La Val d’Aosta spazza via i partiti italiani. Ma in Sardegna altre considerazioni

Finite le Amministrative in mezza Italia (in Sardegna, Comuni come Jerzu e Macomer sono passati all’autonomismo), appare inevitabile occuparsi della Val d’Aosta, dove si tenevano le elezioni Regionali. Nel 2008 ci fu una maggioranza bulgara, la Coalizione Autonomista ottenne il 61,95% dei consensi. Alle elezioni 2013, nonostante la crisi economica e la scissione del 2012 che generò la nuova Union Valdotaine Progressiste (19, 21% di consensi), gli autonomisti passano comunque con il 47,90% dei voti. Il PD si ferma all’8,88%, il PDL al 4,11% (fuori dal Consiglio Regionale) ed il Movimento 5 Stelle al 6,62%.
Sbaragliata la politica italiana, che anche stavolta dovrà accontentarsi di fare opposizione, nonché la parte scissionista dell’autonomismo locale presentatosi in coalizione col PD, il primo partito vittorioso della Val d’Aosta si conferma la storica Union Valdotaine, attestatasi al 33,47% dei consensi (Fonte: Interno.it). La Valle dunque rappresenta uno dei maggiori modelli virtuosi di amministrazione del territorio e di ripudio della partitocrazia italiana, considerata, non a torto, come l’espressione di interessi assolutamente distanti da quelli della Val d’Aosta, sia culturalmente che economicamente. Infatti anche il primo partito dell’opposizione non è italiano. Quali differenze ci sono quindi rispetto alla Regione Autonoma della Sardegna? Non poche. In primo luogo una lunga e consolidata storia di governo delle amministrazioni locali, l’autonomismo è presente in tutti i settori strategici del territorio, dall’economia alla cultura, passando per l’associazionismo ed il sindacalismo (quest’ultimo, proprio sulla base della specificità linguistica ha sbaragliato le confederazioni italiane). In secondo luogo l’unità, perché non esiste un autonomismo frammentato nella stessa misura in cui lo conosciamo in Sardegna, in quanto la “frammentazione” valdostana vede sempre e comunque un grande partito di riferimento su cui poggia l’intera coalizione di governo. Non ultimo, gioca un ruolo fondamentale il già citato fattore della specificità linguistica, che rappresenta il vero punto di forza dell’autonomismo valdostano, distinto dal finto “sovranismo” dei partiti italiani di destra, centro e sinistra. Ne consegue un voto ampiamente strutturato nel territorio che pertanto differisce dal debole voto d’opinione che invece contraddistingue i frammentati movimenti autonomisti e indipendentisti Sardi, ideologizzati e privi di autorevoli esponenti politici cui poter delegare il voto e quindi costantemente esposti ad una scarsa credibilità nei confronti della pubblica opinione.

Ma cosa succederà alle prossime elezioni regionali Sarde? Che ruolo avrà il Partito Sardo d’Azione? E il PD? Cosa faranno la miriade di sigle indipendentiste? E il Movimento 5 Stelle confermerà il suo impegno con IRS nonostante l’assenza di una struttura locale ramificata? Nei prossimi mesi avremo tutte le risposte.
Considerando che in Sardegna un vero e proprio dibattito non esiste ma è tutto confinato a telefonate private fra esponenti politici ed alle più disparate interpretazioni che appaiono nel web, si può affermare che per queste ultime il tema predominante riguarda le prossime primarie del centrosinistra Sardo, su cui una lista sovranista si appresterebbe a concorrere per esprimere un candidato alla guida della Regione. In questo quadro, l’esponente principale di questo processo, il sardista Paolo Maninchedda, ha invitato quanti più cittadini, intellettuali e amministratori possibili a far parte del progetto. Così qualcuno non ha mancato di scriverci per sapere se U.R.N. Sardinnya avrà un ruolo in queste primarie. La risposta è semplice: noi non siamo italiani di centrosinistra, siamo liberalnazionalisti Sardi, ed in quanto tali, non sosterremo mai direttamente un partito centralista italiano. E come già annunciato alcune settimane fa, non esistono ancora le condizioni opportune per un diretto impegno politico del nostro gruppo. In questa fase riconosciamo tuttavia in Maninchedda una delle poche personalità in grado di realizzare una squadra di governo competente e dedita a risanare le principali criticità dell’isola, nonché capace di attirare personalità di rango e di consenso nella difficile battaglia per la candidatura alla Regione (per fare un esempio, pensiamo a Mario Medde, ex dirigente regionale della CISL, da tempo vicino alle tematiche dell’autogoverno della Sardegna). Se quindi sostenere direttamente il PD non è possibile, è possibile invece sostenere una coalizione programmatica per il rilancio dell’Autonomia Sarda, ed in questo senso, una lista sovranista capace di influenzare il PD sarebbe quanto mai auspicabile. Il giornalista Vito Biolchini (fra i pochi veri della Sardegna) si è da qualche tempo arruolato sui temi del sovranismo e della specificità linguistica come base su cui configurare un eventuale “Partito dei Sardi”, tematiche che, come noto, propagandiamo da anni. Su questi aspetti ci sono pertanto alcune osservazioni da porre, iniziamo con una cosa da NON fare per le prossime Regionali: l’ennesimo partito autonomista e “demosardista” (magari denominato pure in italiano). Meglio quindi specificare quanto affermato ad aprile. Abbiamo circa 13 movimenti autonomisti e indipendentisti ed anche la capacità di attirare consenso non è un buon motivo per fondarne un 14esimo. Scordatevi pure le influenze di “Progetto Sardegna”, perché in tempi di primarie, un modello a suo tempo incentrato sulla figura del leader politico-imprenditore è da archiviare. Maninchedda dovrebbe pertanto chiarire se la lista che dovrebbe fare sintesi per le primarie di coalizione ha esclusive finalità elettorali oppure se intende presentarsi come vero e proprio movimento a se (e magari sviluppando anche una nuova tragicomica scissione dentro il Partito Sardo d’Azione). Vi ricordate quando dalla scissione sardista nacquero i Sardistas/Fortza Paris? La motivazione ufficiale era di fare il “Partito del Popolo Sardo” (quantomeno, dopo aver sostenuto il centrodestra, la nuova FP ha portato maggiore pluralismo sardista). Un serio PNS non potrà mai essere un partito che nasce come supporto al nazionalismo italiano di questa o quella coalizione, né potrà replicare lo stesso schema leaderistico tanto caro agli attuali e fallimentari movimenti Sardi.

D’altra parte siamo stanchi di assistere ad un sardismo che ad ogni vigilia elettorale preconizza chissà quali riforme salvo poi non farne neanche una dopo le elezioni. Ad esempio, sul tema linguistico, i principali contendenti nella lotta interna al partito, quante e quali iniziative hanno avviato al riguardo nel corso della legislatura con Cappellacci? E che fine ha fatto il tema della riforma dello Statuto Sardo? Giuliu Crechi del Fiocco Verde ci parlava inoltre dello scarso interesse sardista manifestato nel corso delle audizioni in Regione sulla proposta di legge relativa ad una Agenzia territoriale delle Entrate. Gli eletti sardisti, senza voler fare polemica con nessuno, hanno il malaugurato vizio di svegliarsi solamente quando attorno ad un tema si sviluppa – non per loro iniziativa – un certo seguito popolare. Sarà forse per questo che solo a fine legislatura, lo scorso 14 maggio, Sanna, Dessì, Maninchedda, Planetta e Solinas hanno firmato la proposta di legge n. 22 in materia di zona franca? Meglio tardi che mai, bisogna prendersi ciò che passa il convento.
Avete presente l’Union Valdotaine? Ecco una delle differenze con il nostro contesto: che a differenza del PSD’AZ non si è fatta “italianizzare”, né si è fatta mettere in vetrina da terzi nei periodi elettorali. Nel frattempo il nostro PD regionale designa a Roma Paolo Fadda come sottosegretario alla Salute (quando la Sardegna amministra da sola la Sanità regionale) e mentre l’On. Mauro Pili inveisce contro Roma per l’invio dei mafiosi nelle carceri Sarde (quando fu proprio il suo PDL a stabilire qualche anno addietro il confino carcerario dei mafiosi nell’isola).

Altra osservazione è che non riteniamo quindi questo PD regionale come migliore o peggiore della controparte in merito a specifiche tematiche autonomiste, ben pochi esponenti di questo partito centralista hanno reale competenza al riguardo, e persino la base è dedita a parlare di sciocche correnti romane e di legge elettorale italiana, senza il benché minimo impegno alla valorizzazione dello status di minoranza linguistica (e quindi anche fiscale) che invece contraddistingue altre autonomie della Repubblica, ben rappresentate pure da esponenti politici centralisti. Si tratta di un penoso ritardo culturale e politico sedimentato nel tempo da una classe dirigente che della nostra specialità autonomistica non ne ha mai esercitato le prerogative, né le ha mai potenziate, essendo unicamente occupata a preservare le singole rendite di posizione. Se l’idea di Paolo Maninchedda saprà creare una efficiente sintesi di governo (e per sintesi intendiamo una lista del Popolo Sardo, non una “simulazione di PNS”), sapremo sostenerla, e credo anche tanti altri indipendentisti oggi delusi dai loro rispettivi movimenti di appartenenza, ancora afflitti da un settarismo che non ha ragioni di esistere. Ma solo a posteriori si potrebbe riparlare seriamente di un Partidu Natzionale Sardu.

In ultima analisi una coalizione di governo dovrebbe basarsi sulle riforme e non ridursi al solito ruolo dell’emergenza occupandosi di ordinaria amministrazione. Inutili gli slogan sulla sovranità se poi non ci sono proposte per conseguirla. Ciò che manca alla componente autonomista e indipendentista attuale non è solo autorevolezza e coesione politica ma anche scarsità di vedute sotto il profilo riformistico, perché quasi nessuno ha lavorato ad una organica proposta di ristrutturazione delle istituzioni regionali (il lavoro del vecchio comitato “pro sa noa Carta de Logu” continua a rimanere uno dei pochi esempi al riguardo, da aggiornare).
Più che nel Diritto Pubblico in generale il nostro natzionalismo è lacunoso in materia di Diritto Amministrativo, disciplina che regola direttamente la sovranità che intercorre fra i poteri delle istituzioni, i rapporti con i cittadini ed anche con il mercato (non a caso la nostra proposta di Antitrust Sardo si inserisce in questa necessità). Mentre prima di parlare delle grandi riforme ci sarebbe infatti da capire se il centrosinistra regionale (culturalmente statalista) intende procedere ad una seria liberalizzazione del mercato Sardo, uno dei maggiori elementi di rigidità che ingessano la nostra economia, oltre al peso fiscale. A questo proposito guardiamo con interesse anche agli amici Novadores di Franciscu Sedda, che hanno saputo compiere il passo del pragmatismo e delle proposte rispetto al settarismo verbale che li contraddistingueva nel corso della loro vecchia permanenza in IRS e che più volte abbiamo contestato: perché non vorremmo che i Novadores adesso passassero da un estremo all’altro, e cioè, se un tempo ritenevano inutile l’Autonomia regionale, oggi non dovrebbero neppure far l’errore di pensare che questa da sola basti a garantire, se ben esercitata, tutta la sovranità di cui abbiamo bisogno.

Torneremo su questi temi perché da qui alle prossime elezioni ci sarà ancora di che discutere, soprattutto del restante panorama indipendentista.

Adriano Bomboi & Marco Corda.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Natzionalistas Sardos

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