5 marzo: l’Italia, la Sardegna e l’indipendentismo

Commento sul 5 marzo: l’Italia, la Sardegna e l’indipendentismo.

Il voto sposta i moderati verso due Italie, quella dei 5 Stelle, che protesta contro la corruzione politica e il dissesto economico (ma senza comprenderne le ragioni); e quella di centrodestra, che sostiene un fisco più leggero ed una maggiore responsabilità nella gestione dei flussi migratori (sia con torti che con ragioni).

Il crollo di Liberi & Uguali conferma che il problema del PD non deriva solo da Renzi, vediamone i motivi.

E gli indipendentisti sardi? Incapaci di uscire da ideologie adolescenziali per affrontare la maturità, rendono impossibile competere per le prossime regionali. Vediamo perché serve un nuovo simbolo, un nuovo programma e nuovi volti – Di Adriano Bomboi.

I più attenti osservatori non mancheranno di evidenziare che, a dispetto delle apparenze, il grande protagonista di queste elezioni non è stato il populismo ma lo spostamento del voto moderato: nel meridione verso i 5 Stelle (ciò significa che alle prossime regionali sarde i grillini potrebbero trovare nomi spendibili); e nel settentrione verso la Lega, che supera Forza Italia.
Complice il sapiente uso di internet, grillini e leghisti hanno esteso un voto di opinione a scapito di un voto strutturato, tipico invece delle forze di establishment come il PD.
Ma il contesto è di gran lunga più complesso.

Al nord si affermano due temi:

- il primo è quello della flat tax, non per la sua reale capacità di concretizzarsi in uno Stato senza coperture, ma per la necessità del tessuto produttivo settentrionale di ridurre e semplificare il fisco di questo Paese;
- il secondo è il tema del controllo dei migranti, alquanto sentito nelle grandi città, che ottiene il favore sia di un elettorato moderato che radicale. In questi ambienti si sostiene, non a torto, che un’ingente massa di migranti dequalificati non porterà valore aggiunto ma solo ulteriore assistenzialismo; ma anche, a torto, che sia in corso una inesistente sostituzione etnica, ed una inesistente recrudescenza della criminalità. Ragioni e torti di questi ultimi hanno trovato così un punto di sintesi in un voto a favore del centrodestra e contro una sinistra dalla condotta giudicata irresponsabile, sia in termini economici che culturali.

Sbaglia quindi chi ritiene Renzi l’architrave unico del crollo della sinistra, il disastro elettorale di Liberi e Uguali conferma la linea del Renzi che ha preceduto le scorse europee: il problema del PD non era e non è “che ha fatto politiche di destra”, ma che non sia stato abbastanza determinato nel portare a compimento le riforme necessarie al Paese, proponendone persino di sbagliate e sgradite ai moderati che lo avevano ancora sostenuto nel “patto del Nazareno”.

Al sud si affermano altri due temi:

- il primo, col voto ai 5 Stelle, attiene alla generale crisi economica di varie realtà del mezzogiorno, delle isole e del sud. L’assenza di un tessuto produttivo come quello nordista rende più difficoltosa la posizione di migliaia di giovani che non trovano risposte da una politica gestita da anziani e destinata alla pura conservazione dei privilegi derivanti dai lavori offerti dalla Pubblica Amministrazione (quest’ultima quasi interamente spesata dalle Regioni settentrionali). Un tema come quello di un reddito da destinarsi a chiunque sia in difficoltà appare l’unica inevitabile salvezza agli occhi di questo elettorato (il quale però non considera l’origine, la moralità e la sostenibilità di tale redistribuzione della ricchezza dal nord al sud del Paese).
- il secondo consegna ancora ai 5 Stelle, ed in parte ai leghisti, una generalizzata protesta verso i partiti della sinistra, sia moderati che radicali, sia perché giudicati lontani dai bisogni reali delle persone, e dediti alla coltivazione dei privilegi citati; e sia perché giudicati del tutto inconsistenti nella capacità di rilanciare l’economia.

L’indipendentismo sardo (da cui va distinto il sardismo, di cui parleremo in seguito), presentatosi col “Progetto Autodeterminatzione”, si inserisce in quest’ultimo filone.
Una sigla che rievocava tutte le peggiori paure dei moderati. Si è avuta la solita incapacità di parlare a questo elettorato in merito alla generale crisi del lavoro e dello sviluppo (un problema che si trascina dalla caduta del muro di Berlino a oggi), e si è persino promossa una irresponsabile politica migratoria (tesa a non distinguere neppure i rifugiati politici dai migranti economici). Nonostante in Sardegna, a differenza di altre aree della penisola, non esista alcuna seria emergenza migranti.

Il dato dei voti leggermente inferiore alla Camera (poco più del 2%) rispetto al Senato (in cui votano cittadini oltre i 25 anni) dimostra che persino l’indipendentismo è stato eroso dai 5 Stelle, mentre gli indipendentisti perdevano tempo ad attaccare i sardisti alleati dei leghisti sui temi in cui invece l’elettorato sardo cercava risposte.

Che dire?

L’indipendentismo non riesce ad uscire da ideologie adolescenziali per affrontare la maturità. E riesce a demolire ulteriormente il proprio consenso persino rispetto alla vecchia proposta di Michela Murgia (che almeno aveva il merito di non sprofondare verso posizioni di sinistra radicale).
A prescindere dalle dovute differenziazioni tra la tipologia del voto regionale rispetto a quello statale.

L’esito di Autodeterminatzione, a stento sul 3%, dimostra l’inconsistenza del progetto, che va smontato e ricostruito da capo a piedi, senza sciupare il basso coinvolgimento ottenuto. In queste condizioni non può affrontare le prossime elezioni regionali: serve un nuovo programma, un nuovo simbolo, un nuovo nome e possibilmente nuovi volti.

Insistere sulla stessa strada, ignorando l’abisso culturale e di competenza che separa questa sigla sia dal sentimento popolare che dalla reale conoscenza del contesto economico sardo, significherebbe contribuire al definitivo tramonto dell’indipendentismo sardo.

Chi volesse rileggere lo scorso commento economico al programma di Autodeterminatzione capirà facilmente che i suoi promotori ignoravano persino l’inconsistenza del vecchio art. 18 dello statuto dei lavoratori nel tessuto aziendale regionale (figurarsi tutto il resto).

Questo spazio ritiene che l’indipendentismo potrà crescere solo nel momento in cui un serio Partito Nazionale Sardo, privo di folclore e privo di teorie pseudoeconomiche, senza la velleità di proporsi come partito unico, saprà sviluppare una piattaforma capace di affrontare le ragioni del sottosviluppo. Servono soluzioni che non passeranno sicuramente nel vincolismo, nell’ambientalismo estremo e nel generale immobilismo economico grazie al quale già oggi giovani e imprese sono costretti/e a fuggire.

Ecco perché Autodeterminatzione oggi non somiglia affatto al modello politico catalano. Da noi non esiste una Junts x Cat (moderata e liberale) ma solo tante piccole Cup (sinistra radicale) che si spacciano per “neutre”, dietro il paravento dell’interesse nazionale sardo.

Avremo modo di tornare su questi e altri temi, grazie per l’attenzione.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE

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    5 Commenti

    • considerando lo scontro titanico in atto e il contesto”continentale” il risultato ottenuto è una ottima base di partenza! è vero molto ancora c’è da fare e faremo tesoro di critiche e suggerimenti e concreta partecipazione!nulla è predefinito ed immutabile! va apprezzato il tentativo unitario posto in essere e attendiamo il contributo di chi si ritiene spendibile nella prossima competizione ormai avviata!

    • [...] all’articolo di Adriano Bomboi  in cui pone delle problematiche concrete e mette in evidenza il fatto che molti non si sono [...]

    • Questo articolo è troppo duro nei confronti di chi si è fatto un mazzo per iniziare ad unire gli indipendentisti.
      Della serie, “fais beni e bai in galera”.

      Seppur per certi aspetti si dice il vero, cioè mancano i partiti di centro destra (Unidos, Meris e altri) spetta a questi ultimi unirsi e creare una prospettiva complementare ad Autodeterminatzione e a collaborare sotto un unico simbolo per le regionali.

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