Verso una corrente realista dell’indipendentismo

Che tipo di indipendentismo ci servirebbe?
Ad oggi abbiamo un Polo per l’Autodeterminazione, o Chiesa Avventista per la Decrescita, formato da un solo partito, i RossoMori, peraltro vicino a Soru. Poi un Partito dei Sardi dedito all’ordinaria amministrazione della spesa pubblica e non certo alle riforme; infine un sardismo a caccia di sopravvivenza a causa di una legge elettorale confezionata su misura per i partiti italiani.
Insomma, siamo un sottoprodotto della cultura italica, quella che va dalla sinistra radicale sino al popolarismo democristiano.
È un mondo a cavallo tra fantasia e conservazione, ostile alla crescita.
A noi serve un indipendentismo che affronti l’ecatombe economica di mezzo milione di pensionati, di serrande abbassate, di vincoli paesaggistici e di migliaia di giovani in fuga. L’esperienza catalana ci consiglia un partito moderato e liberale, che incuta il terrore dell’assistenzialismo, capace di tagliare la spesa pubblica (pensiamo al dissesto sanitario e ai sussidi ai cartelli dei trasporti). Con una politica vicina alle imprese e agli investimenti, in grado di governare i Comuni, di riformare l’Autonomia regionale e di promuovere la lingua e la cultura sarda.
Chi si candida a governare ha questa visione?

Parliamo di questo ed altro – Di Adriano Bomboi.

Siamo seri, il Polo per l’Autodeterminazione, inteso come unione di partiti indipendentisti, non esiste. Esiste solo un progetto per l’autodeterminazione guidato da Muroni e dal suo seguito, più alcuni gruppi privi di consistenza elettorale (alcuni persino scomparsi), ed un solo partito sardista, i RossoMori. Un partito di piccole dimensioni che sconta la sua storica vicinanza a Renato Soru, e di cui non abbiamo neppure la certezza che intenda affrontare le elezioni in solitaria.
Si tratta di un ambiente prevalentemente declinato a sinistra. E non una sinistra moderata ma radicale, dove l’unico aspetto ideologico chiaro è il rifiuto di qualsiasi politica tesa alla crescita. Sfortunatamente l’isola sconta un mercato disastrato da decenni di assistenzialismo da parte del settore pubblico, con mezzo milione di pensionati, serrande abbassate, vincoli paesaggistici privi di equilibrio, e migliaia di giovani in fuga.

Le sigle di questo polo contestano persino al PSD’AZ di non essersi unito alla causa, nessuna però si è mai impegnata per una riforma della legge elettorale.

Non brillano per audacia neppure gli altri partiti sardisti, come quello di Maninchedda. Infatti nessuno si ricorderà della Giunta Pigliaru, orientatasi verso riforme fasulle. Qualche esempio? Pensiamo a quella sanitaria, dove la spesa rimane praticamente inalterata; o quella di un’Agenzia delle Entrate senza entrate (salvo almeno poter certificare il volume del magro gettito fiscale destinato a Cagliari). Per il resto si è avuta la solita ordinaria amministrazione, come il tentativo di salvare un monopolista pubblico del calibro di Abbanoa, e di completare arterie viarie ferme al palo.
La Giunta “sovranista” ha bruciato spesa pubblica e non è stata capace di liberare il mercato per creare ricchezza.
Consideriamo che la piccola crescita dell’occupazione regionale, stimata al 2,2%, attiene alla lieve ripresa italiana, stimolata da una fase congiunturale che non deve farci cullare sugli allori, e che non dipende certamente dall’operato della Giunta.

Nonostante tutto, in questa lenta discesa verso il baratro, accompagnata da un diffuso analfabetismo economico, c’è una nota positiva. Perché le varie sigle sardiste e indipendentiste hanno maturato qualcosa in comune: iniziano a reclamare la necessità di unirsi in un vero e proprio polo per l’autodeterminazione. Ma noi pragmatici, che badiamo alla sostanza e non agli slogan, ci teniamo i nostri dubbi.

Infatti i sardi non hanno tempo per questi sofismi e scappano.
Non possiamo biasimarli, nell’arco di pochi decenni l’estinzione sarà un fatto compiuto.

Nessuno si occupa del fisco. Nessuno si occupa della burocrazia. Nessuno si occupa di coniugare l’ambiente alla necessità di uscire dallo stallo. Siamo passati dall’epoca dei disastri ambientali a quella dell’impossibilità di tagliare le erbacce. Ma soprattutto non c’è nessuno che abbia la più pallida idea di come tagliare la spesa improduttiva a vantaggio degli investimenti privati. E badate bene, chiunque andasse al governo della Regione, fosse pure una Thatcher risorta, si troverà un mare di ostacoli difficili da affrontare, anche nell’arco di poche legislature.
L’indipendentismo, che continua a raccontarsi la balla di una Sardegna economicamente solida, magari stipendiata dalle accise della Saras (in pieno stile venezuelano), conosce poco e nulla i Comuni che pretenderebbe di guidare dall’alto, quasi si trattasse di emettere encicliche papali verso i propri fedeli.

Ma se oggi da questo ambiente non possiamo aspettaci competenza e razionalità, forse, per realizzare qualcosa di nuovo, dovremmo iniziare a contare solo sulle nostre forze.

Iscarica custu articulu in PDF

U.R.N. Sardinnya ONLINE

Be Sociable, Share!

    Commenta



    Per la pubblicazione i commenti dovranno essere approvati dalla Redazione.