Il giorno dei morti (viventi)

Dice Renato Soru: “No all’indipendenza. I sardi sono morti per l’unità d’Italia”.

Addirittura? – Di Adriano Bomboi.

Dice Renato Soru:

No all’indipendenza. I sardi sono morti per l’unità d’Italia“.

Addirittura?

Persino i romani per tenere unito l’impero dall’Inghilterra a Israele. Ma quegli ingrati di Britannia e Giudea si sono resi indipendenti da Roma!

Sarcasmo a parte, come si definisce il ragionamento di Soru?
Utilizzare il passato per giustificare una condizione del presente è una forma di nazionalismo.

Secondo questo tipo di mentalità, il passato vincola il presente.
Il passato diventa dunque una condizione permanente nel tempo e nello spazio (e viene persino codificato tramite la rigidità costituzionale presente in vari Stati).

In altri termini, i morti (e il loro contesto, che non esiste più) obbligano i vivi a non cambiare (anche se i viventi abitano contesti profondamente diversi che invece possono richiedere dei cambiamenti).

Eppure la storia non serve solo a giustificare il nazionalismo politico di orientamenti come quello di Soru ma anche a legittimare chi intende contrastare quel nazionalismo: infatti noi potremmo ricordarci che tanti sardi partirono al fronte non tanto per “l’ideale della patria”, ma perché c’era la fame (e anche la coscrizione obbligatoria).

Tali sardi morirono solo perché non avevano alternative.

E allora come si risponde a chi scomoda la dignità dei morti per allontanare il cambiamento del presente?

Con una rispettosa pernacchia.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE

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    1 Commento

    • Erettu, appenas lezzida, custa cosa m’ind’aiat fattu un’ascu, mì! Ma, appoi de carki die, appo dezzisu a li rispondere, ai cusse.
      Beh, debbo dire caro Bomboi, che la più sonora pernacchia, la più irrispettosa, viene quì davvero spontaneo espettorare! Anzi, posso affermare essere, tal sontuosamente rigoroso suono, richiamato a gran voce proprio dalla specifica circostanza cui ricorse il nostro! Il quale manifesta grande ignoranza nel tracciare la storia più recente di quella Sardegna nella quale non ama essere coinvolto!
      E, per essere più chiaro riporterò:
      «- Anche domani un assalto!
      - Io scommetto che domani c’è l’assalto.
      - E perché non ci dovrebbe essere? Non siamo noi figli di puttana?
      - Non c’è. La corvée non ha portato né cioccolato né COGNAC.
      - Arriverà più tardi, quando saremo tutti morti. E se li sbaferà il sergente furiere.
      - No, ti dico. Non si è mai visto un assalto senza cioccolato e senza COGNAC. Il cioccolato può anche mancare, ma non il COGNAC »! (p.94)
      Oppure:
      «Il cannone (nostro, ndr) aveva ottenuto, per solo risultato, la ferita del puntatore e del tenente (nostri, ndr). I guastatori (nostri, ndr) erano caduti tutti. Ma l’assalto doveva aver luogo ugualmente. Il generale era sempre là come un inquisitore, deciso ad assistere, fino alla fine, al «supplizio dei condannati». Mancavano pochi minuti alle 9.
      Il battaglione era pronto. Le baionette innestate. La 9a compagnia era tutta ammassata […]. La 10a veniva subito dopo. Le altre compagnie erano serrate […]. Non si sentiva un bisbiglio. Si vedevano muoversi LE BORRACCE DI COGNAC! DALLA CINTURA ALLA BOCCA, DALLA BOCCA ALLA CINTURA, DALLA CINTURA ALLA BOCCA. Senza arresto, come le spolette d’un grande telaio, messo in movimento […]». (p.104)
      O ancora:
      «- Pronti per l’assalto! – ripeté ancora il capitano […] .
      L’assalto! Dove si andava? Si abbandonavano i ripari e si usciva. Dove? Le mitragliatrici, tutte, sdraiate sul ventre imbottito di cartucce, ci aspettavano. Chi non ha conosciuto quegli istanti, non ha conosciuto la guerra.
      Le parole del capitano caddero come un colpo di scure. La 9a era in piedi […]. La 10a stava di fronte […]. Due soldati si mossero ed io li vidi, uno a fianco dell’altro, aggiustarsi il fucile sotto il mento. Uno si curvò, fece partire il colpo e s’accovacciò su sé stesso. L’altro l’imitò e stramazzò accanto al primo. Era codardia, coraggio, pazzia? Il primo era un veterano del Carso.
      […] La 9a, tenente Avellini in testa, superò la breccia e si slanciò all’assalto. Il generale e il colonnello erano alle feritoie.
      - Il comando di battaglione esce con la 10a, – gridò il capitano.
      E quando la testa della 10a fu alla breccia, noi ci buttammo innanzi. La 10a, la 11a e la 12a, seguirono di corsa. In pochi secondi tutto il battaglione era di fronte alle trincee nemiche.
      Che noi avessimo gridato o no, le mitragliatrici nemiche ci attendevano. Appena oltrepassammo una striscia di terreno roccioso ed incominciammo la discesa verso la vallata, scoperti, esse aprirono il fuoco. Le nostre grida furono coperte dalle loro raffiche. A me sembrò che contro di noi tirassero dieci mitragliatrici, talmente il terreno fu attraversato da scoppi e da sibili. I soldati colpiti cadevano pesantemente come fossero stati precipitati dagli alberi. […] Ufficiali e soldati cadevano con le braccia tese e, nella caduta, i fucili venivano proiettati innanzi, lontano. Sembrava che avanzasse un battaglione di morti. […] le ondate d’assalto diradavano e su mille uomini del battaglione, pochi restavano in piedi ed avanzavano. Io guardai verso le trincee nemiche. I difensori non erano nascosti, dietro le feritoie. Erano tutti in piedi e sporgevano oltre la trincea. Essi si sentivano sicuri. Parecchi erano addirittura dritti sui parapetti. Tutti sparavano su di noi, puntando calmi, come in piazza d’armi». (pp.105-6)
      Ed anche:
      «Le mitragliatrici non potevano più colpirci, ma noi offrivamo, ai tiratori in piedi, un bersaglio compatto. I resti del battaglione erano tutti ammassati in quel punto. Contro di noi si sparava a bruciapelo.
      D’un tratto gli austriaci cessarono di sparare. Io vidi quelli che ci stavano di fronte, con gli occhi spalancati e con un’espressione di terrore quasi essi e non noi fossero sotto il fuoco. Uno, che era senza fucile, gridò in italiano:
      - Basta! Basta!
      - Basta! – ripeterono gli altri, dai parapetti.
      Quegli che era senz’armi mi parve il cappellano.
      - Basta! Bravi soldati. Non fatevi ammazzare così.
      Noi ci fermammo, un istante. Noi non sparavamo, essi non sparavano. […] Dalla nostra trincea, una voce aspra si levò:
      - Avanti! Soldati della mia gloriosa divisione. Avanti! Avanti, contro il nemico!
      Era il generale Leone»! (pp.107-8) da: E. Lussu, 2000, Un anno sull’Altopiano, Einaudi, Torino.

      Come ciascheduno può molto ben comprendere, il Soru, con consumata prontezza da imprenditore e cosciente preparazione sulla storia della sua Terra, qual si conviene ad un politico di rilievo, ha perfettamente compenetrato «LO SPIRITO» che spinse i Sardi a «farsi ammazzare così»!
      mikkelj
      * – Nota per i due o tre Sardi che non ne sono a conoscenza: l’Emilio Armunzesu, prestò servizio come tenente nel 151° reggimento della Brigata Sassari e racconta gli avvenimenti bellici vissuti tra il giugno 1916 ed il luglio 1917.

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