Lingua Sarda e cattivi maestri, una replica a Giulio Angioni

Lettera inviata al quotidiano La Nuova Sardegna.

In merito all’intervento di Giulio Angioni su La Nuova del dieci novembre, mi trovo assolutamente d’accordo con l’autore: la lingua sarda va salvata dai cattivi maestri. Infatti se Angioni studiasse saprebbe che in Catalogna, a differenza di quanto ha affermato, la prima lingua non è lo spagnolo ma il catalano, a partire dall’istituzione universitaria, dove viene correntemente utilizzata per la formazione degli studenti in tutte le discipline. I “deludenti risultati” nei tentativi di salvare le lingue minoritarie d’Europa, di cui parlava Angioni, non trovano pertanto riscontro rispetto ad una realtà composita, in cui solo la politica è lo strumento che si è rivelato capace di imporre un cambiamento positivo, o di determinare un fallimento in questo ambito. Nella Repubblica Italiana, dove c’è stato un chiaro impegno politico al riguardo, l’Alto Adige-Sudtirol rappresenta un esempio di successo nella tutela degli idiomi locali rispetto all’italiano. Angioni, in qualità di critico di un processo di standardizzazione del sardo, dovrebbe inoltre ricordare che l’italiano regionale di Sardegna è il frutto di una imposizione dall’alto. E che, sotto il profilo scientifico, la varietà linguistica locale del sardo non giustifica l’avversità ideologica ad un processo di unitario rilancio del nostro idioma. Forse i cattivi maestri sono coloro i quali ci hanno sempre spiegato che, tutto sommato, dobbiamo adeguarci ad un processo di annientamento del sardo da parte dell’egemonia italiana. Nel 2013 sarebbe ora di aprirsi seriamente al plurilinguismo, perché solo attraverso una formale tutela della lingua minoritaria si evita l’inevitabile declino della nostra cultura.

Adriano Bomboi.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Natzionalistas Sardos

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    9 Commenti

    • “Infatti se Angioni studiasse” … e con questo frase, l’articolo rientra pienamente nella categoria degli insulti. Proprio non sapete conversare in maniera civile.

    • Anche i lettori potrebbero considerare un insulto alla loro intelligenza certi contenuti. Vede, le discussioni si fanno quando gli interlocutori portano argomenti, ed anche se argomenti ed opinioni sono diversi ci si confronta. Ma dire che le politiche di tutela linguistica all’estero abbiano fallito, e citare persino il caso catalano, dove invece tali politiche sono state valide, non è né un argomento e né una opinione: è una fesseria (per non usare altri termini). E le fesserie qualificano il livello di “serietà” nella conduzione di un dibattito.

      Per il resto niente di personale, sono un suo lettore, compro i suoi libri, e continuerò a farlo.

    • Concordo con Bomboi.

    • Vede, catalogare come “fesserie (per non usare altri termini)” le opinioni di un’altra persona non fa che aumentare l’idea che l’insulto è alla base delle vostre argomentazioni. E l’insulto gratuito qualifica la “serietà” della persona… tanto per parafrasarLa. Poi, parlare di un sardo standardizzato è una utopia e una soluzione di tipico stampo fascista, dove una lingua fittizia viene imposta dall’alto su gruppi di persone che hanno una loro intrinseca identità locale. Un logudorese non parlerà mai in campidanese, e viceversa. Le esperienze bilinguitiche che Lei cita, prevedono il bilinguismo (o trilinguismo)attestato solo per i funzionari pubblici che hanno contatto col pubblico; il fruitore del servizio può usare una delle due lingue senza essere discriminato. Lei cita l’Alto Adige come esempio. Lí la seconda lingua è il tedesco: lingua a pieno titolo e con grammatica e sintassi comune per tutti. Ritornando in Sardegna, un nuorese che va a chiedere un certificato ad un ufficio pubblico di Carbonia e lo chiede nella sua parlata, verrà capito? Non credo.
      Dal mio punto di vista, una lingua sarda comune non ci potrà mai essere. E le persone che la vogliono, con la spocchia che si ritrovano, non otterranno nulla… se non qualche approvazione dal solito politico a caccia di voti facili. Per non parlare della marea di soldi pubblici sprecati, che potrebbero essere altrimenti usati per rilanciare una economia disastrata.

    • Credo che non ci siamo capiti. Le “opinioni” di Angioni, nel momento in cui utilizza un dato FALSO per argomentare la tesi dell’inutilità delle politiche linguistiche (il presunto “fallimento” dell’esperienza catalana), non sono “argomentazioni”. Come ho già detto, se l’autore avesse suffragato il suo discorso sulla base di un dato reale ci si sarebbe confrontati nel merito, pur da posizioni diverse. Ma spacciare una cosa falsa per vera non è argomento di dibattito.
      In quanto al “fascismo” di un eventuale processo di standardizzazione linguistica del sardo, posso solo ricordarle che con l’italiano è avvenuto di peggio: se lo stiamo parlando persino in questo momento significa che l’imposizione statale (fatta anche a spese dei contribuenti sardi) ha funzionato. In più si è caratterizzata per il palese razzismo e ostracismo con cui negli ultimi decenni il sardo è stato denigrato dal mondo scolastico e della cultura (salvo delle eccezioni). Ci sono soldi pubblici sprecati per ben altre cose, e poco importanti rispetto alla nostra cultura, da cui discende anche la nostra Autonomia.

    • Concordo con Adriano Bomboi

      Dal dibattito che la lingua sarda genera noto con piacere come le argomentazioni di coloro che l’attaccano stiano scadendo sempre di più verso un rabbioso livore.
      Oramai come motivazioni sono rimasti le solite litanie e cioè che la lingua sarda e povera, frazionata e dunque inutile. Non parliamo poi dei giudizi tesi a considerare la sua valorizzazione uno spreco di risorse,le quali potrebbero essere destinate ad altro. Come? Cercare di salvare la lingua che i nostri avi hanno parlato per più di mille anni è uno spreco di risorse?
      Costoro non si rendono conto di quello che dicono.
      Trovo curioso che chi l’affermi abbia la sensibilità di denunciare una mancanza di tatto da parte dell’autore dell’articolo mentre esprime concetti che se letti attentamente esprimono in modo subliminale un violento attacca all’anima dei sardi.
      Ciò che mi consola è il fatto che siano discorsi di trent’anni fa, sempre meno frequenti e destinati ad essere finalmente delle voci isolate.

    • Una delle prime cose che la politica linguistica vincente in Catalogna ha ottenuto è la “secessione” della Comunità Valenzana, che si sta facendo un suo standard, mentre in tutta la Spagna, che fa una politica di pluralismo linguistico locale, le lingue locali fanno quel che i loro parlanti vogliono possono e il castigliano continua a essere lingua veicolare di tutti. Ma basterebbe vedere tutta l’Africa subsahariana, che con l’indipendenza si è tenute ben strette le sue lingue dei colonizzatori (inglese, francese, portoghese…), prestando più o meno attenzione alle tante lingue locali. E così è accaduto in India, dove si sono tenuti ben stretto l’inglese insieme con tutta la miriade di lingue locali.
      E Giulio Angioni mi pare che stia sostenendo per la Sardegna un qualcosa del genere, con tutte le accortezze del caso, mentre si preoccupa anche lui del sardo, ma senza nuove imposizioni. Lui del resto scrive in sardo quasi quanto in Italiano. E se non sbaglio è stato il primo, quasi quarant’anni fa, a scrivere in prosa sarda (campidanese), in “A fogu aintru” (EDES 1977, Ilisso 2011). Qualche diritto ce l’avrà di dire la sua, mentre si constata lo scarso risultato se non addirittura il fallimento degli ultimi tentativi di politica lingusitica (unitaristica) in Sardegna. Mi pare.

    • Ci mancherebbe, Angioni ha tutto il diritto di dire la sua, così come in democrazia esiste il diritto di dissentire. I valenciani hanno diritto a fare le loro scelte, se in Catalogna la politica linguistica ha funzionato, evidentemente non è stata una imposizione mal tollerata e “fascista” come alcuni in Sardegna vorrebbero far credere quando si parla di standardizzazione. Se altri popoli ritengono di non dover standardizzare è un loro diritto anche quello, ma non si capisce perché in Sardegna dovremmo opporci al tentativo. Io ho trovato abbastanza deludente che un autore come Angioni (che non è l’ultimo arrivato) abbia scritto un clamoroso errore, per di più nello spazio culturale del quotidiano! Non sapere che in Catalogna il catalano è la lingua principale è un po come scrivere che Parigi non è la capitale della Francia… Sono errori che non ci si aspetta da determinati personaggi, tanto più gravi se usati per sostenere un dibattito.

    • Sig. “Marco” di un mese fa, quando Lei afferma che un nuorese non viene capito a Carbonia, si qualifica da sé! La Sua natura non è di tipo linguistico, mi sembra di capire, ma politico-ideologico. Lei, se è di Carbonia, può sentirsi linguisticamente “campidanese” e non “Sardo”(ma il dialetto del Sulcis non è diverso da quello del Campidano?) e nessuno glielo sta impedendo; ma per farlo, sarà costretto a contorcersi come un’anguilla. Lei può pretendere di non capire un nuorese, ma non può pretendere che un nuorese non capisca Lei! Lei è ancora fermo ai concetti ottocenteschi di tipo Wagner-Spano, cioè è convinto che il Sardo sia diviso in due (Logudorese e Campidanese) e che non è unito perché ci sono 200 dialetti tutti diversi. Ma il Sardo è una lingua! Ci sono lessico e grammatica di Luras che sono gli stessi di Carbonia, Villaurbana, Ozieri, Cagliari, Oristano, Bitti, Orune e via discorrendo! Le differenze possono essere di tipo fonologico e di forme sottostanti. Ma la grammatica, soprattutto, è pressoché identica in TUTTI i centri sardofoni! Un dialetto di “Cabu de Susu” si stacca al massimo del 20% o poco più da uno di “Cabu de Giossu”.
      Per non parlare dei luoghi comuni sulla standardizzazione del Sardo… Ma lo sa, almeno, che la LSC lascia il lessico libero e si può emendare per tutti i dialetti? Ok, va migliorata. Ma il lessico libero è già un passo avanti.

      Lei lo segue, il blog di Bolognesi? Glielo consiglio, perché parla ampiamente di queste cose.

      Ah: l’unico “fascismo” che vedo, qui, è quello di stampo monolingue italiano che non vuole un processo di standardizzazione del Sardo (peraltro, già iniziato anni fa) e che bolla i fondi per la lingua come “spreco di soldi dei contribuenti”.

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