Perché la Giunta Pigliaru preferisce edilizia e sanità ai giganti di Monte Prama

Si dice che la politica sia l’arte di rimandare una decisione finché non sarà più rilevante. Ma questo politicantismo finisce per cronicizzare i problemi conducendo tutti sul baratro. Vi ricordate il tema della riscrittura dello Statuto autonomo regionale? Svanito dall’agenda politica. Ai democristiani ellenici che governano la nostra Regione non interessa più una riforma strutturale che ci consenta di ridurre tasse e burocrazia per attirare investimenti anche sulla cultura.
Le riforme sono temi da statisti; il consenso, quello immediato, da politicanti. Si spiegano così i sintomi di quel morbo che attanaglia la Giunta, e che l’ha spinta a chiedere un mutuo milionario per avviare un piano assistenzialistico per le infrastrutture, ma destinando appena 3 milioni di euro al sito archeologico di Monte Prama. Mentre per la sanità ha stanziato oltre 3 miliardi di euro (più dell’impegno statale in Lombardia, che ha quasi 10 milioni di abitanti).
Pigliaru disse di voler avvicinare la Sardegna agli standard dell’Alto Adige, oggi ci stiamo abbassando a quelli della Sicilia, la Regione che ha più forestali del Canada. Infatti perché riformare quando si può disporre del denaro dei contribuenti per creare lavoro in cambio di consenso elettorale? Meglio seguire l’esempio della “magna” Grecia, il banchetto è gentilmente offerto dalle vittime di Equitalia.
Questa malattia ha un nome, si chiama “Morbo di Keynes”. Gli amministratori che ne sono afflitti finiscono per avere stipendi medi da centomila euro l’anno. Gli occhi diventano rosso sangue, i canini si allungano, la ragione cede il passo alla tentazione, e non riescono più a fare i dovuti collegamenti tra un assessorato e l’altro. E’ il caso dell’assessore ai beni culturali Claudia Firino e di quello ai trasporti Massimo Deiana: quest’ultimo ammira segretamente Onorato, patron di Moby Lines. Sapete perché? Perché lo vede come l’unico imprenditore disposto a rischiare per un’isola che ha pochi turisti (ovvio: quale altro imprenditore investirebbe contro la convenzione che assegna a Tirrenia soldi pubblici per un importo di 72 milioni di euro all’anno? Solo chi ha la strada spianata verso il monopolio). Il terribile virus keynesiano impedisce a Firino, Deiana, Maninchedda e Pigliaru di vedere che il magro sito archeologico di Stonehenge, in Inghilterra, attira navi e aerei per milioni di turisti. Quindi perché investire nei giganti di Monte Prama? Se nascessero nuovi alberghi, negozi, ristoranti e agenzie turistiche varie nei pressi del sito di Cabras…pensate forse che gli elettori si filerebbero ancora chi li manda a piantare cardi per sei mesi l’anno col primo furgoncino comunale che gli appioppano?

Una prima cura di questa patologia è stata offerta da Nurnet, un’organizzazione privata che oggi ha il merito di attutire gli effetti della peste che ha decimato l’attenzione verso il nostro monumentale patrimonio archeologico. Un approccio sistematico richiede invece una profonda riforma delle nostre istituzioni e del modo di concepire il governo dell’isola, che necessita di una seria dimensione culturale. E che oggi, come ci ha ben ricordato l’articolo di Nicolò Migheli e quello di Roberto Bolognesi, non vedremo tanto presto. Perché questo approccio non arriverà sicuramente da amministratori sbucati dalle università coloniali di Sardegna, dove l’economicismo tende a separarsi dalla cultura, che rappresenta il valore aggiunto di un territorio.
Va detto tuttavia che la scienza economica nel suo insieme non ha mai teso ad escludere i fattori immateriali dello sviluppo, e se tali scuole di pensiero faticano ad attecchire lo si deve a tre fattori essenziali: la pigrizia intellettuale, il dogmatismo ideologico e l’opportunismo politico. La miscela di questi patogeni produce politicanti conservatori e assistenzialistici, incapaci di riformare se stessi e la collettività che hanno l’ardire di amministrare. La patologia produce anche insanabili pasticci culturali. Uno di questi lo possiamo trovare nella demagogica proposta di legge del sovranista Paolo Zedda, relativa all’introduzione della lingua sarda a scuola. Dico “demagogica” perché, come ha spiegato Giuseppe Corongiu, questa legge non affronta il tema della standardizzazione linguistica e fa passare l’idea che il sardo non esista se non nelle centinaia di dialetti locali che una didattica scolastica non potrà mai ovviamente recepire. Abbiamo quindi un arretramento evidente rispetto alla vecchia legge regionale n. 26/97 e sul progetto di riforma della LSC.
Un altro pasticcio invece attiene al campo dell’innovazione culturale, perché l’ignoranza dell’economicismo preclude ogni possibilità di sviluppo promozionale dell’isola. Ad esempio, di recente gli studi di Augusto Mulas e Marco Sanna hanno mostrato la possibilità che la disposizione geografica dei 9 siti nuragici di Torralba, attorno a Santu Antine, ricalchino lo schema astronomico di 9 Pleiadi situate nella Costellazione del Toro (visibili a occhio nudo e adorate da varie civiltà antiche). Qualcuno ha visto la nostra comunità scientifica attivarsi per studiare questa possibilità? Ovviamente no. Il silenzio è proporzionale a quello politico, così com’è stato per i giganti di Monte Prama, tenuti per decenni al chiuso di un magazzino della sovrintendenza archeologica. “Cose di poco conto” per i nostri politici, meglio indebitare i contribuenti per aprire cantieri comunali o attirare industrie fuori mercato. Tutti gli altri emigrino.

Siamo in presenza di un virus estremamente contagioso, ognuno nella propria famiglia ha almeno un ammalato. E se questi tentasse di sedurvi, resistete e legatevi al primo palo. Anche Ulisse riuscì a sfuggire al canto delle sirene.

Di Adriano Bomboi, anche su Sardegna Soprattutto.

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