Sa Die de sa Sardigna e Su Connottu che non finisce mai

Die de sa Sardigna e paradossi: Angioy volle combattere il feudalesimo, ma decenni dopo la sua rivoluzione fu completata dai Savoia con l’Editto delle Chiudende: disastroso ma efficace. Nell’isola si diffuse il credito e aumentò l’export internazionale. Tuttavia, nel 1868, la rivolta nuorese de “su connottu” proponeva di riportare l’isola ai tempi in cui l’assenza della proprietà privata non consentiva una crescita dell’economia.
La cultura della conservazione impera ancora oggi: al pari dei coreani del nord, che non comprendono come un governo democratico possa avere una linea diversa da quello precedente, anche i politici e gli intellettuali sardi non comprendono come possano esistere dei trasporti aerei privi di Alitalia, poiché lontani dalla cultura del libero mercato – Di Adriano Bomboi.

“L’umanità crede di rimediare ai propri errori ripetendoli”.

Nicolàs Gòmez Dàvila (1913-1994).

In pochi ricordano che Giovanni Maria Angioy, l’eroe che prese le redini degli eventi seguiti al 28 aprile, fu uno dei primi imprenditori sardi, interessato a sviluppare la lavorazione del cotone.
Da uomo di grande ingegno e cultura quale era, aperto al fervore innovativo proveniente dall’Europa, comprese che la Sardegna non poteva rimanere abbarbicata nel vecchio modello feudale e la sua rivoluzione tentò di abbatterlo.

Come noto, la rivoluzione fallì, ma gli eventi che seguirono portarono con decenni di ritardo allo stesso risultato. O quasi.

Con l’Editto delle Chiudende (1820) venne posta la prima importante pietra tombale sul feudalesimo, a vantaggio della proprietà privata. La circostanza portò alla fine di un sistema para-socialista di gestione delle terre, allora improduttive, ma lasciò irrisolti numerosi problemi: uno su tutti, aver escluso i grandi feudi dal processo di riforma (sarà solo nei decenni successivi, con la regia delegazione, che si tenterà di sanare le controversie attorno ai diritti sulle terre).
Oggi lo definiremmo un processo di privatizzazioni, sfortunatamente gestite male, che finì per alimentare il divario sociale tra ricchi e poveri, nonché lo sfruttamento coloniale delle ricchezze naturalistiche sarde. Ma attenti: non a causa della proprietà privata, ma delle modalità con cui questa venne assegnata. A subire le circostanze infatti furono tutte quelle comunità che non potevano vantare titoli di esercizio sulle terre, trovandosi così tagliate fuori dagli unici mezzi di sussistenza di cui disponevano.
La riscossa economica arriverà comunque (pensiamo alla formazione del credito e alla crescita dell’export isolano verso la Francia), ma finirà a seguito della guerra doganale tra Italia e Parigi nel tardo Ottocento.

Eppure, volgendo lo sguardo verso un’era tanto convulsa, non possiamo non considerare la rivolta de “su connottu”, avvenuta a Nuoro nel 1868, come un primo sintomo delle contraddizioni insite nel Popolo Sardo. Contraddittoria perché, da un lato, contestava giustamente le iniquità giunte a seguito dell’Editto delle Chiudende. Ma dall’altro lato, si proponeva un ritorno a “su connottu”, cioè ad un sistema privo di proprietà privata, che in realtà avrebbe riportato la popolazione ad uno stadio di minima sussistenza economica.
Bisogna quindi rilevare come una diffusa parte della popolazione, poi celebrata da poeti e intellettuali vari, sia ieri che oggi, non era a favore del cambiamento ma della conservazione. Esattamente in linea con lo spirito che portò Giovanni Maria Angioy all’isolamento, sino alla sua solitaria morte in Francia nel 1808.

Comprendere questi paradossi significa comprendere le difficoltà della cultura locale al cambiamento, perché ogni popolazione è figlia del suo tempo e dei suoi orientamenti ideologici. Un esempio pratico? Per i politici della Corea del Nord è impossibile comprendere le logiche delle democrazie moderne, in quanto, a loro avviso non è pensabile che un governo (eletto) possa avere una linea politica diversa da quello che l’ha preceduto. Ciò accade perché la storia di Pyongyang è forgiata dalla negazione del principio di alternanza democratica.
Alla stessa stregua oggi numerosi politici e intellettuali sardi, lontani dai concetti del libero mercato, si chiedono come possa sopravvivere un regime di continuità territoriale aerea qualora Alitalia fallisse. Questi uomini, devoti alla religione civile della pianificazione, ignorano che il mercato verrebbe coperto da altri vettori, i quali, in regime di concorrenza, potrebbero addirittura offrire prezzi più bassi dell’ex compagnia di bandiera. Questo loro pensiero unico li porta addirittura a sorvolare sulle inefficienze di Alitalia, compagnia capace di produrre legioni di dipendenti e di manager, ma non utili.

D’altronde, appena venti anni fa si riteneva che l’espansione dei privati nel settore aereo avrebbe fatto viaggiare solo i ricchi, oggi invece sappiamo che hanno potuto viaggiare anche i meno ricchi. Tranne Alitalia.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE

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