Piove? Autonomismo ladro! – Rileggere Deffenu nell’era d’IRS, dei pastori Sardi e della Tirrenia

“E lei la chiama la stagione dell’Autonomia?”
Francesco Cossiga ad un giornalista Sardo della RAI – 2004.

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Cari Lettori, è stupefacente leggere nel 2010, ben cento anni dopo, ciò che scriveva il celebre intellettuale Sardo Attilio Deffenu nel 1910:

“La questione Sarda. – Quando un qualsiasi illustre figlio della Sardegna arriva ad indossare la livrea ministeriale, o entra in qualche modo a far parte di un gabinetto, tutti gli sguardi, tutte le speranze dei buoni isolani si rivolgono a lui come al benefico taumaturgo che ha finalmente scoperto il toccasana delle nostre miserie.
<<Habemus Pontificem!>> si grida da ogni parte, si indicono comizi dove si stempera negli stereotipati ordini del giorno la solita profluvie di lacrimette agrodolci sulle sventure dell’isola dimenticata ed infelice per la ingratitudine della madre patria, si profondono telegrammi per far sapere all’illustre uomo che tutte le speranze per l’avvenire della Sardegna sono ormai riposte nella sua opera illuminata e nel suo provato amore per la terra natale, e le gazzette isolane, facendo voti, augurando, auspicando, presentano per la millesima volta la fosca dipintura delle condizioni tristissime dell’isola.
Ebbene, per la millesima volta, ministri e sottosegretari, dopo alcune tirate retoriche e sentimentali, dove si degnano di riconoscere, in un impeto magnifico di generosità, che le condizioni dell’isola non sono quanto di meglio si potrebbe desiderare, e fanno pomposamente sfoggio di belle frasi preconizzando l’avvenire superbo verso il quale si avvierà a suon di tamburo l’isola sacrificata, giungono poi, in un conseguente eccesso di magnificenza, sino a promettere formalmente di studiare con amore la tanto dibattuta questione!
E’ tempo di reagire e protestare con tutte le forze contro questa che è la più madornale, la più atroce mistificazione che si conosca.
La Sardegna [...] non ha ritratto alcun giovamento dall’unificazione politica della penisola. Anzi le sue condizioni, osserva bene il dottor Antonio Lissia, han cominciato a volgere alla peggio proprio dall’anno 1861.
E la Sardegna s’è presentata nell’atteggiamento dell’eterno pitocco, [...] sempre pronto a stendere la mano per ricevere l’offa mendicata col fastidioso piagnisteo. [...] E ciò perché le opere di bonifica, mille volte invocate e mille volte promesse dal governo, sono rimaste sempre per i Sardi allo stato di pio desiderio.
[...] Abbiamo il dolore di assistere allo spettacolo di un popolo che attende l’alba della sua rigenerazione da quell’accolta di piccoli uomini che, [...] con le arti della più brigantesca mala fede, sono stati mandati ad occupare gli inutili scanni di Montecitorio.
Ma non s’avvedono costoro che noi, le eterne Cassandre inascoltate, s’incomincia ormai a diventare, oltreché noiosi, monotoni?
Il problema Sardo non farà un passo nella via della sua risoluzione, nel torneo delle eterne guerricciole verbali; [...] perché non si ha il coraggio di dire che il nemico vero della Sardegna, che maggiormente ostacola e ritarda il suo movimento ascensionale, sta proprio là donde gli ingenui, i ciechi, i deboli e gli infingardi attendono l’aiuto provvidenziale. E’ lo Stato. E’ la mala pianta del politicantismo.
Da un lato la superstizione dell’onnipotenza statale, l’illusione nel paterno e provvido intervento governativo, dall’altro la passione politica, la quale talvolta anche i migliori attira nel suo vortice rovinoso, distraendo la mente dalla visione dei più vitali problemi.
Lo Stato non è educatore, come non è buon amministratore: non moralizza, ma corrompe; non educa, non innalza, ma asservisce.
Commissioni d’inchiesta, disegni di legge, provvedimenti speciali, ecc, ecc. Facciamo una catasta di tutto questo ben di Dio che gli italici governi, sotto forma di carta stampata, ci hanno elargito con tanta generosità, e una bella fiammata disperda fin l’ultimo ricordo del danno unito alle beffe.
Tra un cinquantennio saremo al punto di partenza.”

Ebbene, quale attualità! Avesse detto un secolo sarebbe stato perfetto. Non vi sembra di sentire il movimento IRS che contesta l’Autonomia e la sua classe dirigente? Non vi sembra di sentire persino le parole di Cossiga a Chiaramonti nel 2001 quando ricordava quanto l’opera politica di Lussu e Bellieni si fosse ridotta alla solita questua petulante verso lo Stato? Non vi sembra di sentire il Paolo Maninchedda che se la prende (e non a torto) con la piccola borghesia conservatrice Sarda?
Per la cronaca: Deffenu morì durante la Grande Guerra a sostegno dell’interventismo italiano, mentre Cossiga è scomparso sentendosi (rispettabilmente) anche italiano. Lussu idem, nato Sardista, morì socialista italiano.
Chi sbaglia dunque (o chi ritiene di voler fare bene non riuscendoci nella pratica), è vittima del “sistema”. Alla fine quindi, o si isola, o viene isolato, oppure si conforma, più o meno volontariamente, alla stessa macchina che si dice di voler riformare.
Con un’età media di 55 anni, i nostri politici più blasonati non riescono ancora a cavare un ragno dal buco. A trent’anni Alessandro Magno aveva già conquistato tutto il mondo antico, a 33 Gesù di Nazareth era già morto e risorto. E noi? A che dobbiamo tanto immobilismo?
Forse perché non abbiamo avuto Sardi al 100% ma Sardi-Italiani, figli della sbornia risorgimentale che ha clonato quella Sindrome di Stoccolma di cui più volte vi abbiamo parlato. L’omologazione mediatica, culturale, economica e politica italiana del ’900 ha fatto il resto. Eppure, anche Carlo V, stando alla sua presunta critica attribuitaci sul “pocos, locos y mal unidos”, dovrebbe indurci a riflettere su errori che non vogliamo correggere.
Non esistono singoli colpevoli. Siamo tutti colpevoli. Indipendentisti compresi: forse i peggiori.
Proprio perché noi indipendentisti che ci siamo assunti l’onere di riformare le sorti della Sardegna, siamo i primi a contestare i nostri stessi fratelli beandoci nella rissa e nelle perpetue divisioni. E le divisioni sono una delle più forti concause che impediscono alla politica Sarda di emergere e far valere i suoi diritti.
Se IRS (nata da una costola di Sardigna Natzione) fosse esistita nel 1910, la sua linea politica critica non sarebbe stata rivolta all’Autonomia (che infatti c’entra ben poco vista la centenaria attualità di Deffenu), ma forse ai Parlamentari Sardi fedeli alla Monarchia.
Oggi dovremmo dire che si tratta di un problema di sistema: sociale, politico ed istituzionale.
Secondo una discreta parte dell’indipendentismo odierno infatti è l’Autonomia il problema, ma non guardano il quadro complessivo. Eppure questa Specialità esiste prevalentemente sulla carta e, storicamente, bisogna ammetterlo, qualche avanzamento in termini di recupero del disastro socio-economico del dopoguerra l’ha apportato. Ma oggi questo pezzo di carta chiamato Statuto Autonomo Sardo non solo ci evidenzia quanto sia relativamente centralista ma persino insufficiente qualora fosse stato compiutamente ed integralmente applicato.
Però cosa c’entra l’istituto dell’Autonomia in sé con il clientelismo, con l’assistenzialismo, con la questua petulante verso lo Stato? Niente infatti.
L’indipendentismo Sardo è vecchio, non in grado di osservare la totalità dei problemi.
Deve evolversi. E da buoni politicanti, i dirigenti indipendentisti non si distinguono da quelli centralisti. Qualche esempio?
IRS non ci spiega che i problemi che addossa all’autonomismo (o presunto tale) esistevano da ben prima del ’48. Come non ci spiega che problemi come l’assistenzialismo esistono in tutto il mondo, in particolar modo in Italia, con punte massime nel mezzogiorno e nel meridione. Ed addirittura secondo modalità più forti rispetto alla Sardegna in alcune regioni ordinarie.
Ma perché dirlo se la priorità è attaccare il primo avversario politico nel pollaio? Infatti il Sardismo ben si presta (con tutta la sua defunta retorica del Bellieni) a tale scopo.
Ma nulla si dice sul fatto che la disunità Sarda e l’assenza di serie riforme istituzionali per elargire veri poteri alla Sardegna sono tra le cause primarie dello status quo che affligge la Questione Sarda dal 1861 ad oggi.
L’Autonomia, cari Amici, c’entra poco e nulla.
Non c’era bisogno di chiamarla in causa, bastava guardarsi attorno tutti i giorni per capire quanto, dalla scuola ai media, passando per lo sport, la politica e l’economia, il centralismo sia l’unico spettro visibile ad occhio nudo nelle nostre vite.
Prendete invece i politici centralisti nei confronti, ad esempio, della recente protesta dei Pastori Sardi guidata (con modalità più o meno condivisibili ma efficaci) da Felice Floris.
Come ci ricorda lo scrittore Gianfranco Pintore, nel 1987, Massimo Dadea (dal PCI), oggi alleato politico di Soru, sui pastori affermava: “E’ una società arretrata caratterizzata da un immobilismo arcaico, rivelatasi impermeabile ai processi di modernizzazione, incapace di aprirsi al nuovo, impregnata di una cultura spesso portatrice di valori deteriori, prigioniera di miti e di codici che si perdono nella notte dei tempi. Una società che teorizza la violenza quale strumento per dirimere le controversie e i conflitti…”.
Oggi Dadea solidarizza con i Pastori.
Ieri era in torto oppure lo è oggi col rischio di apparire uno di quei politicanti che il Deffenu contestava? E’ moralmente corretto infatti che un politico sostenga in toto le proteste di una fascia di produttori Sardi senza però offrire valide alternative al problema portato alla luce dei mass-media? E se ci fossero torti e ragioni su entrambi i fronti?
E’ forse falso che per lungo tempo la cultura pastorale non si sia aperta alla collaborazione ed alla modernizzazione? Ed è forse falso che oggi i politici centralisti continuino a simpatizzare demagogicamente con chi i problemi li vive sulla propria pelle per poi ignorare strumenti come la zona franca? Inoltre, chi ha il coraggio di dire che la leadership di un settore non si tiene in un mercato con un prodotto in eccedenza ed i cui standard qualitativi sono alquanto bassi? E quando si vedrà un programma per il superamento del “Pecorino Romano”?
Ma ancora, quando si capirà che bisogna variare i livelli di salatura e proporre ulteriori prodotti da tavola sostenuti da un capace piano promozionale di marketing?
Quando si capirà che la trasformazione dovrà valutare anche la compresenza sul mercato del latte in polvere che qualifica una consistente fetta della concorrenza di importazione (derivati inclusi)?
Si è mai visto un serio imprenditore al mondo che al gioco punta tutto su una mole di cavalli perdenti?
Quando si capirà che la globalizzazione (e quindi la penetrazione in mercati come quello USA) non si reggerà nei prossimi anni con 18.000 operatori che, senza differenziare il prodotto ed un riassetto della contrattazione UE, sono destinati a diventare un quinto dell’attuale forza-lavoro del comparto?
Si è mai visto, ad esempio in Francia, fare una programmazione economica in un mercato opaco (e quindi privo di dati certi) come quello italiano?
Quando si capirà che a Bruxelles ci dobbiamo andare noi e non solo gli industriali ed i politici nord’italiani che finiscono la filiera in conto terzi?
Ed a che serve la cooperazione senza la valutazione dei costi di produzione e dell’assenza di una vera politica del Credito (magari accompagnata da una defiscalizzazione da zona franca)?
Anche Sardigna Natzione – impegnata a ricordare meritevolmente Antoni Simon Mossa mentre si scorda Bastià Pirisi della prima Lega Sarda – se da un lato si avvicina positivamente al Movimento dei Pastori Sardi, dall’altro, senza un programma di supporto all’MPS, rischia di porsi sullo stesso livello della demagogia centralista che solidarizza a priori per mero tornaconto di immagine.
E la Confederazione Sindacale Sarda?
Insomma, tra indipendentisti disuniti e senza strategia, produttori adagiati sull’assistenzialismo, industriali dalla vista corta e politici centralisti imbonitori, l’unica camera di “compensazione” a cui dovremmo ambire in Sardegna dovrebbe essere quella per stoccare la politica superflua, per poi rottamarla quanto prima.

Prendete il caso Tirrenia. In questa vicenda ad esempio l’indipendentismo “non-sardista” degli amici di IRS porta avanti la vecchia idea sardista per realizzare una “flotta Sarda” (vedi JPG).
Ma nel 2010 a che serve presentarsi come “liberali” per poi rimpinguare la classica ed obsoleta cultura nazional-statalista (che solo pochi Paesi al mondo come la Francia oggi portano avanti) anche laddove ha poco senso la sua eventuale applicazione?
Una compagnia di navigazione che tiene “d’ufficio” anche rotte poco frequentate nei mesi invernali non sarebbe certo competitiva rispetto all’attuale concorrenza (come quella di Moby Lines), perché il privato non è tenuto a tenere tutte le rotte in questione in tutti i periodi dell’anno. E perché mai poi un privato, che eventualmente dovrebbe subentrare in una “flotta Sarda” con capitale pubblico di maggioranza, dovrebbe rimetterci soldi in una sfida persa in partenza col resto della concorrenza privata?
Se l’offerta supera la domanda, quantomeno bisognerebbe investire anche di più nello sviluppo della domanda: quindi potenziando le campagne promozionali sulla Sardegna puntando ad incrementare maggiormente il numero di possibili arrivi.
Inoltre, quale serio imprenditore metterebbe il suo portafoglio nelle mani di un indotto (come Tirrenia) che, alimentato da una certa cultura sindacale, ha le sue radici nel clientelismo e nel crimine organizzato del meridione italiano?
Perché i promotori della “flotta Sarda” non devono scordarsi che oggi una ipotetica compagnia di navigazione Sarda dovrebbe, giocoforza, assorbire una discreta dose della forza-lavoro corrente di Tirrenia.
Meglio liberalizzare e basta (pur considerando che i costi dei deficit prima della vendita saranno comunque sulle nostre spalle), perché oggi sono molto basse le condizioni che in un simile contesto ci permetterebbero di ragionare su una efficiente politica dei trasporti. Politici e imprenditori Sardi stiano alla larga dall’indotto criminale di Tirrenia!
Anche se gli utili fossero destinati alla Sardegna e non alla Campania o alla Sicilia, ben difficilmente coprirebbero i costi di gestione. La “flotta Sarda”, per quanto idea suggestiva ed intrigante, se aveva dei rischi di realizzazione nel 1989, figuratevi oggi, anche alla luce di una politica UE sulla libera concorrenza che non consente iniezioni di finanziamento da parte del pubblico.

Fosse solo quello. Pensate, attorno al 1912, in base ad un rapporto dell’allora “Società Operaia”, Attilio Deffenu contestava l’eccessiva rigidità del prelievo fiscale e la solerzia con cui questo veniva condotto a spese delle aziende e dei cittadini in difficoltà. Alla stessa maniera, oggi IRS irrompe negli uffici di Equitalia per motivi analoghi, così come i Sardisti denunciano la stessa problematica. In un secolo cambiano gli attori, ma il film è sempre quello. Si tratta di un remake.
Ovviamente agli inizi del secolo scorso non c’era alcuna Autonomia. Ma quì a breve la “corrente dei Tulipani” di IRS ci dirà che essa è persino la causa della fame e dei conflitti nel mondo!

Nel 2010 insomma non c’è un settore economico, come non c’è un serio strumento politico, per far fronte all’ondata di problemi della Sardegna. Ieri come oggi, si galleggia su una crisi perpetua, sempre col fondato rischio di colare a picco.
Oggi non abbiamo bisogno di sparuti convegni nei quali si discute solo se sia meglio il federalismo integrativo o competitivo, ma di convegni nei quali si parla di “interessi nazionali”, perché è questa la grande differenza tra i convegni Sardi e quelli delle altre minoranze senza stato. Se non si parla di Specialità, allora non ha alcun senso fare dei convegni per ragionare su un potenziamento di sovranità.
Ed anche il movimento IRS deve capire quindi che i concetti di autonomia e federalismo non sono antitetici all’indipendenza ma sono strumenti per raggiungerla (sebbene si parta nel quadro dello Stato Italiano). Sono il “percorso graduale” di cui tanti si riempiono la bocca fermandosi agli slogan. Perché in effetti, in termini di risultati e di riforme, anche l’indipendentismo non ha prodotto nulla.
Solo chiacchiere e divisioni. Sono come un ciclo della storia Sarda che si ripete, e ad ogni ciclo, pensiamo di aver scoperto l’acqua calda. Di fatto replicando l’endemico male della lotta intestina.
Con i cittadini non si parla per sviluppare “coscienza territoriale”, perché è una fesseria bella e buona quella di ritenere che dopo un semplice dialogo una persona possa passare dal sentirsi italiana a Sarda (intesa come appartenenza nazionale). Con i cittadini si parla per radicare elettoralmente un dato movimento nel territorio, ma per forgiare una coscienza territoriale servono RIFORME. Nel tessuto sociale infatti si entra dall’economia, dalla scuola (con storia e lingua Sarda nella Pubblica Istruzione), dai media, dalla politica, dallo sport, etc. E le riforme si fanno a maggioranza, quindi non disdegnando le alleanze e/o le collaborazioni politiche. Ma voi capirete che con ben 9 movimenti Sardi divisi (ma che sostengono più o meno programmi simili, o confusi) non si otterrà niente.
Bisogna ridurre la frammentazione, non fare un partito unico ma un grande partito. Proponiamo simbolicamente che la segreteria di un eventuale PNS sia affidata ad un indipendentista, mentre la presidenza del Partito ad un autonomista. A suggello del superamento di una stagione di inutili diatribe interne.
Ecco perché l’indipendentismo deve uscire dalla stagione dei dogmi e deve integrare l’autonomismo (non quello centralista che si attribuisce l’etichetta “autonomista”).
Abbiamo bisogno di uomini e donne come quelli di Fortza Paris che hanno il coraggio, senza indugio, di proporre un Partito Nazionale Sardo; come abbiamo bisogno di uomini come quei settori del PSD’AZ che sostengono analoga idea. Lo stesso dicasi di Sardigna Natzione, del PAR.I.S e dei Riformatori Sardi. Ma anche di quanti, nei partiti italiani ed in altre sigle territoriali, vedono l’unità non più un mito ma una piattaforma realmente perseguibile.
Solo così quell’ineluttabile “destino” descritto da Attilio Deffenu subirà una rapida inversione di rotta. Non ci stancheremo mai di ripetere il concetto.

Grazie per l’attenzione.

Di Melis Roberto e Bomboi Adriano.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Nazionalisti Sardi

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    1 Commento

    • Cust’analisi ndi tirara s’arrogu a genti meda, chi pensara de essi calincuna cosa de tenni beridadis in bucciacca, chentza de tenni conossentzia, chentza de toccai cun is manus sa realidadi de donia dì! De siguru est mellus a certai, a si pratziri, intamus de ponni a istudiai po conosci e donai rispusta a is problemas. De siguru a conosci intelletualis sardus chi oj no nci funti prus est importanti, mancai issus siant arribbaus fintzas a…Oj sa responsabilidadi est sa nostra! Eis nomenau medas siglas, ma fintzas a candu is personas chi dha sa rapresentanta no beninti cambiadas, eus a sighiri a biri custa situatzioni de pratzidorìa! Pariri ca is tancas poltigas si praxanta meda e sigheus andai ainantis diacci fadendi su giogu de su centralismu romanu, chi oj prus de atras bortas firi a intendi pesu e presentzia! Ge dhu scieis ca cun atrus amigus seus portendi ainantis su progettu Bidha de..e su MRC, perou biu pagu atentzioni po custu tema, in Aristanis in s’urtimu atobiu de lampadas, est intervenniu calincunu po sciusciai su chi seus fadendi,atru che arrexonai paris!

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