Turismo: consumo del suolo o sottosviluppo?

I dati: dal 1985 ad oggi solo l’1% delle coste sarde ha subito trasformazioni, modifiche solo al 27% dei litorali. In ambito ricettivo, la Provincia di Oristano possiede 12.335 posti letto, la sola Maiorca (Baleari), di poco più grande, ne ha 435.707.

Perse 3.486 aziende sarde operanti nell’edilizia in meno di dieci anni, pari a 29.000 lavoratori.

Non ci sono dubbi, siamo in pieno sottosviluppo: la narrazione del “consumo del suolo”, gonfiata dai numeri delle seconde case, quasi esistessero colate di cemento sugli scogli, è l’esito di sindaci e Regione che hanno vincolato l’intera isola tagliando le gambe alla nascita di nuove strutture. Vari i Comuni premiati negli anni con “certificati verdi” per non aver fatto nulla. Un’ovvietà: quando l’uomo si assenta, la natura prende il sopravvento.
Immobilismo ed emigrazione infatti sono gli unici risultati di una classe politica assistenziale votata al fallimento. Il suo stupidario presenta i soliti slogan, tra cui “più alberghi non equivalgono a più turisti”.

Commentiamo questi ed altri dati – Di Adriano Bomboi.

Lo scorso ottobre, Renato Soru, padre del Piano Paesaggistico Regionale, ha partecipato ad un dibattito sulla rigenerazione urbana di Oristano. Tra i temi è andata in scena la solita narrativa del momento: “sostenibilità/recupero/stop al consumo del suolo”.
Nessuno è stato capace di interrogarsi sulle miserie di un’isola passata da un estremo all’altro, cioè dal costruire troppo e male, come negli anni del boom economico, al vietare quasi tutto, perdendo terreno nel campo della competitività: sia nella capacità di aggiornare le strutture più obsolete, sia nella capacità di svilupparne di nuove, influenzando persino al ribasso il valore del patrimonio immobiliare sul mercato.

I commentatori all’acqua di rose non considerano che la difficoltà di vari alberghi sardi nella capacità di riempire le proprie camere non deriva solo dal disastro dei trasporti sardi, e neppure dai numeri abituali del turismo sardo, ma dal livello di obsolescenza delle strutture (spesso con stanze piccole e prive di servizi, financo piscine e centri benessere). Ragion per cui ci servirebbero nuove strutture, capaci di ampliare e perfezionare l’offerta sul mercato.

Ciò che Soru & soci si sono scordati di dire è che la suddetta Provincia gode di appena 12.335 posti letto in un’estensione territoriale di quasi 3.000 kmq. Per farvi capire il gap con i nostri diretti concorrenti nel Mediterraneo basti osservare l’isola di Maiorca (Baleari), grande poco più del territorio oristanese, ma con ben 435.707 posti letto.

I numeri sono il più grosso antidoto all’ideologia. Pensate, le Baleari godono di un tetto pari a 623.624 posti letto, mentre la Sardegna stenta ad averne 210.000. Dieci anni fa, l’Emilia Romagna, nel solo settore alberghiero, privo delle nostre coste, ne vantava già 272.587.
In parallelo, la nostra edilizia ha perso 3.486 aziende nello stesso arco di tempo, pari a 29.000 lavoratori. Mentre altri lavoravano per crescere, noi per sprofondare nella crisi.

Paradossale persino la posizione di Legambiente, l’incoerenza delle sue posizioni la porta a denunciare costantemente presunti abusi al paesaggio, mentre al contempo certifica come l’isola sia al primo posto in Italia per la verginità del suo litorale.
Stando al report di Zanchini e Manigrasso, dal 1985 ad oggi solo l’1% delle coste avrebbe subito mutamenti, e solo il 27% dei litorali avrebbe subito consistenti modifiche (399 km su 1500).

Il dato ci offre due nuove considerazioni, anche in rapporto alla crisi dell’edilizia: la prima è che il PPR di Soru (2006) non ha inciso in misura significativa nella salvaguardia dell’ambiente; la seconda è che il crollo di operatori edili coincide con la fase successiva all’adozione del PPR.

In altri termini, è falso che prima del 2006 vi fossero pirati interessati alla distruzione del patrimonio costiero, mentre sono concreti i danni causati all’occupazione nelle fasi che seguono l’applicazione del PPR (e la graduale adozione dei PUC da parte delle amministrazioni locali).

Vi è poi un’altra considerazione da effettuare: i terreni vincolati ad esclusivo uso agricolo, anche in ragione della bassa solidità finanziaria dei loro titolari, ha contribuito ad uno sviluppo del settore primario?
La risposta è no.

L’indice di consumo del suolo, adottato come mantra per la scrittura del PPR, rappresenta in realtà un indice astratto capace di spingere la dialettica politica ad equiparare le migliaia di seconde case vuote a delle strutture ricettive (a testimonianza dell’analfabetismo di chi confonde un albergo, specializzato nell’erogazione del servizio, con una casa vuota, i cui titolari potrebbero non essere affatto interessati ad occuparsi di ricezione). La ricerca del mitologico “albergo diffuso” è infatti l’ultimo rifugio di chi non comprende che il piccolo affittacamere, o b&b, nel quadro di una seria industria ricettiva, costituisce solo un’integrazione ad un ampio sistema alberghiero (che però non possediamo).

L’isola è connotata da ampie aree costiere abbandonate a sé stesse, e con poche aree munite di numerosi hotel (la Gallura in solitudine possiede strutture di oltre 145 posti letto). La normativa regionale si è posta quindi come ulteriore ostacolo ad una spontanea armonizzazione territoriale del settore ricettivo, sigillando posizioni di privilegio a scapito di buona parte dell’isola, praticamente ferma al palo, con tutte le conseguenze sociali del caso.

Insomma, abbiamo pochi e antiquati alberghi, la cui crescita non è impedita dal mercato ma dalla politica, quella costellata di personaggi a caccia della moda progressista del momento, ovviamente muniti di uno stipendio pubblico. La cosa non deve stupirci, già dal 1971, nel saggio “The Anti-industrial Revolution”, Ayn Rand comprese che una delle nuove frontiere della crisi della sinistra sarebbe stata quella di promuovere un ambientalismo radicale, nocivo sia all’ambiente che allo sviluppo.

E oltre il danno non manca la beffa. Mentre i sindaci vincono “certificati verdi” con cui millantano impegni in favore dell’ambiente, i giovani scappano dalla desolazione economica di questi fanfaroni per andare a lavorare nelle poche strutture esistenti, anche per una sola stagione (chi non ha uno stipendio pubblico ha la decenza di non alzare la voce contro la stagionalità). Oppure emigrano direttamente all’estero, magari per lavorare negli hotel dei nostri concorrenti.
Questi giovani non hanno tempo da perdere con amministratori premiati per non aver fatto nulla. Del resto non è difficile “essere green” quando alle persone si preferiscono le erbacce.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE

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