‘Guerra del latte’: parla Roberto Brazzale, industriale caseario veneto

“Guerra del latte”: ci scrive Roberto Brazzale, industriale caseario veneto, patron dell’omonimo gruppo da 150 milioni di euro di fatturato – tre volte i Pinna – e marchi del calibro di Gran Moravia e Alpilatte. Con sedi in Cina, Repubblica Ceca, USA e Brasile.

Cosa sta succedendo in Sardegna e come affrontare i problemi?

Il prezzo del latte di pecora in Sardegna è basso perché la produzione è troppo alta rispetto ai ricavi sperati. Punto. Nessuna congiura, semmai congiuntura.

I consumatori dovrebbero beneficiarne e i pastori dovrebbero accettare la realtà e modificare i loro piani produttivi, permettendo così un successivo recupero delle quotazioni, nell’incessante e naturale saliscendi dei prezzi di mercato. I prezzi sono dei prodigi informativi perché contengono infinite informazioni in tempo reale che nessun’altra fonte è in grado di suggerire. Almeno fino a quando la politica non ci mette le mani con l’obiettivo di “ridurre la volatilità” (sia benedetta), desiderosa di dimostrare di essere necessaria alla vita delle persone e giustificare la propria costosa esistenza all’elettorato. Finirà probabilmente così, è da scommetterci, con un intervento pubblico a sostegno dei prezzi che ritarderà l’uscita dalla sovrapproduzione aggravandone gli effetti. Con il latte vaccino hanno combinato un disastro simile nel 2016-2018, comprando 400.000 tons di SMP.

La vicenda sarda dimostra, se mai ce ne fosse bisogno, il grado di analfabetismo economico imperante nel nostro paese, ben condensato negli articoli che affollano la rassegna stampa di oggi (tra i quali quello di Repubblica ci sembra un catalogo di inenarrabili sciocchezze). Solo per dirne una, quella che si meraviglia che ai produttori agricoli vada solo un quinto del valore finale, fatto del tutto logico quando entrano in gioco costi insopprimibili come il confezionamento, la logistica, la distribuzione, le imposte sul consumo, che da soli prendono almeno tre quarti del ricavo finale.
Altro che infiniti peana cittadini contro chissà quale nemico della ruralità arcadica. Se esistesse più mercato e meno denaro pubblico speso in consorzi, politiche agricole e rieducazioni alimentari, i consumatori sarebbero più elastici nei loro consumi, e fuori dai condizionamenti del marketing istituzionale che li bombarda da decenni, sceglierebbero il pecorino perché più conveniente, ne aumenterebbero i consumi proprio mentre i produttori rivedono al ribasso i loro piani produttivi spinti dalla contrazione dei margini.

Quella che viene chiamata “crisi” e che altro non è che la vita fisiologica dell’economia umana, si supererebbe e si entrerebbe probabilmente in una fase inversa in cui i produttori di latte vedrebbero rialzarsi i loro margini ed i consumatori pagarne il prezzo. È successo solo pochi anni fa. Succederà presto di nuovo.

Sempre che la politica si tolga di mezzo. È da augurarselo nell’interesse dei mitici pastori sardi.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE

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