Le visite commerciali non sono visite di cortesia

Bene gli investimenti internazionali, ma l’isola è priva di quell’interfaccia determinata da una cultura d’impresa e di promozione del brand-Sardegna utile a rendere competitive le nostre produzioni nei circuiti commerciali – Di G.B. Sanna.

Le visite commerciali non sono visite di cortesia. La Cina sta andando in giro a comprare di tutto. In Italia ha già comprato tanto e se si osserva il centro commerciale di Sassari, anche in Sardegna. Sta costruendo città fantasma in Africa. Sta accaparrando terre in tutto il mondo ed è in concorrenza con le multinazionali occidentali per il reperimento delle risorse. Strana apoteosi del comunismo. Le miriadi di attività non sono necessariamente interessate a questo interscambio. Il perché è semplice: dopo la prima fase di ricerca di cervelli e modelli occidentali, ripercorrendo la strada del Giappone degli anni sessanta del secolo scorso, la Cina produce a bassissimo costo in qualsiasi settore. Di fatto abbiamo lasciato alla Cina tutte le produzioni nelle quali l’Italia era leader. L’allora ministro del Commercio Estero Renato Ruggiero e Presidente del WTO fu obbligato dalla politica e dalle banche di affari a permettere alla Cina “comunista” di immettere nel mercato internazionale qualsiasi tipo di bene e servizio a bassissimo costo senza rispettare le direttive dell’OIL (Organizzazione internazionale del lavoro). Eliminando le barriere doganali, si obbligò i Paesi occidentali ad importare i prodotti cinesi senza regole di salvaguardia. Fu subito chiaro che noi non avremmo potuto entrare in competizione col dragone cinese, che ha un mercato interno immenso. Il mercato fu precluso ai prodotti italiani, esclusi quelli di alta qualità; fa prestigio per un manager orientale guidare una Ferrari, vestire Valentino, visitare Venezia.

Oggi, approfittando dello scorso “scalo tecnico” cinese nella nostra isola, Pigliaru continuerà a raccontarci di prodezze incredibili. Certo, se i cinesi fossero interessati al Porto di Cagliari sarebbe un buon colpo; sono padroni del Pireo e praticamente di Gioia Tauro. Noi proponiamo la Sardegna; ottima idea, aspettiamo la risposta. Però attenzione.

Turismo: non siamo preparati, non abbiamo nostri compatti tour operator, non sono sardi i maggiori alberghi e resort, con tanti operatori turistici spagnoli.

Produzioni nostrane: se controlliamo le nostre etichette, veramente riconosciute nel mondo come sarde, praticamente non ne abbiamo (salvo alcune eccellenze, come in ambito enologico). Siamo produttori di ovini, formaggi, miele, carciofi, bottarga, vino e mirto.

Andiamo a verificare la due Q: qualità e quantità. Da anni non sfruttiamo le nostre competenze e ce lo chiede l’Europa. Il governo regionale non sa di cosa si parla quando si parla di competenze. La competenza del nostro Assessore alla Programmazione non arriva a concepire il necessario.

La Sardegna non ha validi consorzi di produttori e tanto meno consorzi di acquisti. Mi è capitato di condurre, non molto tempo fa, un progetto per imprenditori finalizzato all’interscambio con i vari Paesi del Mediterraneo e fu un fallimento. Accadde che gli ambasciatori di quei Paesi si stupirono nel vedere che le imprese sarde non trattavano con unico corpo e unica mente, bensì agivano, in modo frammentario, singolarmente e all’insaputa l’una dell’altra, cercando il proprio tornaconto e non quello comune. Nella scarsità di prodotto si compete con la qualità; non abbiamo filiere certificate. È compito delle strutture della Regione fornire supporti, non nella gestione dell’impresa, ma nella stesura dei progetti di fattibilità, nell’organizzazione di programmi, e con pazienza stimolare le linee di collaborazione fra le aziende che producono gli stessi beni. Poco tempo fa è sorta una polemica con una famosa impresa casearia. Esempio: la Sardegna è una grande produttrice di carne di pecora, ma se si controlla nei supermercati la carne di pecora esposta non è sarda. La carne di pecora fornita agli alberghi e ai ristoranti da aziende che fanno distribuzione dei prodotti alimentari non è sarda. In questo settore non vi è una azienda sarda, così per i maiali, per il pane, il formaggio, il miele, i carciofi. Abbiamo tante piccole imprese sarde che, prive di un’interfaccia commerciale, annaspano nella tentata vendita. Dall’altra parte non abbiamo consorzi di acquisto. Chi fa il prezzo in Sardegna sono i venditori dei prodotti non sardi e non i compratori. Idem chi fa il prezzo in Sardegna sono i compratori dei prodotti sardi e non i produttori.

È triste ammetterlo ma non abbiamo un “marchio Sardegna”. L’unico marchio Sardegna che abbiamo avuto fu il Cagliari di Gigi Riva. Cosa possiamo offrire a Pechino? I nostri servizi. Che vengano anche loro a comprare, dai tempi di Michele Zanche, i barattieri non mancano.

Iscarica custu articulu in PDF

U.R.N. Sardinnya ONLINE

Be Sociable, Share!

    1 Commento

    • Carissimo GB
      concordo su tutto. Di fatto posso aggiungere con certezza che come Regione Autonoma non siamo capaci a “nde ogare un’ainu dae sa lolla” ossia non siamo capaci a niente. Concludo affermando che il sistema Regione Sarda andrebbe annullato per il bene stesso dei sardi. Un’ultima cosa, quanti sono i sardi nel mondo che sanno fare, ma sono respinti da chi ci governa. Lasciamo perdere poi il Master and Back, pro caridade

    Commenta



    Per la pubblicazione i commenti dovranno essere approvati dalla Redazione.