo dalla frammentazione nel campo della locale cooperazione aziendale, ma anche da gravi responsabilità politiche: nell’Ottocento, la chiusura degli istituti di credito sardi in conseguenza del crollo dell’export locale verso la Francia, causata dal protezionismo e dal fiscalismo italiano, tagliò al territorio quella necessaria liquidità finanziaria che, in linea teorica, avrebbe potuto consentire ai neo-imprenditori sardi di sviluppare una propria filiera agroalimentare, tutt’altro che “piccola” e “precaria”. Infatti la storia economica dell’isola dimostra che l’eccedenza di produzione rimasta invenduta portò al crollo dei prezzi della materia prima, attraendo capitali che in loco non erano più disponibili, con investitori (o magari speculatori) continentali. Dunque i caseari laziali non arrivarono solo per “insegnare” ai sardi come produrre, ma perché erano state politicamente poste le condizioni di mercato affinché ciò avvenisse. In seguito tale imprenditoria orientò il suo flusso commerciale verso il promettente mercato statunitense.
Quali lezioni trarne per il contesto attuale? Senz’ombra di dubbio la necessità di rendere realmente libera la Sardegna, contrastando fisco e burocrazia italiani; valorizzando l’identità culturale delle nostre produzioni, e diversificandone l’offerta commerciale nei vari segmenti di mercato.

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