Indipendenza? Le vere ragioni della peste suina e del land grabbing in Sardegna

Di Adriano Bomboi.

Prima di parlare dei motivi per cui negli ultimi anni la Sardegna ha conosciuto un’espansione della peste suina, e persino del land grabbing, voglio raccontarvi un fenomeno verificatosi in Cina che sarà propedeutico ad illuminare il contesto sardo. L’aspetto sconcertante è che non ha nulla a che vedere con le malattie animali o le energie rinnovabili ma con gli incidenti stradali.

In Cina, da diversi anni, alla percentuale di pedoni investiti dagli automobilisti si è aggiunta quella degli omicidi stradali. Sapete qual è il motivo per cui è successo?
Pechino ha una legge per cui, se inavvertitamente un automobilista investe e uccide un pedone, sarà sanzionato. Ma se il pedone sopravvive, l’automobilista dovrà spesare a vita le cure all’infortunato pedone. In termini di costi e convenienza è diventato quindi preferibile optare per la prima soluzione.
La conseguenza di questa normativa ha portato ad un incremento degli omicidi stradali, con automobilisti che, dopo aver messo sotto un pedone, nel dubbio che possa essere sopravvissuto, preferiscono passarci sopra con le ruote anche due o tre volte, giusto per eliminare il rischio di dover pagare a vita lo sfortunato avventore.

L’effetto perverso di questa legge ha praticamente annullato il valore della vita, che invece, sul piano teorico, uno Stato dovrebbe tutelare.

In Sardegna è accaduto qualcosa di analogo.

Com’è partita la peste suina? Inizialmente grazie al pascolo brado. Numerosi allevatori sardi non hanno mai posseduto terreni recintati, e questo ha permesso la veicolazione dell’infezione fra capi di bestiame clandestini e capi regolarmente detenuti.

Eppure, nonostante da tempo si fosse compresa la ragione del contagio, questi ha continuato ad espandersi. Stavolta però la peste non è stata di tipo virale ma assistenziale: per lungo tempo la politica sarda ha fornito indennizzi agli allevatori locali per “salvare” le aziende dai danni causati dalla malattia. Sfortunatamente tali indennizzi non sono sempre stati usati per recintare e circoscrivere il problema ma semplicemente… intascati!
Perché sforzarsi di fare qualcosa quando si viene pagati per non fare nulla?

La conseguenza di questa scelta politica, in cui un maiale morto veniva pagato quanto uno vivo, e spesso anche di più, ha innescato l’industria della morte.
L’interventismo pubblico in economia ha così aggravato il male che pretendeva di curare, bruciando ricchezza al posto di produrla, a spese dei contribuenti. E con pesanti ricadute d’immagine per tutto il comparto agroalimentare sardo, oltre che nella limitazione dell’export. Ecco perché diversi allevatori seguitavano a far ammalare di proposito i propri suini.
Tutto ciò è avvenuto perché ad una logica di mercato si era sostituita una logica assistenziale. Una logica in cui l’imprenditore ha cessato di essere tale, ripudiando investimenti su prevenzione e qualità.

Solo recentemente, grazie all’intervento regionale dei RossoMori presso l’assessorato all’agricoltura, questo problema è stato parzialmente ma non completamente risolto.
Paradossalmente, un partito sovranista di sinistra ha affrontato un problema che persino i sedicenti “liberali” del centrodestra sardo avevano invece aggravato per evidenti logiche elettoralistiche.

Ma non è tutto: il land grabbing manifestatosi in Sardegna si è sviluppato seguendo la stessa dinamica. La sottrazione di vaste porzioni di terra (non in modo massiccio), a favore di pale eoliche ed impianti fotovoltaici dalle scarse ricadute economiche nel territorio, si sono trasformate in pure speculazioni.
A dispetto dei cretini che hanno attribuito le colpe “al mercato, al capitalismo, alle banche e alle scie chimiche”, bisogna invece constatare quanto purtroppo la politica sia stata nuovamente la causa fondamentale degli eventi.

L’isola è diventata la calamita di investimenti speculatori perché Stato e Regione hanno avvallato la concessione di contributi per la produzione di energia da fonti rinnovabili. Contributi senza i quali, in condizioni di libero mercato, nessun imprenditore avrebbe mai realizzato impianti in un territorio che per altri settori economici ha purtroppo ancora numerosi limiti burocratici e fiscali.
Uno dei numerosi esempi è quello della centrale a biomasse PowerCrop, prevista alle porte di Cagliari. Il progetto è ancora fermo perché non è stato ancora approvato il decreto-incentivi, cioè il conferimento di soldi pubblici come unica ed esclusiva fonte di utili di un impresa che non ha alcuno sbocco di mercato.

La logica che permette la creazione di queste autentiche cattedrali nel deserto – anche inquinanti – proviene dalla stessa cultura ideologica che dagli anni della Rinascita a oggi, “chimica verde” inclusa, tende a calare dall’alto le soluzioni per un territorio che non produce ricchezza ma preferisce consumarla. Puro assistenzialismo per poche buste paga e tanti soldi e potere per i registi politici, sindacali e (im)prenditoriali che le organizzano.

Una cultura neokeynesiana che affonda le sue radici nelle logiche elettoralistiche sostenute dalla DC e dal PCI per mezzo secolo, e proseguita con l’avvallo dei partiti italiani contemporanei, assieme a movimenti sardisti e indipendentisti. Cito anche gli indipendentisti perché, pur non avendo mai direttamente amministrato la Regione, i loro programmi si fanno soventemente portatori della medesima ideologia pianificatrice destinata a questo o quel settore economico. E poco conta che tali programmi siano investiti da una radicale impronta ecologista o narranti il mito del “pastore ribelle”, costoro non fanno alcuna concreta opposizione, salvo attribuire responsabilità, in qualità di nuovi untori della “assistenzia pestis”, ad astratte concezioni di mercato.

Si tratta di una mentalità dagli echi hobbesiani in cui il libero mercato viene inquadrato come un mondo inesplorato dominato dal caos e dal disordine. Un “luogo oscuro” dove il conflitto non viene visto come un ordine naturale in cui la concorrenza è il presupposto di qualità e innovazione, ma come causa assoluta di diseguaglianze.

Nell’economia la libertà non consiste unicamente nel tutelare un lavoro, ma nel liberarsi da quegli ostacoli che ne impediscono la nascita. Ecco perché chi sostiene le “flotte sarde”, le “agenzie uniche” per occuparsi di questo o quello, i “coordinamenti di settore”, e tanto altro, ha la classica visione dirigistica della realtà, dove il singolo privato sarebbe sempre e comunque “incapace” di badare a sé stesso, magari vorace e “bisognoso” di una mano pubblica che gli indichi i tempi e i modi con cui fare impresa.

In Sardegna invece occorre una rivoluzione culturale: dobbiamo aumentare il volume dei produttori di ricchezza (tax payers) rispetto a quelli che la consumano (tax consumers).

Se c’è una cosa che gli indipendentisti prima di chiunque altro dovrebbero comprendere, è che la politica spesso dovrebbe solamente e semplicemente farsi da parte.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE

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