Risultati referendum 2012: Lettera al pres. della Commissione Regionale Autonomia Maninchedda

“Dopo il 6 maggio”: Lettera di commento al presidente della Commissione Autonomia in Regione, l’On. P. Maninchedda (PSD’AZ).

Caro Paolo Maninchedda,

Nella giornata del 6 maggio, sconfessando la proverbiale indifferenza all’azione dei Sardi, 500.000 persone hanno preso in mano la scheda elettorale, sono uscite di casa e si sono recate al proprio seggio per esprimere una indicazione (più o meno consapevole) sul futuro delle proprie istituzioni regionali.
Il referendum ha superato il quorum del 33% e pertanto il lavoro della Commissione Autonomia presieduta dal Partito Sardo d’Azione si trova nella posizione di portare avanti le indicazioni suggerite dal Movimento Referendario Sardo e fornite da mezzo milione di Sardi.
Nel merito dei singoli quesiti e al fine di tutelare la massima rappresentanza democratica possibile, il lavoro di riassetto degli enti locali, già avviato nelle discussioni della Commissione, dovrebbe politicamente recepire la volontà che stavolta, non Roma, ma il Popolo Sardo ha manifestato nei confronti della sua classe dirigente. Non è poco per chi sostiene il criterio della sovranità originaria e non delegata.
Dopo il 6 maggio, la prossima legge elettorale dovrà considerare in termini proporzionali e non maggioritari il suo rapporto con la richiesta popolare di ridurre il numero di consiglieri regionali, al fine di salvaguardare la rappresentanza democratica delle minoranze politiche. Non è il numero di sedie in un’assemblea a fare la democrazia ma la legge che attribuisce tali sedie alle varie forze politiche. Mussolini ne sapeva qualcosa.
Dopo il 6 maggio, con l’abrogazione delle nuove Province, non ci sarà la “catastrofe” annunciata dai disfattisti, ma nonostante il decreto di attuazione di Cappellacci sul referendum, sarà inevitabile prospettare un “regime di garanzia”, cioè un lasso di tempo necessario affinché le vecchie Province tornino in possesso delle competenze perse 11 anni fa e che vengano preventivamente risolte tutte le vertenze in corso d’opera presso le nuove.
Dopo il 6 maggio, riteniamo sia opportuno il superamento dell’attuale conformazione degli enti intermedi abbinandone la riforma – non solo in base alle indicazioni del Governo Monti – ma iniziando a prospettare il livello successivo, vale a dire la forma che potrebbero avere gli enti intermedi anche in presenza di un futuro nuovo Statuto Autonomo, redistribuendo poteri e personale nel territorio (unitariamente ai servizi di tutela linguistica Sarda fin’ora portati avanti). Cioè non è necessario attendere una riscrittura integrale dell’Autonomia per ristrutturare in modo definitivo, previo passaggio Parlamentare, le attuali Province storiche (Sassari, Nuoro, ecc). Sotto questo punto di vista insomma prosegue il lavoro già avviato dalla Commissione, tempi non brevi, ma neppure eterni.
I problemi della rappresentanza sugli interessi localistici li possiamo condensare nei dibattiti che portarono all’istituzione della Provincia dell’Ogliastra. E’ immaginabile che una popolazione di quasi 58.000 anime abbia istituito una Provincia? 11 anni fa uno dei motivi essenziali fu quello secondo il quale la Provincia di Nuoro – a cui apparteneva il territorio ogliastrino – non destinava sufficienti attenzioni politiche al territorio. A quella concentrazione di potere si rispose con un’altra concentrazione di potere, al posto di redistribuire meglio fra le comunità quel dislivello di democrazia. Se l’errore di fare una Provincia con così pochi abitanti è stata abrogata, neppure si potrà tornare all’errore di confidare nella sola Provincia di Nuoro per l’effettiva rappresentanza di queste popolazioni.
E sempre dopo il 6 maggio sarà opportuno immaginare un meccanismo legislativo per l’indizione di elezioni primarie per quanti si candideranno alla presidenza della Regione, strappando ai partiti la possibilità che questi gestiscano con modalità discrezionali il numero e il conteggio delle preferenze. Con buona pace del qualunquismo di una nota scrittrice come Michela Murgia, la cui assenza di contenuti nell’invito all’astensione quasi arrivava al punto di contestare il modello politico statunitense, dove l’istituto delle primarie è normato per legge e non, come in Italia, affidato alla “buona volontà” dei partiti che ne fanno uso.

Sarebbe inoltre opportuno evitare di separare il tema della crisi economica dal tema delle riforme istituzionali da compiere (incluse quelle a sfondo identitario, come in materia di tutela linguistica). In particolar modo dal proposito di avviare una Costituente destinata a riscrivere lo Statuto Regionale proprio per aumentare quei livelli di sovranità necessari a calibrare la nostra Autonomia sulla tutela degli interessi economici territoriali piuttosto che di quelli d’oltremare. Un ritardo nell’accoglimento di questa volontà popolare finirebbe per aumentare il solco tra il Popolo e la politica, e questo non è certamente il periodo più idoneo per un’operazione simile. L’eco della disperazione rischia di raggiungere i vetri del Palazzo frantumandoli nell’antipolitica: proprio quella che tutti contestiamo e che finisce per portare al risultato opposto, cioè alla conservazione. Quella in cui non si fanno riforme per lo sviluppo e ci si riduce ad un lento e inesorabile declino dove il potere reprime la protesta. Il tutto mentre i validi amministratori vengono associati a quelli meno produttivi.

Eppure non si tratta solo di limitare lo “spread” fra il Palazzo e i cittadini, si tratta anche del futuro del nazionalismo Sardo. Il PSD’AZ si trova di fronte a un bivio della sua lunga storia politica. Dopo questo referendum ha l’opportunità di fare una scelta: quella di trincerarsi nel classico tatticismo pre-elettorale, oppure quella di cavalcare in modo responsabile le esigenze del mezzo milione di Sardi la cui impazienza va compresa, non delegittimata e non ricondotta unicamente alle contese interne tra partiti. Impazienza che rischia di generare delle sacche di radicalismo.
U.R.N. Sardinnya ritiene che i tempi per l’arrivo di una legislatura di tipo Costituente siano relativamente maturi, tuttavia il prossimo presidente della Regione, anche se sardista, non potrà replicare lo schema della vecchia Giunta Melis nel corso degli anni ’80. Il sardismo non riuscì a compiere nessuna grande riforma. Significa che se la ricerca del consenso politico fra le varie forze consiliari con cui costruire un’alleanza elettorale equivale al mitigare la necessità delle riforme da compiere (per non scontentare i particolarismi degli alleati), allora la Sardegna non avrebbe bisogno di un secondo Presidente sardista con le mani legate dietro la schiena prima ancora di una sua eventuale candidatura. Il rischio di retorica è sempre dietro l’angolo. Non cadiamoci ancora. Il PSD’AZ valuti bene la natura dei suoi accordi pre-elettorali oltre il medio termine evitando contrattazioni al ribasso.

Altre considerazioni sul panorama identitario: fra i partiti Sardi che hanno furbescamente tentato di confondere il no al referendum con l’astensionismo (che ha varie ragioni) si è manifestata una pessima cultura democratica, spia del loro fallimento politico. Per 3 motivi: 1) Non hanno saputo interpretare l’onda di malessere diffuso presso la popolazione che affermano di voler rappresentare (e non stiamo parlando di poche migliaia di persone); 2) Hanno confuso i promotori con le proposte del referendum (infatti per giudicare i politici esistono le elezioni e non il referendum); 3) Si trovano nell’imbarazzante contraddizione di voler sostenere le riforme ma di dover minimizzare le indicazioni di mezzo milione di Sardi per non aver sostenuto questo esercizio di democrazia diretta.
Infatti, l’indipendentismo Sardo, nella maggioranza delle sue componenti, è stato sicuramente l’area politica con la minor credibilità a causa della sua posizione astensionista verso il referendum. Sia perché si è indirettamente posto a tutela dei santuari del clientelismo partitico italiano, e sia perché non ha saputo né riconoscere e né assecondare la legittima volontà di cambiamento di un Popolo che ha votato si alla Costituente per il superamento dell’attuale Statuto Autonomo Regionale.
Proprio così. Mentre il PAR.I.S. del noto Doddore Meloni raccoglie oltre 27.000 firme per una improbabile indipendenza nel 2012 ed il ProgReS raccoglie firme per attuare l’art. 9 (sull’autonomia della riscossione fiscale) di uno Statuto Regionale, ignorano mezzo milione di Sardi che chiede proprio il rinnovo di quello Statuto.
E’ un mondo difficile caro Maninchedda, viviamo in un epoca dove gli indipendentisti fanno i centralisti e dove i centralisti fanno gli indipendentisti. Nel frattempo in altre minoranze internazionali i Nazionalisti hanno le idee chiare, si sviluppano e governano con ampio consenso popolare.

La scarsa cultura democratica produce danni incalcolabili nel nostro tessuto sociale.
Una terra in cui il Popolo presenta già ampi livelli di disaffezione alla politica che si traducono in astensionismo non può permettersi il lusso di rinunciare politicamente all’unico diritto rimasto in suo possesso, quello del voto.
Altrove, senza l’esercizio di questo potere arrivano i Governi tecnici, e dopo i Governi tecnici arrivano le Giunte militari. Fortunatamente non siamo in quella direzione. Non ancora.

Sia chiaro, nessuno critica il diritto all’astensione, ma il qualunquismo di tanti commentatori con cui hanno giustificato l’astensione stessa (celando un retroterra politico).
Perché, a posteriori, in buona fede si rischia di giustificare il mancato utilizzo del diritto di voto addossando delle responsabilità collettive a chi invece ha partecipato al referendum. E’ il caso della valutazione dell’amico Gianfranco Pintore, che rispetto ma non condivido.
Afferma lo scrittore: “I cittadini galluresi, quelli del Sulcis-Iglesiente e dell’Ogliastra hanno deciso ieri che a loro le rispettive Province vanno bene, le vogliono e, per questo, hanno bocciato il referendum”.
Le Province dove si è votato di più hanno deciso anche per quelle ad affluenza più bassa (Dati Regione Sardegna).
Si tratta di una semplificazione politica, determinata anche dalla volontà di trovare un nesso storico-identitario nell’esito referendario di queste Province (nesso che probabilmente esiste, ma non in misura quantificabile).
Infatti non si può leggere l’astensione solo come un no ai quesiti referendari. Se veramente i cittadini di quei territori non desideravano l’abrogazione avrebbero dovuto esercitare il loro diritto di voto quando ne hanno avuto l’opportunità: il 6 maggio potevano votare no piuttosto che disertare le urne. Infatti quando non si esercita un diritto lo si consegna immancabilmente a terzi. Probabilmente il diritto alla poltrona non ha lo stesso peso del diritto di voto. Ragion per cui la lamentela di quanti confidavano nell’astensione ha fatto un sonoro buco nell’acqua. Ricordiamocelo per il futuro.

Grazie per l’attenzione,

Adriano Bomboi,
Gruppo U.R.N. Sardinnya.

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    3 Commenti

    • Condivido l’analisi. In particolare le righe sui limiti dei partiti, movimenti Sardi, che difettano in cultura democratica. Continuano guardarsi la punta del naso, hanno paura di concedere spazio agli avversari politici anche quando fanno cose giuste che dovrebbero fare loro.

    • [...] non il primo, fra i primi sicuramente: l’8 maggio scorso il sottoscritto inviava una lettera al presidente della Commissione Autonomia in Regione Paolo Maninchedda, segnalando quale fosse la [...]

    • [...] la base delle riforme da portare avanti. Le forze riformiste, già emerse in occasione del voto referendario di mezzo milione di Sardi che hanno votato si ad una Costituente per riscrivere lo [...]

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