Fra Pubusa e Biolchini: Un commento su indipendentismo e sinistra

Avviso ai naviganti, il commento che segue si porta oltre la campagna elettorale per le prossime regionali del 16 febbraio:

Leggo Andrea Pubusa e scorgo il suo commento su Sardegna Possibile: “Comunidades e Gentes sono sigle vuote, raggruppamenti d’occasione, senza consistenza reale. I suoi procedimenti partecipativi possono affascinare alcuni neofiti sprovveduti, ma sono ridicoli per chi ha conosciuto discussioni vere, di massa, nei partiti veri”. Probabilmente Pubusa si riferisce alla Prima Repubblica, quando partiti come DC e PCI, in un epoca di forti contrapposizioni ideali, sapevano ritagliarsi uno spazio di discussione ben superiore rispetto alla partitocrazia attuale. Se poi ragioniamo sul prodotto di questi dibattiti nell’isola, vi basti pensare all’epoca della Rinascita e avremo una misura chiara della loro utilità. Col senno di poi, visti gli esiti dell’industrializzazione pesante della Sardegna, possiamo considerarli dibattiti culturalmente mediocri ed eterodiretti, quindi incapaci di cogliere una visione sistemica dello sviluppo dell’isola, e tendenti a coltivare una monocultura economica nel tentativo di estirpare quella agropastorale, inquadrata come bacino di banditismo (negli stessi anni, mentre la classe politica ignorava la parola “turismo”, nasceva il modello Costa Smeralda, anch’esso eterodiretto).
Insomma, se oggi Michela Murgia avvia, pur con tutti i limiti del caso, un dibattito pubblico nelle piccole e nelle maggiori comunità della Sardegna, ciò è senza ombra di dubbio un fatto estremamente positivo.
Pubusa invece giunge alla conclusione che Michela Murgia sia politicamente cresciuta più per demeriti altrui (quindi del PD), che per i propri. Che dire? Nessuno si nasconde che il successo di Sardegna Possibile graviti tutto attorno al nome della scrittrice di Cabras, ma quando si parla dei demeriti della sinistra, e del suo maggiore partito, si è quasi portati a credere che esista una fantomatica sinistra dedita alla tutela degli oppressi, delle sorti dell’isola e dei valori scaturiti dalla resistenza, valori che hanno posto le basi dell’Italia repubblicana.
La sinistra reale è quella che amministra la Fondazione del Banco di Sardegna, che porta degli indagati alle elezioni, e che a Roma governa con il centrodestra. Si tratta della stessa sinistra che ha prodotto un signore rispettabile chiamato Pigliaru, il quale produce uno spot elettorale che non ha nulla della realtà di una Regione Autonoma in cui si trova, e che si reca in un poligono militare per affermare che “in questo luogo si è interrotto il rapporto con lo Stato”. Peccato che lo Stato in quel luogo incassi 50.000 euro l’ora per sperimentazioni militari a favore degli eserciti NATO, defraudando i Sardi di larghe porzioni di territorio e lasciando alle popolazioni antistanti una situazione sanitaria terribilmente critica. Il rapporto Stato-Regione è stato tutt’altro che interrotto e vede Cagliari chiaramente subordinata agli interessi di Roma. Sono questi i valori che Pubusa vede minacciati dall’indipendentismo? L’Italia è uno Stato-nazione, cioè a differenza di sistemi federali e minori, come Svizzera o Estonia, basa la sua fragile sopravvivenza economica sulla logica di potenza determinata dalle sue dimensioni. Lo Stato-nazione è concepito per alimentare l’apparato burocratico e la spesa militare, non per assicurare il benessere ai suoi cittadini. Ed è concepito per garantire il benessere ad una ristretta cerchia di potere, quella centrale, a scapito degli enti periferici. Infatti lo Stato Italiano è in grado di spendere per degli F35 ma non è in grado di assicurare la banda larga agli imprenditori ed ai cittadini (in Estonia internet raggiunge anche le fattorie più isolate). E’ uno Stato la cui Corte dei Conti riconosce il livello di corruzione della sua classe dirigente ma che ad ogni finanziaria fatica a reperire i fondi per la cassa integrazione. E’ uno Stato che pur promuovendo austerity non taglia i costi della politica centrale e scarica il prezzo dei propri privilegi sul ceto medio.
In tutto ciò, siamo sicuri che la sinistra sia migliore della destra?
Infine leggo il buon Vito Biolchini, e sento parlare di “sinistra progressista” e “sovranismo”. Va tutto bene, ma la sinistra oggi in Sardegna non ha una propria identità, e deve fare i conti con due grandi tematiche poste dal pensiero liberale:

1) Se si è progressisti non basta riconoscere i diritti delle coppie di fatto o esprimersi su tematiche del genere, ma bisogna riconoscere anche i diritti delle minoranze linguistiche e nazionali. Ed oggi la sinistra locale è ancora eccessivamente ammantata di nazionalismo italiano e quindi incapace di intraprendere questo discorso. La Costituzione Italiana è stata coperta da un penoso velo di sacralità e di immutabilità, quasi un ritorno all’intangibilità delle antiche monarchie assolute.
2) Bisogna chiarire la natura dei rapporti fra pubblico e privato. Una buona dose dei problemi dell’isola è determinata dallo spreco e dall’inefficienza del settore pubblico a danno del privato, vessato da fisco e burocrazia, e scarsamente valorizzato. E’ chiaro, questo non è un tema di sinistra. Do un’altra brutta notizia agli amici di sinistra: in tutto il mondo dare soldi alle banche, o controllarle, non è “neoliberismo”, è socialdemocrazia. La sinistra locale, al pari della destra sociale, vuole continuare a dare soldi pubblici a determinate categorie di privati? O meglio, vuole proseguire con determinate pratiche assistenziali e clientelari?

Queste riflessioni le dovranno fare anche tutti gli altri indipendentisti (vedere “flotte Sarde” a spese dei contribuenti prima che Antitrust). Compresa Michela Murgia, se proseguirà con convinzione il suo impegno politico.
Un problema analogo riguarda il sovranismo di Paolo Maninchedda, la cui cultura politica popolarista ci impedisce di decifrare il confine fra la necessità di creare ricchezza piuttosto che redistribuirla. Mentre Franciscu Sedda, benché buon semiologo, non pare avere alcuna chiara posizione al riguardo. E il sottoscritto, che qualche contributo all’indipendentismo “moderno” lo ha dato, vorrebbe capirne di più.

Se l’area progressista locale vuole liberarsi dai “demeriti” di cui parla Pubusa, dovrà inevitabilmente fare i conti con l’urgenza di lavorare ad un progetto nazionale Sardo. Altrimenti che parliamo a fare?

Adriano Bomboi.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Natzionalistas Sardos

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