Sviluppo della Sardegna? Possibile, ma necessario cambiare Giunta e persino dirigenti indipendentisti

La Sardegna naviga a vista e, in merito alla nuova finanziaria, la Giunta regionale continua a dare il peggio di se, stavolta paventando persino l’esercizio provvisorio come inutile strumento con cui far pressioni sullo Stato per ottenere maglie più larghe nel Patto di Stabilità. L’assessore alla programmazione, credito e bilancio della Regione, Giorgio La Spisa, piuttosto che intervenire tempestivamente in richiesta della deroga al Patto evitando l’ultima boutade, lo scorso 9 novembre non ha saputo fare di meglio che scrivere ad Alfano (PDL) nella vana ricerca di un sostegno che a Roma non c’è stato. D’altra parte, con quale coraggio si può parlare di autonomismo quando si cerca di subordinare l’ipotesi di far svolgere le primarie del PDL alla richiesta di attenzioni sulla necessità di rivedere i tetti di spesa della Regione? E’ una classe politica che, pur di non “disturbare” i propri referenti romani, preferisce temporeggiare attraverso le fesserie piuttosto che assumersi la responsabilità di una chiara azione di autorità verso lo Stato. E in queste condizioni, con la silente complicità dell’opposizione, vi renderete conto che l’Autonomia non viene assolutamente esercitata ma svilita e spogliata di significato. Tornare ad elezioni, auspicando una coalizione sovranista, sarebbe quantomai opportuno.

E’ proprio in questi momenti che avremmo bisogno del polso e degli argomenti di un coeso autonomismo e indipendentismo di governo, che purtroppo continua a mancare.

E’ un dato di fatto: tutte le principali tematiche territoriali che oggi abbondano nei programmi (e nella retorica) della politica Sarda hanno avuto origine nel sardismo e nell’indipendentismo, spesso con decenni di anticipo rispetto ai partiti italiani. E tutto questo nonostante il nazionalismo Sardo continui a posizionarsi ai margini della vita politica isolana, al governo di poche istituzioni locali, provinciali e in alcuni spazi dell’amministrazione regionale.

Come tradurre in un concreto programma di governo questa componente riformista? E come è possibile superare la classe dirigente dei partiti italiani che oggi amministrano non lo sviluppo ma lo status quo e le proprie rendite di posizione?

Quesiti non semplici da trattare, ma che proprio nella piccola galassia dell’indipendentismo possono trovare una prima risposta.
La Sardegna non è la Scozia, non è la Catalogna, non sono le Fiandre, non è il Québec, e solo in tempi recenti, superata la fase di un autonomismo privo di una chiara visione nazionale dell’isola, l’indipendentismo Sardo ha iniziato a ripensare il suo ruolo nel nostro quadro politico, dando forma a programmi e tentativi di collaborazione politica che tuttavia non hanno ancora portato ad alcuna concreta riforma nell’interesse del Popolo Sardo, delegando in termini di voti e credibilità i soliti partiti italiani nella gestione della Pubblica Amministrazione, ad ogni livello.
Possiamo quindi trovare perfettamente “comprensibile” un contesto politico nel quale l’assenza di credibilità politica dell’indipendentismo è andata di pari passo all’assenza di un chiaro percorso riformistico destinato ad attribuire maggiori poteri all’Autonomia Sarda. Una circostanza che ha tenuto il Popolo Sardo lontano da una doverosa fiducia in se stesso e nei propri mezzi, ed ha, per conseguenza, fornito sostegno a quei partiti italiani che anche in periodi di crisi, ed essendo corresponsabili della sciagurata gestione economica e culturale del territorio, continuano a riscuotere larghi consensi. Merito anche delle strutture assistenziali e clientelari generate presso una Sardegna che, non avendo appreso gli strumenti economici e culturali propri con cui pensare alla propria sussistenza, non ha potuto investire nel suo valore aggiunto dando fiducia ad una politica più Sarda e meno romana. Una politica che parlasse di defiscalizzazioni a favore delle imprese e dell’occupazione. Una politica destinata a migliorare la rete dei trasporti da e per l’isola, ma anche una politica destinata a far conoscere il valore determinato dal patrimonio storico, linguistico, culturale e ambientale al proprio popolo. Basti un dato per capire l’entità dei ritardi politici che accompagnano la nostra classe politica: nel settore terziario, la piccola Palma di Maiorca riesce a muovere un traffico aeroportuale di circa 22 milioni di turisti annui, mentre la Sardegna, con il suo imponente valore storico ed ambientale, non raggiunge neppure la metà delle presenze. Un milione e seicentomila Sardi i cui principali partiti territoriali non hanno quasi mai fiatato neppure per la situazione del Credito in Sardegna, né, cosa ben più grave, per il rispetto dei diritti identitari della popolazione.
Abbiamo un evidente problema di competitività a cui, purtroppo, non corrisponde una politica regionale capace di farvi fronte, sia per impreparazione, sia poiché suggestionata da interessi e talk show distanti dalle specifiche esigenze locali (pensiamo alle primarie del PD, dove un partito che prende soldi pubblici fa addirittura pagare un dazio ai propri elettori per la scelta dei candidati), e sia per opportunismo.
Perché lo sviluppo di forze politiche realmente autonomiste ridimensionerebbe in modo sensibile la loro presenza nelle istituzioni locali, con una progressiva perdita degli interessi che li sostengono. L’indipendentismo ha la sua dose di responsabilità, perché se da un lato ha introdotto alcuni buoni temi presenti nelle chiacchiere (ma spesso non nei fatti) dei partiti italiani, l’indipendentismo stesso, con i suoi dirigenti, ha creato le condizioni della propria disfatta: è pensabile che sigle politiche frazionate, con programmi simili e con volti poco spendibili in termini elettorali, avrebbero potuto tenere alto il prestigio di questo ambiente politico? Ovviamente no. La riflessione che dovrebbe accompagnare la base indipendentista nei confronti dei propri rappresentanti dovrebbe essere più critica e presenta dei tratti paradossali. Dovremmo infatti chiederci: senza la chiusura ad una ipotesi sovranista, autonomista e quindi ad un approccio graduale nella visione del governo dell’isola, quanto sarebbe potuto crescere l’indipendentismo? Quali risultati pratici si sarebbero potuti ottenere? Quanto ha influito in questo ritardo la divisione e l’ingiustificata moltiplicazione delle sigle sardiste e/o indipendentiste?

Una dirigenza indipendentista che per anni si è divisa per puro personalismo, per ideologia e persino su una bandiera, può essere la stessa dirigenza che intende promuovere un rinnovamento della classe politica Sarda che dovrebbe guidare un processo riformistico tanto complesso e articolato? Noi pensiamo di no.
Se nel mondo continua a maturare la riflessione attorno al potenziamento di una politica territoriale rispetto al fenomeno della globalizzazione, in Sardegna, i nostri vecchi dirigenti indipendentisti, non sono neppure arrivati a capire che il proprio popolo non ha ancora potuto maturare un chiaro sentimento nazionale. E questo ha influito anche nella loro scarsa apertura alla collaborazione politico-programmatica con sigle non necessariamente indipendentiste, marginalizzandone dunque l’efficacia in un contesto politico contrassegnato da una legge elettorale fortemente bipolare.

In conclusione, possiamo affermare che i nostri attuali dirigenti indipendentisti non sono idonei a ricoprire le complesse sfide poste dalla causa che portano avanti, sono inefficaci nel rinnovarne i contenuti, nonché a sviluppare una seria piattaforma programmatica capace di unire le diverse sensibilità, sia dentro che fuori l’indipendentismo. Proprio la scarsa affluenza popolare della scorsa manifestazione cagliaritana della Consulta Rivoluzionaria ha dimostrato tutti i tratti di autoreferenzialità e chiusura nei confronti delle altre forze sociali Sarde che invece avrebbero potuto supportarla. Pensiamo a tutte le categorie che non sono state contattate per partecipare ad un momento di protesta ma anche di contenuti contro l’attuale classe politica regionale. Persino gli avversari politici non possono essere posti tutti sullo stesso piano. Un indipendentismo incapace di dialogare non potrà mai costruire alcuna repubblica indipendente, né metterà con le spalle al muro quel timido e opportunistico autonomismo, anch’esso privo di risultati pratici (piuttosto che di voti), che contrassegna diverse sigle politiche.

Per queste ragioni rilanciamo l’idea delle primarie per il nazionalismo Sardo, già proposte nel 2011, con regole chiare e trasparenti. Tema rilanciato anche dall’esponente del ProgReS/Repubricanos Frantziscu Sanna. E’ tempo di superare grossolani, emotivi e inconcludenti personaggi indipendentisti corresponsabili del ritardo e dei danni arrecati all’immagine e allo sviluppo di una politica capace di tutelare seriamente gli interessi della Sardegna. Le primarie potrebbero rappresentare una fortunata occasione di rinnovamento capace di riservare parecchie sorprese, sia per la scelta dei rappresentanti politici che dei candidati, e consentirebbero anche alla pubblica opinione di conoscere meglio i programmi proposti dai singoli esponenti. E’ tempo di premiare più i contenuti e meno gli slogan.

Buone Feste!

Di Adriano Bomboi e Marco Corda.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Nazionalisti Sardi

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    3 Commenti

    • [...] L’unico problema della Sardegna è quello di non avere una classe dirigente che sia contemporaneamente sarda e “classe dirigente”, come ci hanno ricordato Adriano Bomboi e Marco Corda. (Sviluppo della Sardegna? Possibile, ma necessario cambiare Giunta e persino dirigenti indipendentist…) [...]

    • Cosa bisogna fare per far si che il popolo maturi un chiaro sentimento nazionale?

      Scrivi: “gli avversari politici non possono essere posti tutti sullo stesso piano”. Tipo?

      In riferimento alla scarsa affluenza popolare della scorsa manifestazione cagliaritana, non ritieni che a Cagliari vanno avanti soltanto i partiti che predicano “l’accozzo”?

      Non ritieni che le primarie (indipendentisti uniti) possano premiare più gli slogan e meno i contenuti?

    • Salve,

      Rispondo nell’ordine ai quesiti posti sul nostro articolo.
      Alla prima domanda, direi la cosa più ovvia: servono riforme che agiscano non solo sulla leva fiscale ma anche e soprattutto sulla formazione. E quindi riforme nel campo della Pubblica Istruzione (a partire anche da ciò che fin da oggi, prima di passare alla riforma dello Statuto si può già fare), insegnamento lingua e storia Sarda, il presupposto basilare per sviluppare una coscienza territoriale che possa quindi anche tramutarsi in un interesse politico (la base del nazionalismo insomma).

      Alla seconda: non tutti nei partiti autonomisti (ma anche nei partiti italiani) sono fatti della stessa pasta, esistono settori con cui è possibile dialogare e sviluppare piattaforme programmatiche. Lo stesso dicasi per varie associazioni di categoria e nel sindacato. Bisogna insomma uscire dalla logica evangelista che ancora attraversa buona parte dell’indipendentismo.

      Alla terza: si, purtroppo vanno avanti i partiti che predicano “l’accozzo”, ma l’intransigenza nel giudicare tali ambienti non deve tradursi nella chiusura di cui parlavo.

      Alla quarta: Dipenderà dalla forma e dalle regole che eventualmente verranno date alle primarie. Noi ovviamente speriamo che queste premino i contenuti o altrimenti non ci sarebbero passi avanti e diventerebbe la solita passerella dei soliti nomi.

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