Lettera a Bachisio Bandinu sull’indipendentismo attuale e sul caso IRS

Bachisio Bandinu: Bitti, classe 1939, antropologo, scrittore e giornalista, ha diretto il quotidiano l’Unione Sarda. Autore di numerose pubblicazioni, presiede la Fondazione Sardinia.

Caro Bandinu,

Le faccio i miei complimenti per l’ultima pubblicazione in tema di indipendenza. In tempi così difficili per l’economia, la società e la politica Sarda, ogni voce che giustifichi la possibilità di un’alternativa possibile nella visione di un indipendentismo pragmatico e di governo non può che essere la benvenuta. Ma farò qualche osservazione.

In questo nuovo millennio, la preoccupazione di diversi intellettuali Sardi vicini all’ambito indipendentista si è quasi esclusivamente orientata nel comunicare verso l’esterno la “rivolta dell’oggetto”; una serie di mutamenti sociali ed economici che hanno positivamente contribuito ad aumentare il ventaglio delle idee che hanno portato allo sviluppo di una coscienza territoriale (tuttavia ancora circoscritta alla minoranza del Popolo Sardo).
Ma questo ruolo, da parte dell’intellettuale, può anch’esso rendersi dinamico tanto quanto una identità che deve e può evolversi? Certamente sì. Ma con quale altro obiettivo di fondo?
Occorre argomentare in breve.

Il filosofo italiano Augusto Del Noce arrivò persino a criticare il piccolo Partito d’Azione (Italiano) sui fondamenti della sua breve esistenza politica. Gli attribuiva la stessa genesi storica del fascismo, ovvero quell’ambito ideologico e concettuale che, Mazzini a parte, si condensò nelle forze post-unitarie italiane di antitesi dell’epoca Giolittiana.
Secondo Del Noce infatti fu proprio con l’opposizione ai governi di Giolitti che si svilupparono le prime forme interventiste e combattentiste del nazionalismo italiano di matrice sabauda: più tardi, una parte di queste confluirà nel fascismo dei primi decenni del ’900 e un’altra nell’antifascismo, in cui si sviluppò l’ultimo seme dell’azionismo italiano.
In Sardegna, con la sua longeva variante Sardista, il processo risultò accellerato per via della “specialità” Sarda, e non dovrebbe quindi far stupire quel clima di solidarietà da trincea (tra i reduci Sardi delle prime campagne militari del Regno d’Italia) che portò una fetta di questo sardismo a confluire nel fascismo. Un’altra invece confluì dalla parte opposta. Intellettuali e militari furono dunque i motori principali di una stessa matrice divisa su due fronti contrapposti, ma, nel caso Sardo, tutt’altro che dedita alla volontà di accrescere la nostra coscienza territoriale. A differenza del mito creato recentemente dai Rossomori, la storia ci dice che lo stesso Lussu infatti lascerà l’azionismo per terminare la sua carriera politica nel socialismo italiano.
I pochi e coerenti nazionalisti Sardi, come Bastià Pirisi, non otterranno mai particolare seguito.
E’ solo con personaggi come Simon Mossa ed il ’68 italiano che si ha una nuova spinta a considerare la forza e la potenziale valenza dell’indipendentismo.
Alla luce di questo, possiamo fare due affermazioni di massima: la prima è che l’indipendentismo contemporaneo rinasce e tenta di darsi una concettualità ed un progetto sempre a sinistra: proprio in ragione dell’epoca bipolare in cui nacque.
Pensiamo al Circolo “Città-Campagna” ed alle varie pubblicazioni pan-sardiste del periodo.
Lo stato centrale con i suoi organi di polizia, espressione di un organismo monolinguista e culturale, era inquadrato come l’avversario che “il capitalismo proponeva al nascente nazionalismo Sardo”.
La seconda affermazione di massima è molto semplice ed è una constatazione di fatto: l’idea indipendentista, sia essa confusa o presente in una qualsivoglia forma di coscienza territoriale, si è radicata laddove alcuni soggetti hanno iniziato a ragionare sull’eventualità dell’autodeterminazione.
Ma una volta evolutasi la società, al ragionamento ideologico si è giocoforza dovuto integrare un impianto critico che fornisse l’immagine – non più – di un indipendentismo volto alla creazione di una “Cuba del Mediterraneo”, ma anche di un indipendentismo pragmatico, dedito ad osservare i bollettini economici e privo, però, di una cultura di governo (pensiamo alla storia del Partidu Sotzialista Indipendentista Sardu, che in seguito diverrà SNI). Oppure incapace di tradurre in pratica amministrativa e riformistica l’ideale di fondo: per ragioni culturali, ideologiche, di comodo o clientelari che fossero. Come nel caso sardista, che dal congresso di Porto Torres dell’80 condensò nel suo statuto il vento indipendentista.
E’ con l’avvio di questa primordiale coscienza critica dell’indipendentismo che si sedimenta sempre più l’antisardismo (noto fin dai tempi della “Lega Sarda” di Pirisi e non…).
Per chi ancora credeva nel sardismo (e tutt’ora è così, al di là del PSD’AZ), i polimorfi concetti di federalismo e autonomia possono essere mezzi (e non fini) per l’autodeterminazione.
Mentre chi proveniva da un ambito marxista e ribellista ha proposto l’indipendenza proprio sul filone del pensiero di Mossa; come soluzione immediata e possibile della complessa questione Sarda.
Il retaggio di questo filone repentino e radicale è stato incarnato negli ultimi anni da IRS.
Archiviata l’esperienza del marxismo, gli eredi di Angelo Caria (SNI) hanno cercato comunque di “tradurre la tradizione” in base alla classica e condivisibile filosofia gramsciana dell’individuo come soggetto protagonista del proprio presente, ripudiando l’indifferenza di delegare a terzi la necessità di agire. Ma aggiungo: servirebbe metodo.
Anche nel suo ultimo libro Bandinu, paghiamo purtroppo questo gap nella visione di un dato di fatto: lei dice che l’indipendenza non può riguardare un indeterminato futuro. Io penso che la questione sia più articolata di come viene posta. L’indipendenza non può essere una concezione del presente, l’indipendentismo forse sì. Perché quest’ultimo è un processo di edificazione materiale dell’ideale.
Popper ci ha insegnato che la concretezza di un’azione politica sul lungo termine è data dal valore dei processi democratici e riformistici (quindi graduali).
Il marxismo ed i suoi eredi (tra cui Marcuse), ci hanno invece insegnato qualcosa di radicalmente esercitabile nel presente. Perché per la cultura di questi ultimi il gradualismo non era contemplato, eccetto la soluzione rivoluzionaria e l’attacco ai moderati (nel nostro caso, i sardisti). Una strada oggi del tutto impercorribile e densa di negatività.
Diversi intellettuali Sardi erano già giunti alla consapevolezza di un processo graduale, come gli attuali membri del Comitadu pro sa Limba Sarda (di estrazione sardista), ed alcuni annessi, già autori di una proposta di revisione dello Statuto Sardo.
Per queste ragioni non possiamo condividere l’idea che ci sia solo una sovranità possibile e che questa passi inevitabilmente nella prima fase per l’indipendenza. Glielo dico da indipendentista. E con la consapevolezza della rigidità politica ed istituzionale del contesto regionale e statale in cui viviamo.
Giuridicamente parlando, quando si tratta il tema della sovranità di un territorio, non ci si può infatti fermare solo alla definizione data dalla Corte Costituzionale italiana. Diversi esempi internazionali, come quello celebre degli USA, dimostrano che si può essere Stato o Repubblica pur nel quadro di istituzioni più vaste (pensiamo alla Federazione).
Non conta dunque la quantità dell’istituzione che dobbiamo edificare, ma la qualità del potere effettivamente esercitabile dalle nostre istituzioni.

Lei dunque si chiederà sé, come indipendentista, io sia prima di tutto un autonomista o un federalista (non nel senso leghista del termine), la risposta potrebbe essere: “non esattamente”.
Perché dico questo? Perché da indipendentista pragmatico quale sono, so benissimo che “i Sardi sono capaci di amare”, tanto quanto so, però, che convincerli a vivere una nazione diversa rispetto all’italiana alla quale sono (maldestramente) abituati, è un’operazione fantasiosa tanto quanto quella (rarissima) di far cambiare religione ad un credente.
Solo le riforme, per gradi, potrebbero far sviluppare nel tempo, e nella maggiorparte del tessuto sociale, una seria autocoscienza territoriale, non certo l’attuale disordine, né la frammentazione politica spacciata per pluralismo (per di più ad opera di movimenti con basse percentuali di consenso). E solo in futuro dunque, un referendum ci dirà se il Popolo Sardo avrà superato ogni timore verso una piena autodeterminazione che li conduca ad integrarsi seriamente nella Comunità Internazionale.

Comprendo benissimo che molti intellettuali, sardisti ed indipendentisti, oggi portino il carro davanti ai buoi per spostare in avanti l’asticella di ciò che ogni nazionalista ritiene legittimo, ma così facendo non aiutiamo un indipendentismo ancora immaturo a crescere per fargli capire dove e come i nostri movimenti territoriali sbagliano. All’indipendentismo Sardo infatti è sempre mancato uno specifico e chiaro elemento che invece si riscontra in altre società: la critica.
Fu contro questa dannosa ed elitaria concezione dell’indipendentismo appena descritto che, come privati cittadini, ci riunimmo nel 2005 sotto la sigla di “U.R.N. Sardinnya”, e senza mezzi, lanciammo una battaglia multimediale – segnata da censure e pesanti interventi – per integrare, con idee liberali (non liberiste) ed europeiste, un indipendentismo chiuso e portatore di sterili timori di isolazionismo ed utopismo presso la nostra Pubblica Opinione.
Senza U Erre Enne insomma, anche la IRS di Sedda, Pala e Sanna dal 2002 al 2007, avrebbe lasciato alcune tematiche nei meandri angusti e smemorati del PSD’AZ, che solo recentemente è tornato a prendere ossigeno.
E’ proprio il caso di IRS a rappresentare le contraddizioni di una innovazione riuscita solo a metà: se da un lato ha nominalmente e comunicativamente accettato la sfida di aprirsi a nuove idee, superando dal 2007 la somiglianza con Sardigna Natzione, nella pratica, l’antisardismo, il settarismo, la frammentazione e la proposizione di un nazionalismo arborense (contrapposto ai 4 Mori), non solo è stato incrementato, ma si è associato alla solita cultura post-statalista alquanto in voga presso la controversa e conformista famiglia italiana.
Pensiamo infatti all’assenza del tema delle liberalizzazioni da parte di IRS contro i vari monopoli di Stato e del mercato italiano (unitariamente all’inefficienza dei servizi).
Per citare qualche esempio: pensiamo alla riproposizione di vecchie idee suggestive ma di matrice statalista e sardista oggi potenzialmente fallimentari, come quella di auspicare la nascita di una flotta di navigazione Sarda al posto di sostenere una vera concorrenza ed una maggiore agilità degli investimenti nel settore privato. Sono pochi ormai gli esempi al mondo dove sopravvive il concetto delle “compagnie di bandiera”, la Francia è uno di questi esempi.
Pensiamo al silenzio o all’avversione verso il gasdotto GALSI che avvantaggia indirettamente il monopolista statale ENEL nel mercato energetico regionale, ecc. Problema che fortunatamente non riguarda una parte del sardismo.
Pensiamo alle periodiche dimenticanze sulla Lingua Sarda come (forse unico) perimetrabile elemento di specialità identitaria (storia a parte).
Ma pensiamo ad altri ritardi operati dal retaggio culturale del post-sessantottismo ancora oggi molto in voga, come sul tema della Pubblica Sicurezza, che induce al silenzio buona parte dell’indipendentismo, ancora erede di quella sinistra italiana (e più in generale, altermondista), abituata a vedere in un agente o in un militare, non un servitore della collettività, ma un “servo degli aguzzini”.
Insomma, non abbiamo bisogno di dare le pacche sulle spalle a sedicenti “innovatori” indipendentisti. Perché l’obiettivo di fondo quindi di ogni intellettuale oggi può e dovrebbe essere anche la missione di perfezionare l’impianto critico verso l’indipendentismo, affinché cresca e superi le banalità di temi come la non-violenza per occuparsi sia dei temi reali, sia della riduzione di una frammentazione politica che protagonismi, ritardi culturali e falsi valori continuano ad incrementare. Questa non è la Catalogna, ma neppure la Corsica: con un milione e mezzo di abitanti e con questo sistema elettorale (oltre che mediatico e sociale), non possiamo permetterci un così alto numero di partiti territoriali divisi e privi di strategia amministrativa sul piano delle grandi riforme. Ma…Soru tornerà ad unire o dividere?…

Con stima e cordialità,

Bomboi Adriano – Gruppo U.R.N. Sardinnya

www.sanatzione.eu

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Natzionalistas Sardos

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