Codex Aeticarum: Maninchedda e la coscienza nazionale in politica

“Non ho mai lasciato che la scuola interferisse con la mia istruzione” (Mark Twain, 1835-1910).

In un frammento del suo ultimo intervento, Paolo Maninchedda ha proposto ai lettori una riflessione sulla natura della coscienza nazionale, vista come incubatrice dell’azione politica. Vi riporto il passaggio, ripreso anche da Roberto Bolognesi:

“Si registra il bisogno di possedere una coscienza nazionale sarda, cioè una visione chiara della costruzione dello Stato, dei suoi presupposti e della sua organizzazione. È la lingua il cuore di questa coscienza? Gli irlandesi hanno fatto la loro rivoluzione in Inglese; gli scozzesi non parlano gaelico ma inglese. Noi parliamo ancora sardo. Si può usare la lingua come strumento di lotta politica, cioè come strumento di formazione della coscienza nazionale? In larga misura, molti intellettuali sardi della sinistra eterodossa usarono l’opzione linguistica per opporsi all’omologazione internazionalista della sinistra ortodossa. Tuttavia, molta della ricerca e della militanza sociolinguistica della Sardegna attuale non accetta, e giustamente, una strumentalizzazione della questione linguistica e chiede una sua istituzionalizzazione, cioè chiede che si faccia della questione linguistica una questione di Stato. Questo per noi è importantissimo perché lega una questione rilevante ma parziale a una visione generale della società, della libertà e del potere, insomma iscrive il tema linguistico dentro il cuore della coscienza nazionale, che è sempre e solo una visione chiara di un nuovo Stato. Coscienza nazionale è coscienza di un nuovo Stato e del dovere di realizzarlo.”

Finalmente si inizia ad aprire ad una visione globale il ruolo della lingua nell’ottica di una coscienza destinata a edificare la sovranità. Gli irlandesi hanno ottenuto la loro indipendenza in inglese, ma il loro nazionalismo utilizzava la religione come strumento di coesione sociale popolare, qualificato come elemento di alterità rispetto al Regno Unito. Gli scozzesi invece hanno politicamente usato la storia come strumento di preservazione (piuttosto che di rivendicazione) della propria identità (e non solo). Giusto o sbagliato che sia, ogni organizzazione politica nazionalista che ritiene di dover emancipare il proprio popolo fornendogli sovranità, utilizza degli elementi per distinguersi rispetto alla cultura dominante dello Stato originario di appartenenza. Dunque, quando ci domandiamo se nel nostro specifico contesto la Lingua Sarda può essere un elemento di coesione sociale la risposta è certamente affermativa, anche perché al momento non ci sono altri elementi tipici capaci di contraddistinguere una endemica coscienza nazionale rispetto a quella veicolata dallo Stato. Tuttavia, l’aspetto più grave di questa consapevolezza è il ritardo con cui essa arriva negli obiettivi politici dei nostri indipendentisti, in un epoca storica in cui la predominanza sociale della lingua italiana ha praticamente disintegrato il prestigio dell’idioma Sardo, l’ha reso quindi pressoché inutilizzabile sul piano elettorale anche per tutti coloro i quali avessero voluto strumentalizzare quest’ultimo in termini politici. Ciò non toglie che il diritto civile della Lingua Sarda ed il suo libero esercizio debba comunque essere perseguito, anche, ed è ovvio, attraverso una sua istituzionalizzazione.

Fra i vari elementi che mi lasciano perplesso, almeno fino a questo momento, nella proposta politica di Maninchedda (e Franciscu Sedda), non c’è tanto lo sforzo di cercare un apparato teorico che giustifichi l’azione del neo-partito dei Sardi (e che quindi speriamo si apra con convinzione anche ad un tema che sia Sedda che Maninchedda negli anni hanno sottovalutato), quanto il codice etico che dovrebbe alimentare l’azione dei candidati. Alcuni giorni fa Maninchedda ha sottoposto ai lettori il documento, chiedendo ove possibile di emendarlo.
Oltre ai vari punti in cui si prospetta il rigore morale dei nuovi candidati, il rigetto di qualsiasi conflitto di interesse e di qualsiasi seduzione della corruzione, nella sua proposta, in particolare leggiamo al punto 4 che “I candidati riconoscono e rispettano le regole della comunità politica sancite dalla Costituzione della Repubblica italiana e nel rispetto dell’art. 54, si impegnano ad adempiere alle funzioni pubbliche affidate con disciplina e onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”.

Per i distratti, l’art. 54 dice anche che si deve rispettare tutta la Costituzione. Sono quindi intervenuto nei seguenti termini:

“Propongo l’abolizione dell’art.4 del codice etico o la sua revisione. Un indipendentista o un autonomista che vuole fare uno Stato dovrebbe dichiararsi fedele alla Costituzione? Non esiste una cosa del genere, la Costituzione Italiana è la principale fonte giuridica della negazione del diritto del Popolo Sardo alla sovranità (Costituzione che neppure riconosce tale Popolo e proclama l’indivisibilità della Repubblica).
Se non si vuole apparire come eversori bisognerebbe a limite emendare l’articolo specificando che ci si riconosce nei principi democratici emanati dalla Carta ma NON nei presupposti unitaristici che qualificano l’attuale assetto repubblicano. Altrimenti sarebbe un ossimoro concettuale. Il ragionamento è che chi agisce per riformare qualcosa non può allo stesso tempo dichiararsi fedele alla stessa, bisogna circostanziare”.

Maninchedda ha così replicato:

“Adriano, da un po’ hai deciso di esercitarti a emendare i compiti altrui, spesso senza leggerli con attenzione. I consiglieri regionali giurano fedeltà alla Costituzione. Noi stiamo dicendo esattamente che, pur giurando fedeltà alla Costituzione, intendiamo costruire, nelle forme legittime previste dall’ordinamento, un nuovo Stato. Per favore, dismetti i panni del Gran Sacerdote dell’Ortodossia indipendentista”.

Queste sono le frasi che ci fanno capire che, se per la sua intelligenza viene consapevolmente svalutato dai suoi avversari, parimenti, viene però sopravvalutato dai suoi estimatori, in quanto il carattere sanguigno finisce per tradire il reale pensiero di Maninchedda. Lo dico senza che questo faccia venir meno la stima personale nei suoi confronti, e pure se da ben prima di Maninchedda parlo di “partito dei Sardi/PNS”. In tutti gli anni che seguo l’indipendentismo, se c’è una cosa che ho imparato dell’ortodossia indipendentista è che questa ha la pretesa di dirti che non devi infilarti nei suoi infallibili affari, e quindi tende a confondere una critica con una provocazione. L’elettore deve tacere, e al massimo prendersela con qualcun altro. Tanto peggio se ha persino una autonoma concezione politica. Povero John Locke…
E’ necessario dichiararsi fedeli alla Costituzione nel codice etico di un movimento sovranista? No se il punto 3 del medesimo codice etico del PDS già prescrive: “I candidati si impegnano a rinunciare a qualsiasi forma di lotta politica eversiva e violenta”.
Ve li immaginate dei novelli tesserati dell’SNP in Scozia o del CiU catalano che all’atto dell’adesione al movimento prestano anche fedeltà a sua Maestà? Risate.
Dentro ProgReS c’è già chi parla di “sovranismo costituzionale”.
Anche in questo caso mi è tornato in mente uno scambio di opinioni con Roberto Bolognesi, dicevamo che i nostri candidati politici non hanno fegato. O non si governa e si scade nel folk-ribellismo di alcuni, o si governa e si ha sempre il timore reverenziale di “disturbare” o “arrecare fastidio” all’autorità costituita, peggio ancora quando si dichiara di voler fare un nuovo Stato. Un po come Antonello Cabras (PD), che nella sua vecchia proposta di riforma dello Statuto Autonomo della Sardegna, non certo densa di “coscienza nazionale”, ha ripetuto in alcune sezioni il concetto dell’indivisibilità repubblicana sancito nella Costituzione. C’era l’urgenza giuridica e politica di farlo? Macché. Il messaggio che passa è il seguente:
“Autonomisti e sovranisti si, però diciamo che siamo sempre e comunque fedeli a sua santità la Costituzione, così magari a Roma non si arrabbiano e non ci sgridano”.
La sindrome del cameriere deve sempre ridondare la propria fedeltà. E poi volete mettere i buoni rapporti con la sinistra? Inchinarsi alla Costituzione significa tenere buoni tutti quelli che temono si voglia cancellare quel principio di democraticità conquistato col sangue del secondo conflitto mondiale. Paure evidentemente irrazionali ed immotivate, in parte alimentate dal leghismo, e che li porta a considerare la magna carta italiana alla stregua di un feticcio, e non come un semplice ordinamento deputato all’organizzazione civile. Ma la sinistra italiana non conosce Thomas Paine e non è al corrente del fatto che se una Costituzione non rispecchia più le mutate condizioni sociali, culturali ed economiche dei cittadini non si conserva, si riforma.

E poi diciamoci la verità: ma che banale il “partito dei Sardi” solo in italiano. Non si poteva fare anche una denominazione bilingue? Il nostro logo di PNS invece rappresenta il blu dell’Europa unito al rosso, bianco e nero della bandiera coi 4 Mori: in un simbolo si è legata la tradizione all’idealismo di una Europa dei popoli, annientando il timore di isolamento manifestato per anni dall’indipendentismo.

In conclusione, ciò che voglio dire è che se il nazionalismo Sardo non deve fare l’errore di scadere ancora nel folklorismo, non può neppure rintanarsi nel politically correct. Temi come il plurilinguismo e la riforma dello Statuto Autonomo (di cui stranamente non si parla più) richiedono chiarezza e spina dorsale. Qualora poi il PD non volesse celebrare delle primarie ma delle “settarie”, escludendo il partito dei Sardi, allora sarebbe bene avviare un dialogo con Michela Murgia, perché un’altra delle cose di cui non abbiamo bisogno è vedere ancora partitini Sardi che affrontano le elezioni in ordine sparso. A quel punto anche Paolo Maninchedda diventerebbe corresponsabile del frazionismo.

A Sa Natzione spetta purtroppo il compito di supplire all’assenza di veri intellettuali indipendentisti, perché quei pochi che abbiamo sono troppo occupati a dire banalità per raccogliere applausi piuttosto che fare critiche e proposte al complesso dei movimenti Sardi.

P.S. – Alcuni lettori mi hanno scritto chiedendomi un parere sulla strategia del PSD’AZ. Ma cosa volete che vi dica? Un partito che rinuncia ad un suo candidato di punta e che poi riprende una strategia simile per sostenere un candidato centralista alternativo a quello che ha buttato fuori……beh, forse è meglio che mi fermi qui, gli amici sardisti avranno capito che è tempo di cambiamenti.

Adriano Bomboi.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Natzionalistas Sardos

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    2 Commenti

    • Per quanto riguarda l’importanza della lingua per definire una Nazione risponderei a Maninchedda con Colin Renfrew, un suo pari, autorità mondiale in campo archeologico, ma entrato nell’accademia con criteri diversi da quelli che vengono utilizzati in Italia per l’accesso all’Università come docenti ordinari. Nella prefazione dell’opera ARCHEOLOGIA E LINGUAGGIO Renfrews scrive: “Ma linguaggio e identità sono strettamente legati e poche cose sono più personali del linguaggio che si parla. Invero, linguaggio e identità nazionale sono oggi frequentemente messi sullo stesso piano. La propria affinità “etnica” è spesso determinata molto più dasl linguaggio che da qualsiasi caratteristica fisica identificabile e le elezioni sono vinte o perse dai Fiamminghi e Valloni, bombe vengono fatte esplodere dai nazionalisti gasllesi e separatisti baschi, e massacri vengono perpetrati in molte parti del mondo (come recentemente nello Sri Lanka)sulla base di distinzioni che sono prevalentemente linguistiche e culturali. Spesso le differenze sono anche religiose, perchè la religione, come il linguaggio, è frequentemente una componente fondamentale dell’identità nazionale ed etnica”

    • [...] torniamo ai  Primi appunti sulla nostra rivoluzione che Maninchedda ha pubblicato ieri. Si veda http://www.sanatzione.eu/2013/08/codex-aeticarum-maninchedda-e-la-coscienza-nazionale-in-politica/ anche per una recensione [...]

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