Eroi che incedono verso l’orizzonte

Nell’era della demagogia dilagano leggende di tutti i tipi: ad esempio secondo Mauro Pili l’accordo Soru-Prodi avrebbe fatto perdere alla Sardegna i soldi delle accise di fabbricazione del petrolchimico Saras. Mentre al riguardo, per il PdS e i Riformatori Sardi, esisterebbero mirabolanti soluzioni.

Nel frattempo, dalle righe del primo quotidiano sardo, l’intellettuale Ciriaco Offeddu sostiene che la Banca d’Italia sarebbe “posseduta dai privati” a vantaggio di oscuri poteri finanziari, di cui ne risentirebbe pure l’isola. Una vecchia bufala per cui in Sardegna nessuno ha avuto nulla da obiettare.

Replichiamo punto per punto a queste sciocchezze.

Di Adriano Bomboi.

Scrive Mauro Pili (Unidos):

«Ogni anno la Sardegna produce beni che generano entrate per lo Stato per miliardi di euro. [...] Accise che ai sardi vengono corrisposte non per quanto produciamo ma per quanto consumiamo. Primo grande imbroglio di Stato. A generare questa grande truffa furono Soru e Prodi che nel 2006 fissarono le accise al consumo e non alla produzione».

Ma è vero?

No.

Le accise si sono sempre pagate in tal modo, ben prima dell’accordo Soru-Prodi, sia a livello italiano che europeo (ed internazionale).
Ci sono due ragioni al riguardo, una di carattere normativo ed una di carattere puramente pratico ed economico. Vediamo quindi le norme che regolano questa materia e successivamente, in breve, il motivo per cui le accise si esigono “al consumo” e non “alla produzione”.

La prima la troviamo nell’art. 2 del decreto legislativo n. 504 del 26/10/1995, che recita:

«Per i prodotti sottoposti ad accisa l’obbligazione tributaria sorge al momento della fabbricazione o della importazione.
L’accisa è esigibile all’atto della immissione in consumo del prodotto nel territorio dello Stato».

Non furono dunque Soru e Prodi a stabilire le modalità con cui determinare le accise. Inoltre, senza tornare troppo indietro nel tempo alle precedenti disposizioni di legge, anche l’UE, tramite la direttiva n. 2008/118/CE del 16/12/2008, recepita nell’ordinamento italiano dal decreto legislativo n. 48 del 29/03/2010, sostiene la medesima impostazione. Nessuna congiura lombarda.

Perché?

Per la seconda ragione: benché l’accisa sorga anche alla produzione, questa diventa esigibile solamente all’atto dell’immissione in consumo. In altri termini, per semplificare: voi paghereste qualcosa che non avete ancora messo in vendita? Fare diversamente, tra l’altro, significherebbe sapere in anticipo quanto e a chi verrà venduta una data quantità di peso del prodotto soggetto ad accisa. Senza considerare i vari segmenti commerciali (sottoposti a diversi importi di accise) che prendono diverse destinazioni di consumo (ragion per cui vengono utilizzati pure dei coloranti per distinguere tali classi di prodotti).
Questo è il motivo per cui in passato è stato introdotto a livello europeo l’istituto del “deposito fiscale”, il quale determina, di volta in volta, il prodotto immesso al consumo nel mercato di riferimento. Ed è una delle ragioni per cui, ad esempio, non è plausibile pensare di applicare a questo ambito il decreto legge n. 331 del 30/08/1993, richiamato dal Partito dei Sardi, come strumento per “spostare” ogni deposito fiscale nell’isola. Non si tratta di quattro bottiglie di mirto. D’altronde, notate bene, quest’ultima “soluzione” viene promossa dal partito che ha realizzato un’Agenzia Sarda delle Entrate in cui entra ben poco…

Insomma, nel caso della Saras, azienda petrolchimica sarda, la determinazione delle accise avviene grazie ai diversi hub di stoccaggio dei vari prodotti immessi al consumo, presenti sia in altre Regioni italiane che all’estero, come in Spagna.

Una logica conseguenza è che l’accisa, anche se nata nel luogo di produzione, matura e si manifesta solamente nel mercato in cui approda il prodotto, e in cui dunque diventa esigibile.
Se avvenisse diversamente, qualsiasi area detentrice di una casa di produzione potrebbe pretendere da terzi Stati l’importo delle accise maturate nei loro rispettivi territori. Ad esempio il Texas potrebbe pretendere le accise maturate in Italia dalla Esso (divione europea della texana ExxonMobil). O la Sardegna potrebbe pretendere dalla Spagna le accise maturate dalla Saras in tale mercato.
All’interno di un singolo Stato la materia può essere tuttavia normata, senza derogare all’assunto generale, in termini differenti. Ad esempio un accordo bilaterale Stato-Regione potrebbe decidere di trasferire una quota maggiore di accise incamerate in tutta la penisola dallo Stato verso una determinata Regione (in cui avviene una data produzione sottoposta ad accise). Ma non esiste alcuna norma che imponga allo Stato di pretendere (o rigirare ad una Regione) una riscossione anticipata delle accise di fabbricazione prima della fase di immissione al consumo.

In conclusione, anche Mauro Pili, come tanti politici sardi, se non occupato a coltivare il proprio culto della personalità, potrebbe studiare meglio la materia al fine di evitare facili demagogie, di cui l’isola non ha bisogno.
Evitiamo pure di commentare le iniziative dei Riformatori Sardi in materia, su cui è preferibile stendere un velo pietoso. Non foss’altro perché chi si dichiara “liberale” dovrebbe battersi per abolire le mitiche accise, e non per cercare quelle inesistenti.

L’impressione è che l’intera politica autonomista preferisca occuparsi di iniziative farlocche, al fine di ottenere consenso, evitando battaglie autentiche, come quella per la riforma dello Statuto autonomo regionale, che richiederebbe vero impegno e responsabilità.

C’è poi il curioso caso di Ciriaco Offeddu, manager e scrittore (non un Alessandro Di Battista qualsiasi), che ne L’Unione Sarda del 27 giugno ha messo in fila una serie di teorie complottiste condite da bufale, ideologia a buon mercato e disinformazione. Secondo Offeddu:

«Chi detta le regole sono i profeti della finanza a tutti i costi, i Soloni che si credono in diritto di qualificare una civiltà solo attraverso alcuni parametri artificiosi e privi di scientificità. Da dove è sbucato il 3% (rapporto deficit/Pil) che separa ormai i buoni dai cattivi, gli eletti dai reietti, e che determina il futuro dei nostri figli e nipoti, la loro collocazione nel mondo?»

Qualcuno dica ad Offeddu che il tetto del 3% nel rapporto deficit/PIL è stato integrato, e praticamente superato, anni or sono dal fiscal compact. Ragion per cui quel valore non è più strettamente indicativo in rapporto alla situazione dei propri conti pubblici (motivo per cui alcuni Paesi oggi “sforano” più di altri, e non perché alcuni siano maggiormente protetti da loschi e incappucciati figuri rispetto all’italico piagnisteo).

L’Unione Sarda, che ha il prestigio di ospitare le opinioni di un vero economista come Beniamino Moro, dovrebbe filtrare meglio l’informazione offerta al pubblico.
Ma Offeddu rincara la dose:

«Abbiamo scelto noi poveracci che la Banca d’Italia non fosse più il prestatore di ultima istanza per calmierare i mercati? Che la Banca d’Italia non fosse più “d’Italia”, ma posseduta dai privati?»

Che Offeddu voglia tornare ai “bei tempi” in cui la DC usava Bankitalia come bancomat di partito ha tutto il diritto di pensarlo, ma sono proprio gli anni in cui sono state poste le basi del nostro declino. Dunque non a causa del “malvagio capitalismo” di cui parla. E ha persino il diritto di magnificare il modello turco o venezuelano, il quale, che lo sappia o meno, rappresenta l’estrema sintesi del suo esempio.
Offeddu non dovrebbe però aver il diritto di propinare al pubblico autentiche bufale come quella secondo cui la Banca d’Italia sarebbe “posseduta dai privati”.
Intanto Bankitalia “non è una società per azioni di diritto privato, bensì un istituto di diritto pubblico” (Cassazione, sentenza n. 16751 a sezioni riunite del 21/07/2006).

I suoi azionisti sono una serie di banche (in passato pubbliche) che però oggi non hanno rilevanti poteri in seno alla banca centrale. Inoltre, ad esempio nel 2006, hanno raccolto utili per appena 15.600 euro.
Per ulteriori dettagli sul tema rimando all’ottimo articolo di Mario Seminerio.
Si salvi chi può.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE

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