Silvano Tagliagambe giustifica l’assistenzialismo? Commentiamo dei passaggi

Di Adriano Bomboi.

Vorrei sottoporvi alcuni passaggi del discorso proposto da uno dei maggiori intellettuali contemporanei, Silvano Tagliagambe, filosofo della scienza, in merito al mercato del lavoro in Sardegna. Il primo:

È chiaro che se ci si muove esclusivamente nell’ambito del “senso della realtà” e si prende in considerazione il solo fatto che sostenere un determinato processo (ad esempio il ritorno dei giovani all’agricoltura, o alla pastorizia e all’allevamento, per facilitarne l’ingresso nel mondo del lavoro) ha dei costi superiori ai ricavi che se ne possono trarre, è del tutto legittimo (anzi doveroso) far rientrare questo tipo di operazione sotto la voce “assistenzialismo”, e di conseguenza liquidarla come improponibile, in quanto contraria ai principi di un’economia sana ed efficiente.

Qui Tagliagambe dice giustamente che sostenere (evidentemente con denaro pubblico) il ritorno dei giovani nei lavori della campagna sarebbe assistenzialismo, in quanto i costi di tale operazione, in base ai principi di una sana economia, sarebbero superiori ai ricavi ottenibili. E fin qui nulla da obiettare. Ma passiamo al seguente passaggio:

Ma se nel calcolo si fanno rientrare (come fa Eurofound con i Neet) i costi non solo sociali, ma anche economici dell’abbandono di intere e sempre più vaste porzioni di territorio, con il crescente rischio, nel caso della Sardegna, della riduzione dell’isola a una sorta di ciambella rigonfia solo nella fascia costiera e nelle poche aree urbane e vuota (pericolosamente per l’equilibrio interno e la tenuta del suo territorio e della sua organizzazione sociale) al centro e nelle zone interne, il discorso cambia e ciò che appariva, nell’ambito di un certo tipo di prospettiva economica, “assistenzialismo”, diventa sostegno, del tutto compatibile e corretto, allo sviluppo di un intero sistema.

Questo è un passaggio controverso. Tagliagambe ricorda che Eurofound (agenzia UE dedita allo studio delle condizioni del lavoro) considera i costi sociali ed economici dei Neet (cioè quella fascia di soggetti che non studia e non lavora), e dice che sulla base della stessa linea in Sardegna andrebbe considerato il vuoto economico prodotto da chi non studia e non lavora. Perché, ad esempio, chi non è neppure occupato nella terra, tenderà a spostarsi in città e verso le zone costiere, contribuendo a spopolare le zone interne. In questi termini Tagliagambe dice che l’assistenza, per fermare questo processo, non sarebbe più impropria ma opportuna. Cioè diventerebbe giustificabile usare soldi pubblici per fermare lo spopolamento interno dell’isola e il suo conseguente deserto economico. Qualcuno mi corregga se sbaglio.

Ma se non sbaglio, siamo evidentemente al limite del buon senso, perché se i nostri intellettuali, dopo aver assistito a decenni di sperpero di denaro pubblico, insistono nella medesima direzione, è il segno che gli argomenti sono finiti e bisogna passare ad una ricetta liberale. Lo dico a malincuore perché stimo Tagliagambe, sono un suo lettore.
Eppure il nostro autore non sembra individuare le cause primarie che perpetuano il pessimo trend economico che spopola le zone interne: si chiamano Fisco e Burocrazia. E finché la classe politica non esce dalla sua propensione clientelare non riusciremo seriamente ad intaccare questi due gravosi problemi. Né Tagliagambe può affermare che tali battaglie siano state seriamente intraprese in passato o nel recente passato, senza successo, così da poter giustificare, come ultima spiaggia, il ricorso al sostegno pubblico. Non parliamo poi delle piroette sulle nostre Entrate. Oltre a Fisco e Burocrazia inoltre non mi pare che esista una Pubblica Istruzione dedita ad insegnare lingua e storia Sarda, quantomeno nelle scuole dell’obbligo. E finché tale vuoto non sarà stato colmato, non si può pretendere di avere un tessuto sociale che abbia maturato quei minimi strumenti culturali per i quali possa investire nel proprio valore aggiunto: il territorio, le sue specialità agroalimentari, ma anche la sua archeologia e la sua cultura. Rimarremo con poche eccellenze, mentre il processo di spopolamento diventerà inarrestabile. Dopotutto con il 65% di spesa pubblica in Sardegna ci vuole coraggio a sostenerne un suo incremento. Diventeremmo la patria mondiale dell’assistenza. Se vogliamo dare il posto pubblico a tutti o mandare direttamente gli assegni a casa dei disoccupati, oppure pagargli corsi di formazione per aziende che non potranno mai aprire a causa dei due problemi di cui sopra, lo si dica apertamente.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE

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    3 Commenti

    • Che fare si dice?!… Costituirsi in Cooperative di Zona e creare posti di lavoro per Tutti/e, inserendovi anche le persono meno fortunate: i portatori di problemi H e produrre ciò che la propria area geografica offre.
      L’isola è ricca! Potrebbe vivere di Pastoria e Agricoltura, di turismo rurale estivo ed invernale; di cultura: archeologica e relativa alle tradizioni popolari locali. Potrebbe servirsi anche, di tante altre cose ancora, ma sappiamo tutti, che ciò è un gioco politico…

    • [...] abbia preso visione delle disposizioni in merito. 6) Dico a Tagliagambe che non è mia intenzione etichettarlo fra gli sperperatori di denaro pubblico, ma ho reputato necessario comprendere quale linea è stata [...]

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