In Sardegna la protesta non si lega alla necessità di riforme: ma quali liberalizzazioni?

Non è la prima volta che parliamo di “meridionalizzazione” della politica in Sardegna. Si tratta di quella classica tendenza popolare a protestare senza contenuti, senza fare proposte. Una commedia che da oltre un secolo a questa parte spinge l’isola verso la solita petulanza assistenzialista. Spinge i Sardi a piangere dal politico centralista di turno nella richiesta di denaro pubblico, per poi rimandare i problemi nel tempo al posto di risolverli.
Ma sapete qual è la ciliegina sulla torta? La presenza di svariati partiti territoriali, indipendentisti o autonomisti che siano, i quali, piuttosto che parlare di riforme (e pochi lo fanno), non di rado tacciono oppure si accodano alle proteste di piazza nel vano tentativo di strappare qualche consenso per il loro magro tornaconto elettorale.
Spesso non appaiono neppure nei report giornalistici, dopotutto, come si fa a dare credito a poche bande di persone abituate a ripetere slogan identici e zero contenuti?
La Sardegna ha bisogno di un nuovo Statuto Autonomo. Dobbiamo controllare la fiscalità, dobbiamo occuparci della formazione per creare un capace mercato del lavoro. Dobbiamo defiscalizzare e sburocratizzare questo mercato del lavoro. Dobbiamo insegnare la storia, la lingua e la cultura di questo territorio: perché senza specialità c’è solo omologazione. E dove c’è omologazione non c’è Autonomia ma solo periferia, la stessa in cui si alimenta la petulanza assistenzialista che ben conosciamo.
A cosa serve in Sardegna bloccare delle strade che non incidono neppure nell’economia della penisola? A cosa serve protestare se poi si votano i soliti partiti centralisti che a Roma hanno interessi contrapposti a quelli specifici dell’isola? E a cosa serve all’indipendentismo frammentarsi se poi non si pone come alternativa di peso capace di offrire soluzioni politiche? In Sardegna abbiamo già abbastanza persone sulle piazze e nelle trasmissioni di Santoro.
Bene han fatto quei 23 sindaci del Sulcis a dismettere la fascia tricolore. Ma adesso al vuoto politico si sostituiscano i contenuti di una seria programmazione territoriale.

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La crisi finanziaria, sempre più stringente nell’eurozona, sta provocando, nei vari Stati membri, importanti cambiamenti a livello politico e decisionale. Cambi di governo e manovre correttive, frasari tecnici ed economici, sono ormai sulla bocca di tutti i cittadini europei, e aumenta in tutti la paura inconscia di un imminente peggioramento della qualità della vita, faticosamente conquistata negli ultimi due secoli.
Orientando il focus sull’Italia, non si può non notare come in quest’ultimo decennio il benessere della popolazione sia andato via via scemando, specialmente nel sud della penisola, prevalentemente a causa di una forte redistribuzione del reddito a favore delle classi agiate (nel 2010 il 49% della ricchezza era concentrato nel 10% della popolazione, e il restante 51% rimaneva al 90% degli italiani).
In questi ultimi decenni varie lobby hanno preso il sopravvento, creando degli status quo che hanno notevolmente strozzato il mercato.
Le liberalizzazioni sono rimaste sugli intenti di vari governi che si sono succeduti da 20 anni a questa parte, ma nessuno è riuscito ad avere la meglio su questi influenti gruppi di potere, spesso anche a causa di grossi interessi personali diretti.
Sarà forse questo uno dei motivi della scarsa incisività del Governo Monti nelle liberalizzazioni a carico del sistema bancario e assicurativo?
Le aperture al mercato annunciate dovrebbero essere rivolte a 360°, quindi trasporti, telecomunicazioni, commercio, rete distributiva, carburanti ecc., per portare un aumento di PIL (stimato) di circa l’1.5%, e una ricaduta immediata sulle famiglie di circa 900 euro all’anno.

Nella realtà in Sardegna, sommando la pressoché scarna incidenza dei provvedimenti nel sistema creditizio a quelli nel commercio, la situazione appare alquanto stabile e ingessata.
Liberalizzare gli orari di apertura potrebbe favorire unicamente i grandi esercizi commerciali e penalizzare i minori. Da un lato, non sarebbero in grado di reggere la concorrenza coprendo turni nell’arco delle 24 ore (spesso si tratta di punti vendita a gestione familiare e/o con pochi addetti), dall’altro, si rischierebbe una flessione dei diritti degli impiegati.
La situazione per questa classe di lavoratori è già abbastanza precaria, sia per via dei contratti, mediamente a termine, sia a causa delle retribuzioni molto basse (si arriva anche a pagare la miseria somma di 400-500 € per 8h ufficiali di lavoro), sia poi per l’effettivo carico di lavoro svolto, infatti è prassi comune dichiarare le 8 ore e poi farne fare al dipendente anche 9, 10, e anche 12, il tutto senza riconoscerne gli straordinari. Per non parlare dei rischi sulla sicurezza in cui incorrono i piccoli esercenti in determinate fasce orarie e che, a differenza dei maggiori centri commerciali, non possono permettersi un valido supporto di vigilanza a pagamento.

Ci stupiscono piuttosto le proteste di Federfarma alla notizia che in Sardegna le farmacie possano salire a 700 punti vendita, poco più di un centinaio rispetto alle attuali. Non c’è stata alcuna seria liberalizzazione in materia. E ci stupiscono le proteste degli avvocati. In Sardegna c’è un avvocato ogni 300 abitanti: che mai potrebbe cambiare in termini di opportunità per i giovani laureati in giurisprudenza se i tirocini iniziano nelle università? Probabilmente solo il fatto che sarà il nepotismo ad avvantaggiarsi in quanto i figli d’arte avranno già una porta pronta in cui addentrarsi.
Che volete che cambi invece per tutti quegli operai in cassa integrazione e per i disoccupati?
Dice bene lo spazio del prof. Andrea Pubusa quando gattopardisticamente afferma che tutto cambia affinché nulla cambi (Democrazia Oggi, 23-01-12).
Siamo in Italia. Ma per la Sardegna il problema non è solo il ritrovarsi parte di uno Stato che finge di liberalizzare (e se lo fa riguarda le fasce più esposte alla crisi), il problema è anche quello di subire dei provvedimenti che non liberano seriamente il nostro mercato e in diversi casi lo penalizzano ulteriormente. Pensiamo alla pressione fiscale e al costo dell’energia che il Governo Monti non solo non ha rallentato ma ha esteso.

Proprio a seguito di questa pesante ingerenza romana nella nostra economia, la classe politica regionale si ritrova costretta a “giocare in difesa”. Ad esempio inventandosi baracconi pubblici nel settore dei Trasporti per ovviare ad uno Stato (sotto inchiesta UE) che vende una compagnia pubblica come Tirrenia ad un oligopolio di privati nella più totale inconsistenza della sua legislazione Antitrust.
Forse lo Stato Italiano ha defiscalizzato le nostre accise sui carburanti nel settore dell’energia? Forse lo Stato ha evitato la mazzata finale del fisco a carico delle nostre aziende in difficoltà? E cosa pensate che cambi in Sardegna il provvedimento governativo sulle licenze dei taxi quando non ci sono neppure strade, costo del carburante e numero di turisti adatti da traghettare?
Come si può rilanciare il territorio dopo la crisi in un contesto del genere?
L’associazione U.R.N. Sardinnya ha presentato alcune proposte che non ci stanchiamo di ripetere:

1) La richiesta per la revisione della Legge Regionale n. 20/59 concernente le royalty sui diritti di produzione energetica in favore del territorio (pensiamo ai campi eolici e fotovoltaici).
2) L’attivazione della zona franca (art. 12 R.A.S.). Non si può più rimandare il tema della defiscalizzazione relativa alle accise sugli idrocarburi.
3) L’avvio di una campagna politica che per la prossima Costituente dovrà adoperarsi nella riscrittura dello Statuto Sardo e nella quale venga contemplata l’ipotesi di realizzare un Antitrust Sardo capace di monitorare e sanzionare le posizioni dominanti sul mercato isolano.
4) L’avvio di una campagna politica per la differenziazione delle fonti di approvvigionamento energetico onde stimolare la concorrenza, tra cui il sostegno alle rinnovabili e, nel medio termine, il sostegno alla metanizzazione dell’isola (gassificatori e/o metanodotti), onde uscire totalmente da politiche demagogiche e inadeguate rispetto alla crisi di competitività che colpisce il nostro tessuto civile e industriale.

Ci auguriamo inoltre che il Partito Sardo d’Azione nel merito di queste liberalizzazioni non si limiti a contestare eventuali trivelle in cerca di petrolio nell’isola (come è successo per bocca del segretario Colli) ma si sforzi di lavorare collegialmente alla conquista delle riforme.

Di Maurizio Floris; introduzione di Adriano Bomboi.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Nazionalisti Sardi

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    1 Commento

    • La Sardegna ha l’oro in bocca ma la sua classe dirigente se ne frega.
      1.l’oro è il vento in mare che stoccato con l’hydro di mare darebbe energia elettrica e fuel senza smog ma il Presidente dice no al vento in mare,il piu’ efficiente al mondo per fare vento a terra che dire speculativo è eufemistico;
      2.la Sardegna ha l’unica miniera di carbone italiano degna di nota al Sulcis,ma i politici parlano e non fanno niente per pulire quel carbone usato in energia.Basterebbero dei retrofit CCC e dei carbondotti alle alghe del prof.Cao
      3.la Sardegna prima in Italia produce biopetrolio da alghe ma per produrlo ci vuole tanta co2 che viene dal Sulcis e dagli impianti chimici e raffinerie sull’Isola.Per la classe Governanti è una bestemmia perchè loro vogliono ancora piu’ fossile da lavorare
      4.se parliamo dei pesci mi arrabbio perchè chiesi la Maddalena per grandi vivai alghe-pesce ma preferirono la Marcegaglia che gli dava un sacco di soldi,salvo vedere quelle strutture vuote o sottoutilizzate.
      Cari amici sardi guardate bene la competenza di chi eleggete.

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