Corriere della Sera: Sergio Rizzo, profeta dell’incultura centralista

L’Italia non conosce mezze misure, e del resto, l’equilibrio non ha mai fatto parte dello Stato unitario dal risorgimento ad oggi.
Dalle righe del Corriere della Sera del 23-08-12 arriva un nuovo attacco alle specialità autonomistiche. Per intenderci, quelle che non nacquero per esclusive motivazioni economicistiche, ma anche culturali, linguistiche (e magari persino nazionalistiche).
Sergio Rizzo è il nuovo profeta del centralismo di Stato, e duole notare che da buon contestatore degli sprechi della Repubblica si sia trasformato nel più improvvido contestatore della democrazia. Sì, perché tutto sommato, il Corriere della Sera rimane il quotidiano più diffuso d’Italia. E questo è sufficiente per ritenere dannose le opinioni di Rizzo, che si spingono fino ad auspicare l’abolizione delle Regioni Autonome.
L’approssimazione ed il populismo di queste opinioni si scorge in vari passaggi del suo articolo, ad esempio quando pone maldestramente sullo stesso piano gli sprechi della Sicilia con i piani immobiliari delle autonomie del nord. Ma, a prescindere dalla bontà di alcune osservazioni, questo può essere ritenuto valido per attaccare le diverse sensibilità culturali della Repubblica? Ovviamente no, perché dare un nuovo taglio centralistico alla Costituzione (che già vieta alle autonomie la diretta amministrazione di varie competenze), significherebbe stravolgere i principi della Carta Costituzionale, tornando ai tempi del Regno d’Italia, quando l’ignoranza sabaudo-fascista era ben lontana dal prefigurare il rispetto delle minoranze linguistiche, delle loro specifiche e territoriali esigenze economiche, ben distinte dal resto della Repubblica che conosciamo.

Probabilmente Rizzo ignora che il centralismo di Stato, unito all’inettitudine di certe classi dirigenti, è la causa principale della mancata restituzione del gettito, per miliardi di euro, che la Sardegna continua ad attendere da parte di Roma nel contenzioso sulla vertenza entrate. Non tutte le Regioni sono uguali, né l’incompetenza della politica locale può giustificare un attacco ai diritti di popolazioni che la retorica unitarista vorrebbe collimanti in tutto e per tutto alla mitica nazione italiana.
Lo Stato Italiano fu già ripreso dall’ONU nel 1960 e nel 1961 per l’inosservanza di questi diritti identitari, e non si capisce in base a quali ragioni lo Stato centrale debba attaccare le nazioni linguistiche tedesca, ladina, friulana e slovena (per citarne alcune) che compongono questo ottocentesco Stato-nazione.
Rizzo, non trovando alternative agli sprechi di un ceto politico centralista parassitario, al posto di promuovere un sano federalismo politico incentrato sulla responsabilità e sul multiculturalismo, propone l’esatto opposto. Paventando ulteriore verticismo amministrativo ed economico, infischiandosene altamente dei diritti delle popolazioni che si vorrebbero in tutto e per tutto omologate a tali velleità unitaristiche. Questo verticismo, la cui cultura si riverbera anche nella dialettica politica e nei media, è la stessa che ha sempre consegnato la Sardegna (con la sua autonomia di cartapesta) all’ombra delle attenzioni dei governi romani, di destra o sinistra che fossero. La Sardegna è sempre venuta dopo le altre Regioni della penisola. Disse Mario Melis, sardista e Presidente della Regione negli anni ’80:

Le istanze che muovono dalla coscienza storica di popolazioni vissute nell’emarginazione e nel sottosviluppo e che tendono a denunziare l’ingiustizia per promuovere finalmente una politica capace di definire nuovi assetti di civiltà in uno Stato finalmente restituito ai suoi valori di democrazia vengono sprezzantemente liquidati come “localistici”, mentre quelli così spesso realmente locali delle aree del Centro Nord diventano “interessi nazionali”.

Cagliari, conferenza CGIL, 1987.

Tradotto: se ad esempio si parla dei bisogni del Lazio, per Roma si tratta di “interessi nazionali”, se si parla dei bisogni della Sardegna, diventano “interessi locali”. E’ il caso dell’ILVA di Taranto, come se i morti e le bonifiche dell’impianto pugliese fossero più importanti di quelli della Portovesme Sarda e non meritevoli delle stesse attenzioni.
Ancora più grave è che, in nome di presunti “interessi nazionali” e “bilanci di spesa”, un Governo tecnico, come quello Monti, senza alcun mandato elettorale, tenti di limitare le prerogative dell’autonomismo al fine di salvaguardare un modello di Stato che, certamente va riformato, ma, appunto, in un ottica federale.

L’assistenzialismo e il clientelismo denunciato da Rizzo nascono proprio dal centralismo, non certo dall’istituto del regionalismo in se, in quanto, quando nei territori non esiste la diretta amministrazione di entrate ed uscite, è prassi comune osservare gli sprechi della politica locale delle risorse centrali, proprio perché manca il requisito della territorialità gestionale del Fisco e viene meno dunque il principio della responsabilità vigente invece nei sistemi federali. Nel nostro contesto a questo problema si somma il danno e la beffa, perché, da un lato, le comunità più virtuose della nostra Regione si trovano imbrigliate dal Patto di Stabilità che impedisce loro di liberare liquidità per lo sviluppo; dall’altro lato, la beffa consiste nell’assistere alla riscossione diretta, da parte dello Stato, delle imposte versate dai Sardi e che non tornano al territorio. E’ proprio questo circolo vizioso ad alimentare il parassitismo del politicantismo locale, che campa di vane promesse elettorali grazie alla gestione di una crisi perenne a cui non può offrire soluzioni strutturali.

Quelle di Sergio Rizzo sono pertanto le parole dell’incultura e dello statalismo, che noi Sardi sommiamo ai vari attacchi della stampa italiana visti da qualche anno a questa parte contro le specialità della Repubblica. Uno Stato che declassa la nostra lingua nazionale; che non ci permette di studiare la nostra storia nelle scuole; che non ci permette la diretta amministrazione dei Beni Culturali (con grave danno alla nostra industria turistica); che ci isola, grazie al suo Antitrust che permette la vendita della compagnia di navigazione Tirrenia agli armatori privati di CIN; che non ci consente l’amministrazione del Fisco, e che infatti persiste nel trattenere indebitamente il sudato denaro dei nostri cittadini maturato grazie all’art. 8 del nostro Statuto Autonomo (a cui dobbiamo dare maggiore sovranità).

Osservare quest’incultura attaccare la nostra Autonomia, per di più giustificata con gli sprechi di terze realtà regionali, è un insulto morale al Popolo Sardo ed al grave periodo di crisi che l’isola sta attraversando.

Di Adriano Bomboi.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Nazionalisti Sardi

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