Biolchini, ma quale sostenibilità? Realismo! Riscriviamo il PPR
Mentre i sardi emigrano, Vito Biolchini, Anthony Muroni ed Alessandro Mongili parlano di sostenibilità, di rottura col passato e di cultura urbana.
Poche chiacchiere: riscriviamo il PPR a favore di edilizia e turismo, dicendo no al partito della spesa pubblica, quel 65% di PIL regionale che oggi distrugge le imprese, condizionando i rapporti politici e sociali a base di assistenzialismo e clientelismo. Lanciamo una corrente realista dell’indipendentismo (in foto, hotel fronte mare di Simon Mossa) – Di Adriano Bomboi.
“Difficile fare meglio senza gli hotel sul mare”. E’ l’opinione di Davide Collu, general manager nel settore alberghiero, andato dritto al cuore di una parte dei problemi economici sardi.
Il messaggio, condiviso anche da giovani sardisti come Putzu, Scanu e Nonne, è chiaro: con la filosofia dell’ambientalismo radicale non si mangia, si emigra. Ed è la stessa filosofia che ispirò Soru per i rigidi criteri con cui venne elaborato il Piano Paesaggistico Regionale accompagnato dal vecchio e antiscientifico dogma di vietare nuove cubature a 2 chilometri dal mare. Non un piano utile a tutelare il decoro ambientale, ma utile a danneggiare l’edilizia sarda e l’espansione del settore turistico in un’era in cui agguerriti concorrenti internazionali ci soffiano milioni di passeggeri. Una catastrofe che pare non interessare le pur articolate considerazioni di Biolchini.
Coniugare ambiente e rilancio economico è possibile, ad esempio individuando nuove aree, architetture e materiali capaci di integrarsi sia al territorio e sia alle esigenze di un tessuto socioeconomico che ha necessità di crescere e che considera fantascientifica l’idea di sfidare il mercato pensando di poter stipare milioni di nuovi arrivi solo sulla base di una riqualificazione delle cubature esistenti.
Simon Mossa, basti osservare i suoi lavori, l’aveva compreso con decenni di anticipo.
Ovviamente nessuno pensa che più cemento porterà ad automatici incrementi degli arrivi e degli occupati se ciò, nel tempo, non verrà associato ad una politica capace di sburocratizzare e defiscalizzare l’isola dalla cultura antisardista che la sovrasta. Ed in questo una volta tanto concordo con Muroni, che quando evita le sue sortite da “centro sociale” pare condividere le mie stesse opinioni. Cioè la visione per cui non essere solamente fruitori di beni e servizi prodotti altrove richiede capacità di poterli creare in loco, ma attenzione: non tramite spesa pubblica ma tramite una sana competizione di mercato.
Non ha torto neppure Alessandro Mongili quando ricorda l’equivocità del concetto di sostenibilità richiamato da Biolchini. Per la maggiore infatti possiamo inquadrarlo entro una cornice ambientalista, non a caso, tra i vari esempi che si potrebbero fare, ho citato il PPR.
Convergo ancora su Mongili e soprattutto su Biolchini però nel momento in cui continuiamo ad ignorare il problema dell’indipendentismo sardo: autoreferenziale, leaderistico e incapace – poiché ideologizzato – di comprendere i rapporti di forza che si consumano, quotidianamente, sulla pelle dei sardi. Né questo indipendentismo può pensare di governare una Regione essendo incapace di amministrarne i Comuni.
Ma allora quale può essere il discrimine o il leit motiv su cui ancorare una proposta di governo dell’isola? Non la sostenibilità, né la discontinuità se questa non parte dall’analisi del contesto socioeconomico sardo e dalle ragioni della sua scarsa e scadente competitività.
A mio avviso ci manca una sana e semplice dose di realismo.
Buon 28 aprile!
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