Finite le analisi sociologiche, che avremmo fatto col procuratore Saieva?

Di Adriano Bomboi.

Torno con alcune brevi riflessioni sulla denuncia delle infelici parole del procuratore di Cagliari Saieva riferite ai barbaricini, peraltro già sconfessate dai dati sull’incidenza della criminalità nell’area.

Fra i tanti messaggi privati arrivati questi giorni ho notato tre aspetti particolari:

Il primo riguarda un certo velato timore nei confronti della Magistratura e della Procura di Cagliari. Come se urtare la sensibilità della Giustizia italiana nell’isola comporti automaticamente l’esporsi a delle potenziali ritorsioni di natura legale.
La faccenda mi ha riportato alla mente i vecchi racconti di mio padre, quando nei nostri paesi si usava salutare col capo chino il prete e il brigadiere del posto. Sintomo di una cultura reverenziale nei confronti dell’autorità costituita, tipica delle società post-feudali, dove clero e aristocrazia rappresentavano gli imprescindibili punti di riferimento a cui sottostare, indipendentemente dai loro eventuali abusi. I più audaci si lasciavano andare al “baciamano”.
Ma questo è proprio il caso in cui avremmo avuto bisogno di una solida e determinata “cultura barbaricina”, non aggressiva e predatoria, secondo la declinazione offerta da taluni funzionari di Stato stipendiati anche dai barbaricini, ma libertaria. Cioè capace di denunciare l’abuso senza sprofondare in uno squallido e omertoso silenzio. Perché tale silenzio rappresenta il primo gradino con cui scendere nella scala della dignità.

Il secondo riguarda la richiesta di “azione”, cioè il desiderio di una reazione alle parole del procuratore con cui poter risalire qualche gradino di quella scala. In poche parole, mi è stato chiesto cosa avrebbe fatto un governatore indipendentista al posto di Francesco Pigliaru.

E’ presto detto: sarebbe immediatamente partita una formale richiesta di trasferimento rivolta al Ministero della Giustizia, e dunque una protesta verso il Governo italiano e la Presidenza della Repubblica (il cui CSM dovrebbe occuparsi anche di questi problemi), con annesso clamore mediatico. Perché ad oggi – dite quello che vi pare – il dottor Saieva non si è ancora scusato. Altri oggigiorno si accontenteranno di una delle varie e inutili petizioni online.

Sono stato informato inoltre dei buoni intenti di questo procuratore presso gli uffici del capoluogo, che parrebbe essersi attivato contro una certa deriva protagonistica di alcuni funzionari della Giustizia, e ciò gli va riconosciuto. Ma il solo pensare che tra i sardi ci sia una comunità munita di una mentalità dedita a commettere crimini, in ragione della sua appartenenza geografica e culturale, è qualcosa che non possiamo assolutamente tollerare.

Il terzo aspetto riguarda lo storico Francesco Casula ed il contesto complessivo dell’informazione sarda. Alcuni contatti mi hanno fatto notare le seguenti dichiarazioni di Casula, probabilmente in buona fede, il quale si attribuisce la paternità di un’informazione che Sa Natzione aveva pubblicato ore prima, e dopo scrupolosa verifica per certificarne l’autenticità, realizzando un articolo soppesato in ogni singola parola anche sul piano tecnico-giuridico, e da cui è stata accesa la miccia.

Mi domando quanti osservatori siano in grado di argomentare che cosa sia una cerimonia di apertura dell’anno giudiziario, chi vi prenda parte e con quali argomenti e finalità, soprattutto osservando con spirito critico la situazione di un sistema giudiziario di cui la nostra politica stenta ad occuparsi.
Personalmente ritengo che il nostro obiettivo comune sia quello di sensibilizzare l’opinione pubblica verso un dato problema, tanto è vero che non ho rincorso tutti i blog ed i singoli esponenti politici che hanno trattato del tema dopo il sottoscritto. Trovo tuttavia vergognoso il clima di oscurantismo, con alcuni casi di palese omissione delle fonti, che troppo spesso riguardano questo spazio, nonostante le migliaia di accessi agli articoli e che confermano come indubbiamente questo portale stia portando avanti un lavoro di originale e riconosciuta qualità. Un lavoro che, volenti o nolenti, con dieci anni di esperienza, il più longevo di tutti, continuerà a tenere il fiato sul collo a molti sardi per lungo tempo ancora.

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