Sassari: un convegno su Paolo Dettori? Ecco come avversava l’indipendentismo

Il seguente articolo è tratto dal libro: “L’indipendentismo sardo. Le ragioni, la storia, i protagonisti”, di Adriano Bomboi (Cagliari, Condaghes 2014), pp. 107-108*.

Per qualche decennio l’indipendentismo nostrano è stato tacciato di essere, a torto, “isolazionista”, con un’idea di Sardegna arretrata e isolata dal resto del mondo. Uno degli autori di questa esorcizzazione fu proprio un personaggio che oggi viene celebrato tanto dal PD quanto dal centrodestra italiano tra i “padrini” dell’autonomismo sardo, si tratta di Paolo Dettori, leader della DC regionale negli anni Sessanta, che così argomentava la sua visione dell’autonomia in Sardegna:

«La riacquistata consapevolezza che i sardi sono una comunità che, vinti la disgregazione e l’isolamento, non si ignora e ritrova i suoi valori […] e conosce un mondo più vasto che progredisce, ed a quel progresso vuole partecipare, […] al dovere di essere parte delle esperienze che nel mondo odierno si compiono. Né l’autonomia ha significato chiusura in noi stessi, né accettazione di suggestioni separatistiche» (nota 125).

Per Dettori il “progresso” consisteva unicamente nell’omologazione delle caratteristiche culturali ed economiche sarde all’Italia. Qualsiasi elemento si portasse fuori da questa visione agitava lo spettro di una chiusura e di un sedicente e “suggestivo” isolamento della Sardegna dal contesto internazionale.
Fu così che, non solo nella DC ma in particolare nel PCI, si consolidò il centralismo politico, culturale, economico e istituzionale dei partiti italiani di maggioranza e opposizione, i quali ridussero il concetto stesso di autonomismo a una formula puramente retorica e che nel concreto ha rappresentato la rimozione delle nostre caratteristiche e del nostro valore aggiunto territoriale. In linea con quanto già avveniva sotto il Regno d’Italia.
Al contrario, una concreta autonomia nel quadro di una comunità istituzionale più ampia non è altro che una forma di federalismo, più o meno esplicita, che trae la sua forza da un patto tra soggetti e/o comunità diverse. Il termine “federale” infatti deriva dal latino foedus (patto). Concetto inapplicabile presso l’architettura costituzionale italiana dove, come abbiamo visto (nota 126), a oggi non esistono soggetti istituzionali di pari grado titolati a contrattare con lo Stato centrale. Eppure il regionalismo italiano non nacque unicamente per ragioni di insularità o alterità economica, ma anche e soprattutto per ragioni culturali.
Ecco cosa affermava esplicitamente il giurista Aldo Sandulli sugli obiettivi dei nuovi enti locali: «Al fine di conciliare le esigenze nazionali con le forze centrifughe suscitate da condizioni etniche» (nota 127).
Si riconosceva insomma l’esistenza di alterità culturali potenzialmente tendenti all’indipendenza, ma si riteneva opportuno assimilarle.

In Sardegna, gli eredi contemporanei di Dettori, nel malcelato timore di parlare apertamente di nazione sarda, si rifugiano abitualmente nel mascherare la natura polivalente del federalismo esibendosi in convegni nei quali il dibattito ignora l’esistenza di federalismi multinazionali e viene prevalentemente orientato nel parlare quasi esclusivamente di federalismo fiscale, con le sue principali differenziazioni di “solidale” (federalismo egualitaristico che compartecipa ai bisogni dei soggetti federati) e “antagonista” (federalismo i cui membri sono fiscalmente autosufficienti l’uno dall’altro). Per costoro continua a mancare una lettura complessiva dei pregi e dei difetti sin qui osservati nella sessantennale esperienza autonomistica regionale.

- Segue nel libro, su cui si trovano ulteriori e numerose dichiarazioni e sfaccettature inerenti l’esperienza “autonomistica” regionale*.

Note: 125) Dettori P., Scritti politici e discorsi autonomistici, Gallizzi, Sassari 1976, p. 49.
126) Cfr. Capitolo IV, La Corte Costituzionale Italiana: un organo illiberale.
127) Sandulli A., Manuale di Diritto Amministrativo, Jovene, Napoli 1952, p. 249.

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