Si può essere Sardi senza conoscere il Sardo? Una replica a R. Bolognesi

Si può essere Sardi senza conoscere il Sardo? E’ la domanda posta da una lettrice al linguista Roberto Bolognesi, il quale arriva ad una ipotesi negativa, in quanto lo studioso associa l’identità Sarda alla lingua, pervenendo alla conclusione che senza di essa non esiste il concetto di comunità in senso lato. Non condivido questo tipo di impostazione, per i motivi che illustrerò in breve, né condivido l’idea, sostenuta da Bolognesi, che lo scarso senso di coesione nazionale dei Sardi derivi dalla variegata ideologia neo-liberale degli ultimi decenni, che avrebbe “ridotto” la lingua a semplice diritto individuale e non collettivo.
Come noto, per le scienze sociali il tema dell’identità è alquanto complesso. Essenzialmente l’identità matura nel quadro dei rapporti in cui l’individuo è inserito, le caratteristiche di tali rapporti danno luogo ai vari gruppi sociali, fra cui il genere, o ad esempio la nazione. Bisognerebbe poi capire cosa si intende per comunità, in sociologia Ferdinand Tonnies la distingueva dalla società: nella comunità gli individui hanno rapporti diretti e personali (madre-figlio), mentre nella società hanno rapporti impersonali mediati dal mercato e dal quadro giuridico (giudice-imputato). Ma per capire che cosa sia l’identità nazionale e se questa vada di pari passo a quella linguistica è opportuno rivolgersi alla politologia, ad esempio Walker Connor ha adottato una efficace distinzione fra i concetti di etnia e di nazione. La prima è quello spazio nel quale un insieme di individui condivide i medesimi tratti razziali, linguistici e/o culturali. Nella seconda idem, con la differenza che vi è consapevolezza di tali specificità e si può attivare un moto politico in sua difesa (nazionalismo). Entrambe sono concezioni artificiose della realtà, siano esse maturate nel tempo o inventate di sana pianta in un particolare contesto storico (1995). A sua volta il nazionalismo si distingue essenzialmente in etnico e civico: nel primo vi è un largo uso dei tratti caratteristici del gruppo etnico, fra cui la lingua. Nel secondo vi è una spinta motrice anche da coloro i quali non arrivano o non esprimono dei tratti caratteristici dall’etnia ivi stanziata e/o ne rielaborano una completamente nuova. Ad esempio il nazionalismo che portò all’unificazione tedesca nella seconda metà dell’ottocento può essere definito di tipo etnico, poiché basato sul concetto del sangue, della razza in generale e della lingua (come quello catalano attuale), mentre quello statunitense di fine settecento può essere considerato di tipo civico (come quello scozzese attuale, che utilizza politicamente la lingua inglese prima che quella stanziale). Alla domanda quindi se si può essere Sardi senza sapere il Sardo la risposta sarebbe sì, poiché è “sardità” ciò che una determinata comunità identifica come tale, anche in base a semplici presupposti storici e geografici ma non necessariamente linguistici. Per essere più precisi alla domanda dovremmo rispondere: “Etnicamente no, nazionalmente forse”. Non bisogna confondere l’antropologia con la politologia.
Ma attenti a trarre conclusioni affrettate da questo ragionamento.
Se una comunità dispone di una lingua propria, sarebbe un errore capitale rinunciarvi per omologarsi al gruppo linguistico dominante, poiché verrebbero meno una serie di presupposti culturali, cognitivi, sociali e persino economici che una specialità linguistica rappresenta, e che alimenta maggior potere politico in difesa di tali caratteristiche.
Ciò nonostante può esistere un nazionalismo Sardo in lingua italiana, ma senza una capace difesa del proprio idioma territoriale è chiaro che ciò rappresenterebbe una duplicazione della società italiana e non una liberazione di un Popolo Sardo oggi poco autonomo sul piano politico. Attualmente i Sardi sono una comunità etnica formata da diverse identità nazionali, e non sempre la varietà linguistica è il confine capace di perimetrarle. Anche in Sardegna infatti si è formato un indipendentismo in lingua italiana, che se da un lato ha la positiva capacità di attirare a se persino individui dalle identità multiple, dall’altro risulta deficitario nella tutela delle proprie caratteristiche etniche, perdendo di conseguenza le sue caratteristiche culturali, nonché il suo potenziale politico. Eppure non tutte le comunità linguistiche politicamente consapevoli giungono a costruire società diverse, ma plasmano la società in base alle proprie caratteristiche, è il caso della Confederazione Elvetica, dove le diverse identità linguistiche della Svizzera sono giuridicamente codificate in uno status di reciproca e paritaria legittimazione.
Vi sono poi diverse interpretazioni degli studiosi per stabilire se il nazionalismo sorga più per motivi economicistici o culturali, con varie gradazioni fra le due motivazioni. Pensiamo agli studi di A. D. Smith, a S. M. Lipset e Stein Rokkan, oppure alla teoria del colonialismo interno di Michael Hechter, o alla teoria modernista di E. Gellner, conseguente agli studi di Max Weber sulla natura dello Stato e la nascita del capitalismo moderno.

Infine un ultima questione: se i Sardi non si sentono ancora una coesa comunità politica su base nazionalistica ciò non lo si deve sicuramente all’ideologia liberale. Perché questo limite si deve all’interventismo e ad allo statalismo pubblico, che di fatto ha tentato di eradicare e ridicolizzare la lingua Sarda per divulgare quella italiana. Il problema quindi non arriva dalla sfera individuale ma da quella pubblica, che ha operato per disinnescare nella nostra comunità quel senso di omogeneità linguistica tale per cui si sarebbe potuto sviluppare un etnonazionalismo più robusto di quello civico che conosciamo. Sono state le istituzioni ad impedire una normalizzazione della lingua Sarda sul registro formale, marginalizzando la comunicazione del Sardo quasi esclusivamente sul piano informale, e sarebbe un errore ignorare che questo fatto non abbia potuto influenzare le scelte individuali più di una supposta “egemonia culturale” del liberalismo. Sotto questo profilo dobbiamo considerare il grande impatto della tecnologia sul piano della socializzazione nella comunicazione, non a caso proprio negli anni del boom economico e con l’aumento dei media nella vita dei cittadini italiani (e Sardi) è stata ridotta – ma non annullata – la differenziazione linguistica della Repubblica. Oggi la sociologa Sherry Turkle, nel suo testo “Alone Together”, ha richiamato la responsabilità dei nuovi mezzi di comunicazione fra le concause che stanno impedendo proprio una comunicazione diretta di tipo comunitario, ormai mediata nella virtualità, e dandoci solo l’illusione di essere realmente in compagnia (2011).
Come si risponde a questi problemi? Ovviamente con la politica, ma solo e sempre attraverso la legittimazione del consenso.

Adriano Bomboi.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Natzionalistas Sardos

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