‘Idee di Sardegna’ per capire l’isola: Carlo Pala ci parla del suo ultimo saggio

“Idee di Sardegna” (Carocci editore, 325 p.) è l’ultimo libro di Carlo Pala, il più autorevole politologo sardo in materia di autonomismo e indipendentismo. Incontriamo l’autore per parlare di un testo significativo per comprendere meglio limiti e prospettive di questo ambiente politico – Di Adriano Bomboi.

Se mi chiedessero di individuare il filo conduttore che guida “Idee di Sardegna”, risponderei senza ombra di dubbio che si tratta della ricerca di una frontiera: un confine sociale che separa la politica nazionale italiana da quella sarda. L’ampiezza di questo confine ci offre una panoramica su coloro che lavorano per estenderla o per limitarla. Ma quali sono gli strumenti della scienza politica per osservare questo confine?

Questa è una domanda molto importante e interessante, ma lo può essere anche per i lettori interessati al tema che il libro cerca di sviscerare. La scienza politica, infatti, non si è uniformemente, né continuamente, occupata del tema che può essere riassunto nell’espressione “cleavage centro-periferia”. È un concetto difficile, se spiegato con i termini scientifici, ma noi proveremo a spiegarlo con parole più comprensibili. Il cleavage centro-periferia è quella frattura, quella distanza, quella differenza che si crea tra un centro politico e le periferie che nel corso della storia a quel centro sono state annesse. Non sempre questa integrazione ha fatto felici tutti. Vi sono esempi, numerosissimi e che i lettori di Sa Natzione conoscono senza bisogno di soffermarvisi, che esprimono questa sorta di conflitto. Conflitto che a volte è latente, a volte richiede per queste periferie maggiori poteri di autonomia ma a volte una piena indipendenza. Ecco, la scienza politica ha il compito di studiare perché avvengono questi fenomeni, chi sono gli attori che li veicolano, quali partiti politici li generano, che tipi di voto elettorale producono, che movimenti sociali si formano e che opinione, non sempre unanime, nella gente vanno a diffondere. Occorre quindi fare molta ricerca empirica (osservazione partecipante dei fenomeni, indagini statistiche, sondaggi, campionamenti, e così via), per comprendere meglio tutti questi fenomeni.

Anticipiamo qualche argomento.
Nella dialettica politica dell’isola emerge ogni tanto l’idea che il fenomeno indipendentista sia la risultante di un semplice moto di protesta legato alla contingenza politica od economica del momento. Quanto c’è di vero e quanto c’è di falso in questa opinione?

Di vero c’è solo una cosa, ovvero che un fenomeno politico può essere deliberatamente ascritto a qualsivoglia motivazione. Questo a livello colloquiale e solo in teoria. Perché se prendiamo il caso della Sardegna, come la domanda pone, la risposta è molto più complessa di come potrebbe apparire. Si potrebbe affermare che i fenomeni del cleavage sardo, nel senso detto prima, siano praticamente sempre esistiti, ma solo raramente abbiano prodotto risultanze politico-elettorali di un certo pregio e di un certo spessore. Tuttavia, se ci fermassimo a questo, perderemmo assolutamente di vista il fenomeno nella sua globalità. L’indipendentismo sardo è sempre stato nelle corde della popolazione isolana anche quando la stessa pareva non accorgersene. Un indipendentismo che potremmo definire sociale. Diverso è il caso dell’indipendentismo politico, dove spesso non abbiamo assistito a quelle necessarie sussunzioni di quanto avviene nella società isolana. Forse l’unica cosa vera può essere che il voto radicale (come potrebbe essere definito quello indipendentista) si esprime sempre come reazione a un malcontento. Ma nel caso sardo non credo sia proprio così. Gli anni Duemila hanno evidenziato una ripresa del fenomeno anche prima che scoppiasse la cosiddetta crisi economico-finanziaria del 2008. Io sono sempre più convinto che questo vada espresso e ricondotto in un movimento ondivago della volontà indipendentista dell’isola, che oscilla tra fasi di sonno e di veglia. Ora poteva essere una fase di piena veglia, ma ultimamente forse, e parlo dal punto di vista delle forze politiche etnoregionaliste (che comprendono quelle indipendentiste), questa veglia è un po’ meno attiva.

Nonostante i modesti riscontri elettorali, l’indipendentismo pare essersi allontanato da una dimensione di accentuato contrasto alle istituzioni italiane, ed ai partiti centrali presenti a Cagliari, riuscendo a contaminare questi ultimi con tematiche vicine al territorio. Tra queste, la vertenza entrate; la necessità di ridurre l’eccesso di basi militari, e tante altre. Siamo alla vigilia di una rinascita dell’Autonomia regionale o del suo tramonto?

È certamente vera questa analisi che pone l’indipendentismo sardo non più in profondo contrasto con lo stato italiano e col centro, almeno nei modi che avevano animato gli anni ’70. Questo però non significa che vi siano altre forme di contrasto, anche maggiori. Oggi siamo in una fase in cui le forze indipendentiste da poco entrate nelle Istituzioni regionali e locali devono abituarsi alle stesse, farci l’abitudine. E si rendono conto, come tutti del resto, di quanto stiamo vivendo una fase di profondo ritorno al centralismo da parte dello stato italiano. Io credo che la storia dell’Autonomia sia sostanzialmente finita, con tutte le cose buone e meno buone che ha portato alla Sardegna. Non vi è più quello spirito. Oggi anche le forze di ispirazione centrale che operano in Sardegna ricercano, a parole, per l’isola una maggiore autonomia, andando spesso ad inseguire i partiti etnoregionalisti sul loro terreno. Potrà rinascere una nuova Autonomia ma solo se tramonta quella esistente, del tutto inadeguata oggi al suo scopo originario.

Malgrado la sua travagliata storia, il Partito Sardo d’Azione continua a rappresentare, anche all’estero, la vetrina più prestigiosa del nazionalismo sardo. A cosa si deve la longevità del partito più antico dell’isola?

Alla sua longevità, tout court! Non voglio sfuggire alla domanda, ma rispondere con la stessa. Io ritengo infatti che il Partito Sardo d’Azione, non dal punto di vista storico, che non mi compete, ma da un punto di vista politico, rappresenti ancora oggi quella forza che è in grado di catalizzare maggiori consensi. Non dimentichiamoci che negli anni ’70, quando sembrava per sparire, il PSdAZ ha subito l’ingresso di esponenti di altri movimenti, come Su Populu Sardu, che hanno finito per cambiarne la carta d’identità e poi preparare ai successi del vento sardista degli anni ’80. La capacità di diffusione capillare di quel partito, le origini e i miti, che non sono meno importanti, che stanno su di esso, il fatto che “oggi in Sardegna non c’è famiglia in cui non sia esistito un padre, un nonno, uno zio o un cugino sardista”, ecco, sono tutti motivi della sua forza. Molte forze indipendentiste e sovraniste, ho cercato di evidenziare nel libro, hanno copiato la forma partito del PsdAZ. Pur con tutti gli errori, resta davvero un partito-faro, nel bene e nel male, del mondo regionalista isolano.

Al di là delle ideologie dei nostri partiti sardi, scarsamente liberali, possiamo affermare che la mancata valorizzazione di tematiche attinenti alla lingua ed alla cultura locale abbia avuto un peso nei loro bassi consensi elettorali?

Io credo di sì. Magari, non ne è l’elemento determinante, ma certo appare un paradosso di come le formazioni etnoregionaliste sarde non abbiano fatto della lingua un loro cavallo di battaglia realmente centrale. Io credo che questo derivi un po’ dalle motivazioni originarie del cleavage sardo, che sono di carattere socioeconomico e non culturale. Certo, perché la lingua sarda non era in pericolo e non se ne avvertiva il pericolo, però poi la situazione è cambiata già dall’epoca della modernizzazione negli anni ’60. La lingua e la cultura sono centrali per questi fenomeni. E infatti è significativo il fatto che il nostro statuto regionale non abbia una, dico una, norma di peso sull’identità, sulla lingua e sulla cultura isolane. Se allo statuto sardo coprissimo la parola “Sardegna” e i suoi aggettivi, potrebbe essere un qualsiasi statuto ordinario un po’ più avanzato rispetto agli altri. Questa è certamente una realtà.

Grazie.

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