Quale futuro per la lingua sarda?

La lingua sarda, emarginata dalla politica e dalle istituzioni, vittima del nazionalismo italiano, viene oggi quasi esclusivamente affidata a proposte autoreferenziali che ne squalificano la diffusione e ne vanificano la tutela.

La riflessione di Giuseppe Corongiu, scrittore ed ex direttore dell’ufficio linguistico regionale, nonché promotore del CSU, il Coordinamentu pro su Sardu Ufitziale.

È chiaro ormai a tutti che la questione della lingua va avanti stancamente senza un progetto, una visione, un disegno.

Non è bastato che si sia levata di mezzo la LSC e i suoi sostenitori per far salire di tono la vicenda. Le varianti, i dialetti, prima tanto esaltati e difesi contro il “pericolo” di una lingua nazionale unitaria, ora sono reietti come lei. È necessario dire che si trattava di un’operazione strumentale?
È passata la visione antropologica italianista di Pira e Angioni (funzionale al mantenimento dello status quo), non quella nazionale di Simon o Corraine.
Il movimento sarebbe morto, ma a causa della disponibilità di risorse pubbliche esiste ancora una sovrabbondanza di progetti, in particolare nel settore editoriale. Ma si tratta spesso di iniziative individuali o aziendali, senza respiro, senza una cornice filosofica che le valorizzi.

La lingua, se non è agganciata a una visione politica, è solo un mero esercizio retorico di natura più dialettale che non ufficiale. Insomma, si ripetono in sardo le stesse cose che si direbbero in italiano con una visione italianista e provinciale delle cose e di sé stessi. La dimensione internazionale delle nazioni senza stato europee per esempio è totalmente assente. Da qui discende anche un problema estetico: la qualità del sardo degli esperti chiamati in radio e in TV è sempre peggio. Perché? Io credo per il fatto che il fine dell’esperto spesso non è migliorare la lingua, ma se stesso. Si usa la lingua senza che essa sia un valore politico, come occasione artistica, personale o professionale. Un mezzo empirico, nella Sardegna disastrata e italofila di oggi, per tirare su quattro soldi ed esistere facendo quattro capriole in dialetto per divertire i “padroni”. Molti esperti non sono riusciti nemmeno a far parlare sardo ai loro figli. E questo è molto significativo.

Però ci dobbiamo chiedere: perché anche un governo a guida sardista ignora la lingua? Dovrebbe fare almeno finta, no? Ci dovrebbe essere comunque uno scatto popolare, no? Una rivolta guidata dagli esperti, almeno. Nella risposta reale a queste domande c’è il succo della questione. Le lascio a voi, io sono in esilio esistenziale.

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Redazione SANATZIONE.EU

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