Tra turismo ed eolico, quale Sardegna del domani?

Di Adriano Bomboi.

Alcuni giorni fa il neo assessore regionale al turismo, Cuccureddu, ha affermato che l’isola dovrebbe orientarsi maggiormente sul turismo di fascia alta: «diciamo grazie a chi spende 100 euro per una pizza», ha affermato.
E com’era prevedibile, si sono scatenate posizioni di segno opposto. Ma per capire se l’idea sia valida o meno bisogna abbandonare le ideologie e affidarsi a ciò che in tanti si rifiutano di osservare: i dati, che fotografano la situazione esistente.

Per esempio, sappiamo che la Gallura detiene la maggior parte del totale degli alberghi a 4 e 5 stelle di tutta la Sardegna. Ossia quelli in grado di attrarre una fascia di turismo premium.

Il rapporto Hotels & Chains 2023, realizzato da Confindustria Alberghi e Università Bocconi,  pone realtà come Arzachena e Budoni nella classifica delle prime 10 destinazioni d’Italia scelte dal mercato, al pari di destinazioni del calibro di Roma, Venezia e Firenze. Con un trend in progressiva ascesa su profitti e arrivi per tali investimenti. La maggior crescita d’Italia riguarda proprio Arzachena (con un +17% annuo delle camere di catene alberghiere per questa classe di utenza). [Pag. 18, AA.VV., Hotels & Chains in Italy 2023, Horwath HTL, Roma, 02/2023].

Investimenti insomma impossibili nel solo settore extralberghiero, scarsamente idoneo quest’ultimo – soprattutto come capacità finanziarie – ad offrire prestazioni e servizi di fascia alta (tra cui SPA/Centri benessere, per esempio).

Per capirlo meglio è necessario osservare quanti alberghi abbiamo e di che tipo.

Al 2022 in Sardegna si contano appena 963 alberghi (su un totale di 5499 strutture ricettive), di cui solamente 342 di fascia medio-alta, eppure capaci di offrire da soli 69.944 posti letto.
Per intenderci, i bed & breakfast, imprese a basso valore aggiunto, si fermano invece ad appena 9.192 posti letto, mentre la restante quota dei totali posti letto, pari a circa 150mila unità, viene coperta da alberghi di fascia medio-bassa e imprese extra-alberghiere. [Fonte: Sardegna Statistiche. Tavole Turismo anni 2017-2022, dati su base ISTAT, R.A.S., Cagliari, 18-07-2023].

Non ci sono dunque dubbi sul fatto che la struttura regionale del nostro tessuto ricettivo è per la maggiore incentrata su attività a basso valore aggiunto, incapaci di attirare grandi flussi turistici d’élite [Sul tema: Fadda N., Sorensen J., The importance of destination attractiveness and entrepreneurial orientation in explaining firm performance in the Sardinian accommodation sector, Emerald Publishing Limited, Bingley, 2017].

Inoltre, assessore o non assessore, i dati ci dicono dunque che il mercato sta già investendo al riguardo (con buona pace dei presunti “esperti” ambientalisti, che parlano di alberghi semi-vuoti, senza osservare quale tipologia d’alberghi starebbe andando male). E quindi occorre spostare l’attenzione su un altro aspetto, non meno importante: gli investitori stanno incontrando difficoltà?

Se consideriamo la velocità con cui la concorrenza internazionale, e in parte italiana, stracciano la Sardegna, nel turismo di fascia premium (e con riferimento alle destinazioni balneari), ne deduciamo che il vero problema da porsi dovrebbe essere quello di rimuovere gli ostacoli burocratici agli investimenti.

E qui arriviamo ad uno dei nodi maggiori, che causano controversie ideologiche: riguarda il combinato disposto del Piano Paesaggistico Regionale (PPR), unito alla normativa urbanistica e a quella statale sui limiti edificatori.

Iniziamo col dire che, se da un lato il PPR varato a suo tempo dalla Giunta Soru ebbe il merito di frenare alcune speculazioni cementizie sulle coste, rappresenta però una normativa basata sulla percezione delle tecniche costruttive esistenti sino ad una ventina di anni fa. Per esempio, i moderni resort si caratterizzano invece oggi come unità allocative minori e separate, con materiali ecosostenibili, come legna, pietra/graniti, e non più disposte su livelli sopraelevati (qualcosa di ben diverso insomma dai classici “cubi di cemento” ancora presenti nell’immaginario collettivo di tanti ambientalisti). Privo di significato anche il limite edificatorio dei 300 metri dal mare, che non considera le differenze paesaggistiche, orografiche e geologiche delle nostre coste, per cui, come detto più volte, in alcune aree sarebbe possibile costruire entro i 300 metri, mentre in altre sarebbe preferibile evitare di farlo anche oltre i 300 metri.

Ecco, le normative vigenti, sebbene in parte abbiano accolto le innovazioni tecniche citate, hanno palesemente danneggiato l’ammodernamento del nostro intero sistema ricettivo (rimasto dunque per larga parte non competitivo), consentendo, peraltro, la sua polarizzazione maggiore nell’area che più di tutte, per ragioni storiche, investì nel settore (la Gallura).
E non è neppure mancata in Sardegna una piccola attività lobbistica, in ambito politico, che ha impedito una riforma dell’articolata normativa paesaggistica, proprio per evitare che alcune aree dell’isola aumentassero la propria concorrenzialità rispetto ad altre aree non (ancora) interessate da importanti investimenti ricettivi. A ciò si aggiunsero le insensate posizioni di alcuni politici ed intellettuali che suggerirono di dedicare tali aree al solo settore primario, l’agroallevamento, a basso valore aggiunto, danneggiando ulteriormente ampie porzioni di queste economie locali. Danni su danni, generati da un mix di interessi particolaristici, assistenzialismo, ignoranza e ideologia.

Un altro dato di cui tenere conto, non a caso, non riguarda solamente le caratteristiche dei nostri alberghi, ma anche la percentuale di aree interessate da una determinata tipologia di investimenti. Osserviamo per esempio il Rapporto 2023 della Banca d’Italia sull’economia sarda: ne emerge che sull’isola, esaminando il demanio marittimo, al 2021 abbiamo avuto appena 421 concessioni per stabilimenti balneari, a fronte del 79% di superfici sabbiose non interessate da alcuna concessione.
E tali concessioni quanto rendono alla collettività? Il canone medio è ammontato a circa 4.100 euro, un valore significativamente inferiore a quello nazionale (pari a 6.940 euro); in circa il 2,5 per cento dei casi il canone annuo era superiore ai 10.000 euro. L’incidenza del canone medio sul valore aggiunto si è attestata al 5,3%, circa la metà del dato nazionale (9,8%). [Pag. 57, Economie Regionali. Rapporto annuale 2023, l’economia della Sardegna, Banca d’Italia, Roma, 06/2023].

Traduzione: la stretta agli investimenti avvantaggia pochi a scapito di tanti potenziali nuovi investitori, e ricade negativamente pure sui territori che potrebbero ottenere di più in termini di introiti da indotto turistico e occupazione. Senza considerare la diffusa incuria ambientale riguardante ampi ettari dell’isola abbandonati al proprio destino.

Il problema peraltro ricade anche nelle aree interne e interessate da investimenti in ambito rurale: osservate gli indici dei valori immobiliari nei Comuni dell’interno. La normativa che ha impedito di costruire adeguatamente anche nell’agro, ha annientato il valore dei terreni, livellandone il mercato, ed ha alimentato l’abbandono delle terre, coadiuvandone lo spopolamento. E per di più attirando, da parte dei governi italiani, la tendenza ad attivare in loco politiche speculatorie nel settore delle energie rinnovabili.

Anche la predazione di terre per installare pale eoliche e pannelli solari rappresenta infatti un rilevante effetto indiretto dell’eccesso di vincoli ambientali, che hanno in realtà contribuito a danneggiare ulteriormente il nostro paesaggio, a scapito della presenza umana. Un fattore questo del tutto ignorato per esempio dai tanti ambientalisti che oggi, da un lato combattono contro l’eccessivo tentativo di installare ettari ed ettari di pale eoliche, mentre dall’altro si sono sempre battuti per impedire ai cittadini di insediarsi con profitto in tali terre.

In conclusione, per tornare sulle parole, un po’ provocatorie, dell’assessore, bisogna dire che si è posto nella strada giusta. Ma occorre ricordare due aspetti fondamentali:

1) Per giustificare la crescita della presenza di strutture di qualità sulla quantità, destinate a turisti di fascia premium, è opportuno avere anche un’infrastrutturazione adeguata dei servizi offerti nel territorio: strade in buono stato, una sanità che si ponga sopra il limite della decenza, decoro urbano ed ambientale, disponibilità di risorse idriche e fognarie adeguate (che non riguardano solamente l’incremento estivo di un turismo di fascia medio-bassa, come nel presente), connessione internet veloce, e tanto altro.
Viceversa, una larga parte di questo turismo seguiterà a scegliere altre mete più competitive della nostra.

2) La Sardegna non può letteralmente campare di solo turismo, ma occorre investire in formazione per cercare di far si che attecchiscano le condizioni, nel tempo, per diversificare meglio e spontaneamente la nostra economia.

Per ulteriori considerazioni in materia rimando al mio testo: A. Bomboi, Problemi economico-finanziari della Sardegna, Condaghes, Cagliari, 2019.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE

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