Cossiga conteso per una targa e Pompei in Parlamento: indecenze o ritardi culturali?

E noi, che come indipendentisti non simpatizziamo certamente con questa o quella parte politica italiana, non possiamo che concordare con le parole del deputato Bruno Murgia: a Nuoro nessuno si è scandalizzato per l’esistenza di una via intitolata al defunto dittatore jugoslavo Tito.
Secondo noi dovrebbero. Ma quandomai infatti un paese civile ricorda in uno spazio pubblico gli emblemi del totalitarismo?
E così, in ragione di un clima ideologico costruito ad arte da pochi falsi moralisti, ci si erge a paladini della democrazia ponendo il veto all’intitolazione di una strada all’ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga.
Stessa musica presso l’ERSU di Sassari, l’opposizione all’iniziativa di dedicare un’aula allo statista Sardo ha pressoché gli stessi contenuti.
Oltre al solito armamentario ideologico, che puntualmente scorda di contestualizzare storicamente i difficili eventi della Guerra Fredda, vengono tirate in ballo le solite dichiarazioni che lo stesso Cossiga fece attorno al 2008, quando con fare provocatorio ricordò al Ministro dell’Interno che tra gli anni di piombo e l’ultimo decennio c’era “qualche” differenza. Allora il terrorismo nacque nelle università prima che nelle fabbriche. Nacque nel benestare della borghesia piuttosto che nelle difficoltà della retorica “proletaria”.
Diciamolo pure liberamente: “sputtanò” in pubblico alcuni ambienti della Polizia di Stato ancora abituati, chissà, alle provocazioni di piazza per giustificare così, a seguito di scontri, una repressione delle contestazioni.

Qualcuno ha cercato accostamenti con i recenti scontri di Cagliari tra alcuni pastori e le forze dell’ordine, dove un allevatore è rimasto ferito ad un occhio. Peccato che il 6 novembre 1990 sia successa la stessa cosa, ma a carico di un poliziotto. Anche allora i pastori tentarono l’occupazione del Consiglio Regionale.

Cossiga invece operò in momenti molto difficili della storia italiana, quando il limite tra lecito ed illecito veniva sovrapposto con troppa disinvoltura. Ma se taluni atti non erano giustificabili ieri, ancora meno lo sono oggi. Ecco il perché di quelle provocazioni.
Naturalmente i tapini che oggi contestano Cossiga non hanno compreso nulla di tutto ciò, o non vogliono capirlo.
Piaccia o non piaccia, è stato un importante esponente dello Stato Italiano ma anche del Popolo Sardo. Forse non fu un santo, ma neppure un dittatore.
Negargli una memoria pubblica sarebbe il sintomo di un manifesto ritardo culturale che attraversa non solo l’italietta che noi indipendentisti contestiamo, ma anche quella triste influenza ideologica penetrata in una parte del Popolo Sardo, abituandolo a logiche che tutt’oggi lo portano a tifare per questa o quella parte politica. Ignorando invece quanto gli interessi territoriali Sardi (economici e culturali) siano ben diversi da quelli del resto della Repubblica Italiana.
Il contesto ricorda vagamente un’altro problema di attualità, quello di contestare il federalismo (lanciato male dalla Lega Nord) al solo fine di contestare il berlusconismo, ignorando che un vero federalismo (ripetiamo, non quello “padano”), potrebbe iniziare ad invertire quel trend di abbandono a cui è subordinata la Sardegna da una classe politica – di maggioranza ed opposizione – che, sentendosi solo parte dell’Italia (come se essa non avesse caratteristiche diverse al suo interno), non si pone alcun problema circa il superamento di istituzioni sorde e centraliste.
La consapevolezza di questi ritardi ci avrebbe spinti non solo a rimuovere un dittatore dal titolo di una strada pubblica ed a ricordare Francesco Cossiga, ma ci avrebbe suggerito che ci sono ben altri nomi da revisionare nella toponomastica pubblica.
Pensiamo ai massacri compiuti a spese dei patrioti nazionalisti Sardi da parte dei Savoia durante i moti per la modernizzazione della Sardegna ed il superamento del regime feudale.
I libri continuano a tacere, ma i Savoia continuano a rappresentare le nostre strade e le nostre piazze.
Pensiamo invece al disprezzo con il quale viene abitualmente trattato il nome di Giovanni Maria Angioy, che non di rado appare solo come nominativo di qualche triste viuzza di paese, ma, al pari di Amsicora, se ne ignorano totalmente le gesta.
Non c’è da stupirsi quindi della corte di galoppini che anche in Sardegna si sono scandalizzati per il crollo di uno storico edificio dell’imponente sito archeologico di Pompei. Si sono resi conto che l’approssimazione con cui l’Italia tratta il suo patrimonio storico non è degna di un Paese civile. Meglio tardi che mai.
Purtroppo non si sono mai accorti che da anni l’intero patrimonio archeologico Sardo versa in condizioni critiche, ma risulta anche scarsamente studiato e promosso a livello internazionale (nonché sotto un profilo turistico). Poiché rappresenta una civiltà (ed un insieme di civiltà successive) ben più antiche delle ipocrisie di un Cavour che, fatta l’Italia, furono poste da Garibaldi di fronte alla dura realtà di doversi inventare una nazione che nei fatti non esisteva. E che fino al circus dei mass-media, della scuola centralista, e del calcio a 5 stelle, non era mai realmente esistita.
Lo capì per primo Benito Mussolini, quando intuì che il sostegno ad una “nazionale” di calcio (nel ventennio fascista) avrebbe contibuito ad unire persone che, da nord a sud, non parlavano neppure la stessa lingua. Panem et circenses si diceva una volta…O divide et impera. Fa lo stesso.

La situazione non è solo indecente quindi, ma palesemente superficiale e segnata da parecchi ritardi culturali.
Che altro potevamo aspettarci?
In Parlamento si parla di Pompei, in Sardegna i Nuraghi, gli altari, le tombe, i santuari, i betiles, i manufatti, le fonti sacre e quant’altro, sono bagni pubblici.
E’ il prezzo da pagare per la nostra imbecillità.

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Di Bomboi Adriano.

U.R.N. Sardinnya ONLINE – Nazionalisti Sardi

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