Bastia, Sinferopoli e Venezia: i vari volti della libertà

La Corsica compie un passo avanti. Alle Municipali 2014 di fine marzo a Bastia il nazionalista Corso Gilles Simeoni (IPC) si è aggiudicato la vittoria sul candidato di sinistra Jean Zuccarelli con il 55,40% dei consensi (pari a 9431 voti), rispetto al 44,59% dello sconfitto. Una buona notizia per tutti i nazionalisti moderati Corsi che hanno scelto la strada delle riforme contro il centralismo, e in alternativa al vicolo cieco delle armi. Lo stesso non può dirsi per la penisola di Crimea, dove il legittimo referendum per l’indipendenza del Paese dall’Ucraina è stato commissariato dalla presenza militare russa, che ha immediatamente ipotecato, come da programma, la vittoria referendaria per l’annessione a favore di Mosca. Eppure l’indipendentismo della Crimea rimane un fenomeno distinto da quello europeo e occidentale in generale, perché se il primo rientra nell’orbita degli interessi geopolitici in atto nell’est-Europa, i secondi hanno a che vedere con le difficili condizioni amministrative a cui sono sottoposte le minoranze nazionali di alcuni Stati-nazione.
Sul versante ucraino il presidente russo Putin ha disposto un esercito di quasi 50.000 soldati russi lungo il confine. Secondo l’intelligence americana, l’obiettivo del Cremlino sarebbe quello di riaccendere il clima di guerra fredda che esisteva fino agli anni ’90 tra gli Stati Uniti d’America e l’ex Unione Sovietica, e quindi la Russia mirerebbe ad un espansione territoriale che potrebbe far parte di un programma di ripristino forzato della vecchia sfera di influenza sovietica. Eppure ad un occhio libero dalla partigianeria non sfugge il ricordo del Kosovo, dove USA ed UE – a differenza di Mosca – appoggiarono l’indipendenza dalla Serbia. In questo caso succede l’opposto, con il democratico occidente che non riconosce il diritto della comunità di Crimea ad emanciparsi da Kiev per abbracciare la democrazia autoritaria di Putin. Quanto avvenuto conferma, se ancora ce ne fosse bisogno, che il Diritto Internazionale in tema di autodeterminazione dei popoli continua ad essere un principio a geometria variabile, dove ogni potenza globale sostiene di volta in volta una determinata indipendenza statuale a seconda dei propri interessi del momento. Se per il Kosovo vi fu la motivazione dei traccianti energetici e dell’allargamento ad est dei confini geopolitici del blocco NATO, in Crimea si è manifestata anche quella strategica militare diretta, perché grazie al porto di Sebastopoli i russi godono di uno sbocco tattico diretto verso il Mediterraneo. Ma la crisi ucraina non è stata l’unica a tenere banco nei mass-media internazionali. La seconda, di gran lunga meno preoccupante per le modalità democratiche con cui si è manifestata, riguarda il referendum per l’indipendenza del Veneto, che fra il 16 ed il 21 marzo scorso è stato sostenuto da oltre due milioni di cittadini. E per questo risultato bisogna ringraziare prima di tutto Gianluca Busato, imprenditore trevigiano con un passato nella Lega Nord, fortemente critico sulla linea di “falso federalismo e indipendentismo” padano, che da tempo si è concentrato sulla necessità di liberare il Veneto dalla politica centralista italiana. Nel 2013 ha promosso la formazione di “Plebiscito.eu”, un movimento apartitico dedicato alla consultazione per l’indipendenza della sua terra. Dietro il movimento di Busato c’è il sostegno finanziario di un gruppo di imprenditori che auspica la secessione dall’Italia per eliminarne il suo regime di polizia fiscale. I Veneti hanno anche votato a favore di una nuova Europa e della NATO. Da parte sua Plebiscito.eu offrirà la sua piattaforma tecnologica per promuovere pure la secessione di altre parti del territorio italiano, così da disgregare lo Stato centrale, ispirandosi alla politica dei grandi partiti nazionalisti europei, come in Scozia e in Catalogna. Il Veneto è uno dei maggiori contributori economici dell’Italia unita, che per i suoi sacrifici riceve un volume di circa 20 miliardi di euro in meno a favore di un sistema-Paese che consuma la ricchezza piuttosto che investirla. Pensiamo a casi di mala amministrazione come in Sicilia, dove esistono addirittura 28.000 forestali (pari a 480 milioni di euro annui), o in Calabria, che stipendia 10.500 assistiti, due volte e mezzo quelli del Canada. Diverso il caso della Sardegna, che paga interamente da sola Sanità e Trasporti, uno dei pochi casi in Italia, e che, nonostante l’elevata presenza del settore pubblico e di una classe politica ferocemente clientelare ed anti-imprenditoriale, ha maturato un credito di miliardi di euro con lo Stato Italiano. Si tratta di un debito che lo Stato non ha ancora restituito, nonostante la classe politica centralista lo abbia persino dimezzato nel corso del tempo a tutto svantaggio dei contribuenti Sardi. Ma attenti a liquidare questi fenomeni solo in termini economicistici, perché sopratutto i Sardi hanno una cultura, una storia, una lingua ed un patrimonio archeologico unico in tutto il Mediterraneo, che proprio in termini economici varrebbe infinitamente di più di quanto la Repubblica Italiana potrà mai valorizzare.
Ecco perché la libertà non ha prezzo.

Roberto Melis.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Natzionalistas Sardos

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