Lo stallo della politica linguistica in Sardegna – Intervista a Corongiu

Qual è la situazione della politica linguistica in Sardegna?

Dall’inerzia della Giunta sardista all’ignavia dell’indipendentismo.

Ne parliamo con Giuseppe Corongiu, scrittore ed ex direttore dell’ufficio linguistico regionale, nonché promotore del CSU, il Coordinamentu pro su Sardu Ufitziale.

A cura di Adriano Bomboi.

Andiamo dritti al nocciolo della questione: a che punto è la politica linguistica in Sardegna?

È a un punto morto, tra effetto annunci e promesse inutili da parte della politica. Fino a qualche anno fa si dava la colpa alla lingua standard: “allontana il popolo perché è artificiosa” si diceva. Ora, dopo sette anni di governi favorevoli alle varianti, cioè al sardo vissuto come dialetto locale, la situazione è di gran lunga peggiorata. Con un declino costante del sardo parlato ed una questione politica fuori dall’agenda dei media. La colpa insomma non era dei sostenitori di uno standard.

Eppure abbiamo una giunta regionale a trazione sardista. Cosa dovrebbe fare per affrontare il problema?

Le parole di Christian Solinas in campagna elettorale erano state chiare: si a un sardo che diventa “lingua nazionale” unica come da tradizione e statuto del Psd’az. Invece, l’assessorato regionale, in due anni, ha interpretato la linea politica contraria, tanto cara ai nemici del sardo e del vero sardismo. Ossia finanziare qualsiasi espressione differenziata dialettale e sgrammaticata pur di scongiurare il proseguimento di una valorizzazione “politica” del sardo.
Ha prevalso una visione antropologica del problema e persino clientelare: “moltiplichiamo le varianti come le ASL e le province per accontentare tutti”. Un capolavoro targato UDC, ma profondamente illiberale e antisardista.
Solinas dovrebbe mettere fine a tutto ciò, dando l’assessorato a un sardista storico oppure avocando a se le competenze.

Nello scarno dibattito sul multilinguismo non mancano poi coloro i quali ritengono che si debba studiare solo l’inglese. Ma i promotori del sardo oggi sono i primi sostenitori dello sviluppo di maggiori competenze nelle lingue straniere. Da cosa nasce questa diffidenza verso l’insegnamento scolastico del sardo?

Dalla paura che si trasformi in un’arma politica antitaliana e in una clava contro l’incompetenza degli intellettuali “mainstream”. La richiesta di una “lingua nazionale o di comunità”, come diceva Simon Mossa, è insostenibile per il sistema di potere presente. Invece, la versione addomesticata per varianti propugnata dagli antropologi della scuola di Cagliari, e da alcuni filologi, è funzionale al dominio delle forze egemoni attuali. Hanno capito che negare o vietare la lingua è controproducente, mentre addomesticarla con generosi contributi e confusione ortografica, è più efficace.

La Catalogna, pur con la repressione giudiziaria che ha investito l’indipendentismo, può essere un punto di riferimento per la politica linguistica locale?

Lo è in termini assoluti per lo sviluppo del processo. Ma noi, dagli anni Settanta ad oggi, siamo rimasti troppo indietro. Difficile fare paragoni produttivi. La Sardegna è una sorta di Catalogna al rovescio dove tutto è andato storto e hanno vinto “gli spagnolisti”.
Le argomentazioni usate in Sardegna contro la lingua standard scritta sono le stesse (artificialità, territorialità, autoritarismo) che usavano i franchisti contro il padre dello standard catalano Pompeu Fabra. Solo che li la gente ha capito la truffa, qui navighiamo nella nebbia dell’ignoranza e della incultura politica.
Abbiamo anche sedicenti indipendentisti che attaccano l’idea del sardo quale lingua unica standard nazionale. Non parlare il sardo non è colpa loro, ma odiarlo in questo modo si. La conclusione è che sostengono lo standard italiano. Non è indipendenza culturale di sicuro.

Lo stallo della politica linguistica, di cui abbiamo parlato in apertura, si colloca indubbiamente in questo contesto. Qual è stato l’ultimo provvedimento normativo della regione in materia?

Il Consiglio Regionale nel 2018 ha approvato una legge, la numero 22, su spinta della lobby tradizionalista e antropologica per vendicarsi dei promotori dello standard LSC e chiudere la questione. In sostanza l’idea era quella di dare ragione a tutti e a nessuno, e di uscirsene da uno spinoso ginepraio senza fare scelte. Una pagina incresciosa della nostra storia autonomistica. Però si è giustificato il tutto con promesse mirabolanti per ipocrisia.
Invece, abbiamo visto, come peraltro denunciato da noi all’epoca, il fallimento totale del sardo sia a scuola che nella società. Peraltro tutto il lavoro già fatto è stato cancellato per pura ripicca.
Il centrodestra, allora all’opposizione, non votò la legge 22 giustamente, lasciando al centrosinistra la responsabilità. Nel programma elettorale vincente c’era l’impegno ad abrogare o modificare le norme, tuttavia, in due anni di governo della destra sardista la legge è stata applicata con zelo quasi militaresco, in particolare contro l’unificazione e gli unificatori. Solinas finora ha lasciato fare: un presidente sardista non può assumere questa posizione. Almeno, coerentemente, per salvare la faccia.

Dopo dei fortunati libri, dalla saggistica al romanzo, sei tornato in libreria con un nuovo lavoro, “A dies de oe” (Condaghes, 2020). Cosa attende i lettori stavolta?

Vista la precarietà di questa situazione mi è sembrato giusto tornare a fare il punto sulle questioni tecniche della lingua. Per mettere le basi di un nuovo civismo e di una sovranità linguistica contemporanea. Purtroppo anche per questa materia abbiamo conosciuto una sorta di populismo incompetente e prepotente: la Regione paga dei “progetti di cittadinanza” a presunti esperti che pretendono di usare un sardo municipale inventato da loro e scritto senza regole. Una cosa mai vista in nessuna minoranza linguistica. Una vergogna. È come riportare il sardo ad un livello di dialetto, con il timbro politico di una lingua. Invece dobbiamo tornare alle competenze, alla precisione, alla cultura. Il libro, per chi lo leggerà, serve a questo: ridare dignità, prestigio, metodo. Ci aspettavamo questo da una Presidenza sardista, e invece…

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U.R.N. Sardinnya ONLINE

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