La Siria? Un conflitto regionale strumentalizzato sul piano globale

“Amica mia,
tenera amica mia,
non ti affliggere per il mio sgomento
i tiranni alla fine cadranno
e si leverà alta e infinita la poesia”.

Nizar Qabbani, 1923-1998.

La geopolitica offre spunti così paradossali che l’intera galassia pacifista si è ridotta a tifare per il regime di Assad. Ma cosa sta succedendo in Siria? Damasco non possiede alcun giacimento petrolifero di rilievo dentro i suoi confini, ciò nonostante quello siriano è uno degli Stati più sensibili all’interno del complicato mondo mediorientale.
La contesa regionalistica vede in campo i Paesi del Golfo opposti ai regimi siro-iraniano, mentre sul piano globale il confronto si svolge fra USA ed alleati rispetto a Russia e Cina. Vedremo perché. Intanto un dato di fatto: le democrazie non sono meno minacciose delle dittature in termini di interventismo militare. Il casus belli, cioè il presunto uso di gas a danno dei civili potrebbe non esistere neppure. Le foto ed i filmati a cui abbiamo assistito per giorni nei media e che mostrano numerosi corpi di bambini uccisi potrebbero derivare da uno o più attacchi bellici condotti tanto dal regime di Assad, quanto dai ribelli. Dunque solo degli arabi, e non USA ed Israele, che pure hanno responsabilità, sono gli esecutori materiali dell’eccidio. Probabilmente i corpi sono stati successivamente raccolti e disposti in fila indiana ad uso e consumo della propaganda interventista, che ha bisogno di creare malumori nell’opinione pubblica sulle atrocità commesse in Siria come giustificazione ad un intervento armato. Si è trattato di una semplice e drammatica guerra civile che ormai ha assunto dimensioni globali. Non esistono buoni contro cattivi, sia l’esercito siriano che le fazioni ribelli hanno commesso atrocità in tutti i quartieri dello Stato in cui ogni metro guadagnato in più a favore di questa o quella fazione serve a determinare gli umori interni che sono decisivi per l’esito della battaglia. L’escalation di violenza si è creata a causa della perdita di efficacia dell’offensiva dei ribelli siriani al regime degli Assad, uno stallo che aveva bisogno di un appoggio internazionale, prontamente offerto grazie all’uccisione di tanti civili inermi. Ma dopo una propaganda muscolare non è escluso l’immediato ritorno alla diplomazia. Chi ha interesse a tenere il potere e perché?

Damasco: Gli Assad sono il principale alleato dell’Iran nella sua influenza in tutto il Medio Oriente, in particolar modo nell’Iraq post-Saddam Hussein, in cui si sono introdotti grazie all’errore americano di aver acconsentito alla decapitazione di tutti i vertici politici e militari di Baghdad. La Siria, con l’appoggio di Teheran, estende la sua influenza in Libano finanziando la politica e la milizia di Hizb’Allah, ed ospita importanti esponenti di Hamas, la fazione politica radicale palestinese che a Gaza si oppone al riconoscimento del diritto all’esistenza di Israele e rallenta il lavoro dei moderati di Fatah. Una caduta della Siria spianerebbe la strada al rovesciamento dei rapporti di forza ai vertici dell’Iran (e della sua politica commerciale in ambito energetico), ed incrinerebbe il posizionamento militare russo offerto dagli Assad a Mosca nel Mediterraneo.

Riyad: L’Arabia Saudita è la pietra angolare dei destini geopolitici del confronto fra oriente e occidente e gode della sua posizione di privilegio determinata dal possesso di vasti giacimenti petroliferi, il suo ruolo ha una strategia regionale e globale. Sul piano regionale contiene l’influenza sciita esercitata dall’Iran grazie al commercio con la Cina (primo importatore mondiale d’energia) e della stabilità politica regionale espressa in Asia dalla Russia. La politica del contenimento fa pendere dunque la politica estera della monarchia saudita in chiave occidentale, in quanto l’occidente è interessato a sua volta a contenere l’espansionismo economico asiatico, prodotto grazie all’ottenimento dei maggiori canali di approvvigionamento e distribuzione energetica dell’area. Inoltre, la prevalente assenza di democrazia in vari Stati dell’Asia consente la tenuta e la stabilità dei vari autoritarismi (ereditari e non) che amministrano le risorse e la politica energetica internazionale, con determinanti influssi nell’OPEC, e non solo.

Doha: Il Qatar è il primo sponsor, assieme a tutti gli Emirati del Golfo (fra cui la monarchia del Bahrein) e alleato dell’Arabia Saudita nella strategia di indebolimento degli avversari politici interni al mondo arabo, farsi e musulmano. Secondo alcuni analisti la recente successione al potere in Qatar potrebbe portare delle variazioni nella sua politica estera.

Parigi e Londra: al pari di Washington, la Francia e il Regno Unito perseguono i propri interessi strategici, che non sono subordinati ma paralleli a quelli USA. La compagnia petrolifera francese Total e la British Petroleum inglese sono due delle maggiori multinazionali del settore energetico mondiale, dopo la statunitense Exxon Mobil (in Europa presente col marchio “Esso”). Da sfatare quindi il mito di questi Paesi come “servi” degli Stati Uniti, secondo una certa propaganda pacifista.

Tel Aviv: Israele è a torto il Paese più accusato in assoluto per tutti i crimini del Medio Oriente (perché la maggiore regia politica dell’instabilità regionale e del nord Africa proviene anche e soprattutto dai Paesi del Golfo), ed è persino il minore per quanto riguarda interessi economici diretti. A differenza di USA, Sauditi, Emirati e pochi Stati UE, Israele infatti non ha alcun interesse strategico di rilievo nel settore dell’energia (il motore trainante dell’attuale politica estera internazionale e mediorientale). I suoi interessi nella regione sono diretti, per quanto riguarda la sicurezza, ed indiretti per quanto riguarda quelli economici. Sul piano della sicurezza ha interesse a preservare il suo spazio vitale nella regione, il ché rende Israele l’insolito ma primario alleato dei Paesi del Golfo (con vecchie influenze nell’esercito egiziano, in quello giordano e, fino a poco tempo fa, in quello turco) in chiave anti-persiana e filo-occidentale. Mentre sul piano economico, oltre a preservare i suoi investimenti, il Paese, proprio in forza della sua posizione di avamposto occidentale nell’area, riceve finanziamenti USA per la sua sicurezza, mentre assieme ai Paesi del Golfo funge da tenaglia di contenimento rispetto a Teheran.

Pechino: La Cina è la tigre di carta della situazione. L’attuale investimento bellico occidentale è nel breve-medio termine mirato a compensare le sue fallimentari economie stataliste da debito pubblico (mentre la sinistra accusa erroneamente di “neo-liberismo” tali dinamiche). E sul medio-lungo termine ha proprio l’obiettivo di contenere l’espansionismo commerciale cinese che deriverebbe a Pechino dal libero ed incondizionato accesso alle maggiori riserve energetiche mondiali. Ovviamente non c’è nessun interesse a scatenare la “terza guerra mondiale”, sulla falsariga delle idee di sensazionalisti alla Giulietto Chiesa, perché l’occidente non ha l’obiettivo di distruggere Pechino ma semplicemente di mitigarne l’espansione, in chiave di equilibrio del sistema economico. La Cina infatti è uno dei maggiori Paesi capace di attirare investitori occidentali, e a sua volta è uno dei primi acquirenti del debito pubblico occidentale. In particolare di quello statunitense. E da che mondo e mondo, nessuno avrebbe interesse a minare i mercati con cui fa affari. La Cina è dunque uno dei maggiori attori politici internazionali ma, fra tutti i contendenti, quello con la minore dotazione militare, il che lo rende il miglior alleato di Mosca e degli interessi russi nella stabilità regionale.

Di Adriano Bomboi.

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