GALSI: Infrastruttura geostrategica o servitù? Perché ospitare il gasdotto

Cari Lettori,

Al mondo ci sono due modi per concepire un’opera pubblica: quella di farla fare a terzi senza domandarsi sul senso complessivo del progetto (tipico delle mentalità post-coloniali) o quello, anche minimo, di compartecipare alla sua realizzazione (tipico delle culture autonome in grado di pianificare sviluppo politico-economico).
In Sardegna, il gasdotto “GALSI” che collegherà l’Algeria con il resto d’Europa passando per la nostra isola, è oggetto di controversie. Alcuni settori della politica e della società civile lo vedono come l’ennesima ed inutile servitù imposta alla Sardegna. Una servitù che sarebbe possibile causa di esplosioni, di inquinamento ed inoltre confliggerebbe con la naturale vocazione ambientale e turistica del nostro territorio. Ma è proprio così o si tratta di paure che traggono origine dalla pessima amministrazione italiana a cui siamo stati abituati per ogni opera pubblica realizzata in passato?
Probabilmente quest’ultima ipotesi, vediamo perché:

In Scozia, nel Regno Unito, la scoperta del petrolio ha recentemente fatto crescere le istanze indipendentiste della popolazione. Il greggio è la causa principale del successo ottenuto negli ultimi anni dallo Scottish National Party, un movimento che tuttavia arrivava pronto (riformato, coeso ed aperto alla tradizione liberal-nazionalista tipica del laburismo anglosassone) a cavalcare costruttivamente l’onda di un malcontento che ha visto l’ennesima ricchezza nazionale depredata a favore di Londra. Ma noi non siamo così fondamentali, perché non siamo produttori di energia da fonti naturali tradizionali presenti in loco.
Eppure la geopolitica oggi non è data solo dalla materia energetica nei Paesi di produzione, ma anche da quelli di trasformazione e di transito, fino al consumatore finale. Ecco perché, tuttavia, siamo utili.
Per capire l’utilità del GALSI in Sardegna non possiamo dunque non osservare il contesto geopolitico entro il quale l’Unione Europea ha guardato con favore a questo progetto.
Da anni sono partite le cosiddette “guerre del gas” che hanno visto fronteggiarsi diversi paesi dell’est Europa (ma anche alcuni big occidentali) e la Russia, per le forniture ed il transito di gas naturale dal colosso energetico russo Gazprom al mercato UE (principale piattaforma acquirente) – Fonte: CNBC Worldwide, 06-01-2009.
Che cosa sta succedendo? Come già vi avevamo annunciato a più riprese – a partire dall’articolo del gennaio 2006 di U.R.N. Sardinnya – le crisi economiche; la progressiva richiesta di fonti di approvvigionamento per mantenere un livello stabile di crescita economica in questa globalizzazione; nonché l’avvento sulla scena mondiale di economie emergenti, hanno indotto i Paesi Europei ad un’esponenziale richiesta di gas naturale, in abbinamento al classico approvvigionamento petrolifero da utilizzare per finalità civili ed industriali. Come ha ricordato anche Reinhard Mitschek, amministratore delegato del Consorzio Internazionale per la costruzione del “Nabucco” (gasdotto che costituisce il “corridoio sud” dell’EEPR – European Energy Programme for Recovery), nel solo 2007, ben 27 Paesi UE hanno consumato 500 miliardi di metri cubi di gas (mdmc). Di cui 300 importati e 200 prodotti in Europa. Nonostante alcune fonti tendano al ribasso. Mentre nei prossimi 10-15 anni si stima un accrescimento della richiesta di consumi pari a 700 miliardi di mdcm, a fronte della contemporanea diminuzione della produzione UE dai 200 ai 100 mdmc annui. Ciò significa che le quote d’import per lo spazio UE aumenteranno massicciamente. Bisogna considerare inoltre che sempre nel 2007 – oltre al dato di profitto per la Russia di circa 65 miliardi di dollari dal mercato UE, derivante dalle fluttuazioni del greggio, che serve a fornirvi una dimensione del fenomeno (Fonte: Il Sole 24 Ore, 01-09) – la comunicazione SEC12 della Commissione Europea in materia di valutazione della durata delle riserve, stimava in 60 anni quelle di gas naturale ed in 40 quelle di petrolio.
Ma sul merito la comunità scientifica sarebbe divisa. Di certo esiste solo il dato della progressiva diminuzione del petrolio a favore del gas naturale (che quindi è destinato ad aumentare in termini di domanda di mercato) e la parallela consapevolezza di tutti gli stati occidentali (e non) sulla possibilità che le energie rinnovabili ancora allo studio possano integralmente sostituire i carbonfossili tradizionali in non meno di 30 anni. Quanto basta per esporre tutto il mondo occidentale ad enormi rischi per la tenuta dell’economia globale ed alla deriva di alcuni grandi Stati UE (come la Germania) verso la sfera d’interesse politico-commerciale del monopolista russo e quindi di Mosca. Circostanza che, come denunciato anche da un rapporto del Council on Foreign Relations USA giunto alle Camere Statunitensi, potrebbe determinare una compressione degli interessi NATO, spostando l’asse politico-economico globale verso l’Asia, a guida Russa. Ciò spiegherebbe anche il silente ma progressivo accerchiamento subito da Cina e Russia ai propri confini mediante installazioni militari NATO (e che “giustificherebbe” anche il recente conflitto in Georgia). Paure analoghe a quelle del passato (poi rivelatesi infondate), come quando nel 1960 l’URSS scoprì il petrolio sugli Urali e sul Volga. Ma lo scenario è mutato. Si tratta di un puzzle di cui anche lo “scudo spaziale” promosso dalla vecchia amministrazione Bush (Jr.) presso alcune ex repubbliche sovietiche sembrerebbe aver fatto parte e che quindi sancisce l’evidente interesse USA a mantenere inalterati i rapporti di forza politico-economici che nella NATO trovano pratica sintesi ed attuazione. Ma i problemi immediati rimangono quelli di transito, dalla fonte all’utente finale.

Pertanto: Per ridurre i problemi di intermediazione tra produttore e consumatore (come il caso Ucraino del 2006), il gasdotto “Nord Stream” che passerà per il Mar Baltico, rientra fin dal 2000 nel programma, considerato prioritario, dell’UE sulla necessità di approvvigionamento delle reti interne attraverso il reticolato trans-europeo e sarà attivamente sostenuto da Gazprom, che si impegna ad immettere con il suo 51% di partecipazione azionaria oltre 55 miliardi di metri cubi di gas a partire dal 2012.
Il gasdotto “South Stream” – in accordo con l’italiana ENI – completa la tenaglia orientale del monopolista Russo (in ragione della preponderanza di scorte immesse rispetto ai soci minoritari ed al prezzo) includendo la Grecia ma anche la Bulgaria nella diramazione che consentirà, sia nel nord Europa, che nel sud-est Europa, il raggiungimento degli obiettivi commerciali ma anche politici: in quanto verrà affievolita la totale dipendenza dal flusso attualmente oggetto di “guerre” commerciali tra diversi paesi dell’est europeo (Ucraina, Bielorussia, Paesi Baltici, ecc) per calmierare la costante inosservanza dei contratti nella contesa sui prezzi e sul volume di traffico intercorrente tra il produttore (Russia) ed i gestori della rete (gli Stati che materialmente ne ospitano il transito). Non ultima la battaglia tra Minsk e Gazprom per il rispetto dei patti nel merito finanziario ma con la contemporanea inosservanza di questi per quanto riguarda il controllo dei flussi di erogazione (Fonte: Il Corriere della Sera, 24-06-10) e la reciproca richiesta di revisione contrattuale avanzata dai contendenti (Fonte: Reuters Business, 25-06-10).
Reticolati che talvolta in Asia si fondono con alcuni traccianti per gli oleodotti.
Terza, ma non meno importante via attivata dall’UE per evitare l’eccessiva dipendenza dai problemi di intermediazione – ma anche dalla tenaglia russa – è proprio il “Nabucco”, infine il “GALSI” (che tuttavia evade solo un problema, ma non quello dell’ingombrante e non eludibile presenza russa). Il “Nabucco”, di gran lunga più importante per estensione, diramazione e volume di traffico rispetto alla conduttura Sarda, convoglierà le scorte del Caucaso (nei cui Paesi si sono già registrate tensioni bellico-politiche di varia entità) e del Mar Caspio (con capacità di immissione nella rete del prodotto mediorientale). Turchia, Bulgaria, Romania, Ungheria, Austria e Germania i soci principali, non esclusa una successiva partecipazione della Francia, per il trasporto di circa 31 miliardi di metri cubi di gas.
Completa lo scacchiere nel Mediterraneo occidentale la Sardegna, divenendo transit zone della politica energetica UE proprio con il GALSI, che viene sostenuto dal progetto compartecipato dalla SFIRS (il nostro intermediario finanziario regionale) e co-finanziato dal programma UE EEPR. Le specifiche tecniche di questa rete saranno commisurabili a quelle di traccianti analoghi pre-esistenti, come il Libico “Greenstream” verso l’Italia o il “Transmed” (sezione Algeria-Tunisia).
Non escludiamo che anche la Bulgaria e la Grecia, divenendo anch’esse transit zones di diversi fornitori, possano sviluppare futuri analoghi comportamenti a quelli già tenuti da alcuni Paesi dell’est Europa (indirettamente) contro Mosca per il controllo dei flussi. Ma a quel punto, nonostante i vantaggi per tali singoli Paesi, l’Europa riceverà comunque il suo corretto apporto di gas naturale. E da qualsivoglia tracciante provenga, in caso di problematiche relative ad una delle reti di transito, come quelle attuali.
A tale proposito è curioso che il Comitato Sardo di opposizione al GALSI abbia presentato una petizione alle istituzioni comunitarie in cui si chiede come mai questi non sia stato stoppato a seguito della notizia che lo stesso GALSI sarebbe in parte rifornito da Gazprom.
Non si è evidentemente capito il quadro internazionale della politica energetica ed il riconoscimento del ruolo di Gazprom: non in qualità di avversario, ma come unico fornitore internazionale in grado di garantire l’erogazione necessaria di gas naturale al sistema civile ed industriale UE. Il problema nasce appunto dall’eventuale uso politico che il monopolista potrebbe fare di questo potere a favore di Mosca, ma soprattutto dai problemi di intermediazione già visti attraverso le “crisi del gas”. Da ricordare anche quella intercorsa tra Mosca, l’Ungheria e la Bosnia (Fonte: Il Sole 24 Ore, 07-01-08). Avere più reti equivarrebbe comunque a limitare i rischi. L’unico stop al GALSI potrebbe essere giustificato con la minor preponderanza di volume erogato rispetto alle installazioni dei big stranieri e la relativa politica commerciale di un partner come Edison, il quale deve bilanciare il suo investimento in base a necessità contrattuali con terzi operatori che ne giustifichino l’espletamento.

Ma veniamo infine alla politica Sarda, che dovrebbe gestire la questione del gasdotto alla luce del più ampio contesto economico globale, e non solo del “cortile clientelare” a cui l’Italia ha abituato la nostra discutibile classe dirigente.
Noi oggi in Sardegna abbiamo politici centralisti che riconoscono quanto l’Autonomia speciale del 1948 sia superata ma si definiscono “autonomisti”, ed affermano di voler andare “oltre l’Autonomia”. Che cosa significhi in termini pratici non si è capito, anche perché non c’è alcuna indipendenza alle porte e quindi probabilmente intendono dirci che serve una nuova Autonomia che abbia maggior livello di sovranità (se per sovranità non intendiamo la decisione politico-giurisprudenziale data dalla Corte Costituzionale all’atto della bocciatura della legge di istituzione della Consulta Sarda per la riscrittura dello Statuto) laddove invece la giurisprudenza accademica (e persino una vecchia pronuncia della stessa Corte Costituzionale) riconoscono che la sovranità è esercitata dal Popolo, il quale la pratica attraverso lo Stato (composto anche da Regioni, Province e Comuni). Ed ovviamente ogni istituzione dello Stato esercita un proprio livello di sovranità, più o meno modificabile (qualora ciò non fosse inibito da una eccessiva rigidità costituzionale).
Alcuni di questi politici, che di sovranità spesso ne utilizzano meno di quella esistente, hanno intuito l’utilità del GALSI, ma prevalentemente per applicazioni di natura civile (erogazione verso le abitazioni), e dall’incerta programmazione.
Abbiamo poi politici indipendentisti. Una buona percentuale di essi confonde questa infrastruttura strategica – quasi fosse una servitù – come un ipotetico deposito di scorie nucleari e/o una eccessiva presenza di basi militari nell’isola (materie giustamente deprecabili).
Tali indipendentisti (che dopo aver, per anni, corroborato il “feticcio” dell’anti-autonomismo da attaccare a priori) non hanno alcun progetto a lunga scadenza, talvolta con ricadute nel breve-medio termine. Riconoscono l’utilità di un percorso graduale per l’autodeterminazione ma si guardano bene dal chiamarlo “autonomismo”, perché in Sardegna si è sempre “scordato” di chiamare quella – presunta – del 1948 con la sua vera natura: centralista.
In sintesi, tra politici così confusi e demagoghi, veramente pochi hanno capito che il GALSI potrebbe in parte contribuire a sopperire alla storica assenza di peso della Sardegna nei centri di potere. Non solo a Roma ma in Europa (quando e se soprattutto ci saranno veri autonomisti/indipendentisti in grado di riformare la Carta Regionale con maggior sovranità per ottenere miglior rappresentatività), allorquando vi sarà attiva partecipazione in qualità di partner europei, come transit zone. Noi non siamo produttori convenzionali, né siamo insiti in contesti geopolitici di confine, tantomeno bellicosi.
Nel quadro generale della difficile politica energetica UE – la quale, riassumiamo, 1: Tende a sviluppare nuove reti di approvvigionamento in vista della diminuzione dell’import petrolifero e della minore produzione interna di gas naturale; 2: Tende a diversificare le fonti di importazione rispetto al monopolista Russo ma sopratutto diversifica le reti per limitare i problemi di intermediazione, a prescindere dal monopolista stesso; 3: E’ consapevole della lunghezza di tempo che ci separa dal sviluppare energie rinnovabili integralmente autosufficienti rispetto alle carbonfossili; 4: E’ consapevole (aggiungiamo ancora) del minor impatto inquinante del gas naturale rispetto al petrolio; 5: E’ consapevole che senza la certa introduzione di tale fonte energetica, vi sarà un’automatica ricaduta nel PIL di svariati Paesi UE e quindi anche della futura stabilità della zona Euro. – il nostro obiettivo deve essere quello di dimostrare Europeismo nei fatti e non solo a parole. Dobbiamo pretendere sì l’avvento del gasdotto ma anche l’utilizzo civile ed industriale del gas; monitorarne il tracciato (non meno pericoloso di tutte le reti energetiche mondiali sparse nei 5 continenti); sviluppare altresì personale qualificato che possa così trovarvi occupazione per interventi manutentivi e di gestione nelle reti cittadine; e dobbiamo, come già menzionato (in vista di una prossima revisione istituzionale della Sardegna), svilupparne il potenziale politico in sede Europea come moneta di scambio per altre contropartite di natura politica e commerciale: come il riconoscimento della Nazione Sarda (che comunque conquisteremo politicamente anche con modalità più semplici), nonché per l’export di prodotti Sardi (al di là degli Accordi Schengen), e tutela degli stessi sul piano dei marchi e delle quote (a seconda della fascia di produzione interessata da eventuali accordi bilaterali con singoli Paesi).
Ma questi sono ipotetici scenari futuri e non sempre tutti percorribili.

Eppure, se la messa in opera avrà esito positivo, consideriamo altresì il basso costo del gas centralizzato (su reti che ovviamente dovranno essere sviluppate a posteriori rispetto all’export) in raffronto a quello su bombola. Su bombola gravano i costi di trasporto, ma anche di revisione e smaltimento industriale oltre la fisiologica scadenza del contenitore, a seguito di più utilizzi. Pensiamo a cosa avrebbe comportato per l’ambiente se, per assurdo, nel mondo (a partire dalla penisola italiana) non ci fossero state le reti cittadine per il gas: avremmo miliardi di tonnellate di bombole in circolazione dalle evidenti ricadute ambientali.
Invitiamo dunque i movimenti Sardi alla ragionevolezza del rapporto costi-benefici ed alla responsabilità, senza scordare quanto sia altrettanto ovvio (a differenza di ciò che sostiene il Comitato Sardo per il nò al gasdotto, in quanto si riferisce al contesto energetico corrente) che l’attuale e soddisfacente mercato energetico Sardo nei prossimi 30-40 anni non sarà evidentemente più lo stesso (anche a causa delle prossime variazioni petrolifere menzionate) e subirà radicali trasformazioni a cui dobbiamo rispondere con un capace ombrello protettivo proprio per questo lasso di tempo. Sostenere che fra 50 anni “non ci sarà più metano”, vera o presunta affermazione che sia, non cambia il merito di una situazione per la quale l’Europa nel medio termine non può certo precipitare economicamente per l’assenza di un capace piano energetico trans-europeo. A chi vi dirà che la Sardegna “non deve dipendere dall’estero”, ricordate loro che l’energia che alimenta abitualmente le nostre case è il prodotto della trasformazione del petrolio che importiamo. E d’altra parte, ben pochi Paesi al mondo sono indipendenti energicamente. L’impatto ambientale è relazionabile a quello di qualsivoglia rete internazionale ed italiana e sarebbe opportuno rivederne alcuni punti del tracciato (come già richiesto dal movimento Rossomori). Purché per aggirare tali ostacoli non si usi il “metodo Snam”: trasgredire a qualsiasi norma, lavorare agli scavi possibilmente di notte, e mettere la collettività di fronte al fatto compiuto. Risarcendo ed a limite facendo condonare a posteriori l’abuso. Lo stesso Enrico Mattei, uomo simbolo dell’ENI e della Prima Repubblica, si vantò di aver fatto carta straccia di 8000 ordinanze in tutta Italia (Fonte: “Mattei – Cassaforte Snam”, di Carlo Maria Lomartire – Mondadori, 2004).
I problemi inerenti invece al rischio di terrorismo connessi alla eventuale presenza del gasdotto sono anch’essi i medesimi di quelli presenti in tutto il globo, uno spaccato di questi è stato esaurientemente esposto in un rapporto dall’Agenzia Svedese di Ricerca della Difesa (FOI), commissionato dal Governo di Stoccolma, con riferimento al progetto del “Nord Stream” (PDF in lingua inglese).

Volenti o nolenti, siamo in una posizione geografica di rilievo, possiamo scegliere se subire passivamente oppure se vogliamo far parte della partita e costruire politicamente quegli elementi che oggi non vanno nella direzione dei nostri interessi.
Dobbiamo inoltre assicurarci che i proprietari dei terreni attraversati abbiano il giusto compenso per il passaggio del tracciante, ma non è neppure pensabile che (ad esempio) piccole colture possano fermare una simile infrastruttura.
Siamo contrari al nucleare, ma non al gas naturale.
Se pertanto il GALSI sarà una installazione strategica per la Sardegna e l’Europa oppure solo l’ennesima servitù a danno del nostro territorio e della cittadinanza per terzi interessi che non ci offrono nulla in cambio, questo dipenderà dalla nostra classe dirigente e dal ruolo politico con cui guardaremo e ci approcceremo (sia nel breve, che nel medio-lungo termine) a tale opera. Ricordiamoci inoltre che una flessione dell’economia UE in futuro causerebbe danni diretti anche alla nostra economia. Contribuire alla politica energetica UE significherebbe contribuire al nostro stesso progresso per attirare e formare nuovi capitali di investimento.
Possiamo scegliere: piangerci addosso e lamentarci in silenzio, senza reagire democraticamente, oppure agire democraticamente per dare la giusta rotta (anche ad opera finita) ad una piccola ma formidabile moneta di scambio (politica e commerciale) che il Popolo Sardo potrebbe ritrovarsi tra le mani. Ma sta a noi capirne il valore per capitalizzarla.

Grazie per l’attenzione.

Di Corda Marco e Bomboi Adriano.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Nazionalisti Sardi

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    3 Commenti

    • La cosa migliore sarebbe stata gassificare il carbone Sulcis. Eravamo vicinissimi poi è stato sabotato a favore del gassificatore della SARAS che invece di carbone gassifica le peci velenosissime residuo della raffinazione. Naturalmente meglio gassificarle che buttarle da qualche parte.
      Secondariamente sarebbe stato meglio portare il gas che ci serve con un tubo da Piombino allacciati alla rete italiana.
      Come terza soluzione si sarebbe potuto fare un impianto di rigassificazione del metano liquido portato con navi metaniere da giacimenti lontani.
      Tutte queste soluzioni possibili e realistiche con l’obiettivo di risolvere problemi energetici dell’Isola e le sue esigenze non alte di quantità di metano in rapporto alla popolazione avrebbero potuto godere di una rete di distribuzione in Sardegna con tubi piccoli e basso impatto ambientale.
      La soluzione Galsi dall’Algeria dovrebbe portare gas in Sardegna e quindi da questo punto di vista è comunque utile.
      Però l’iniziativa non nasce per risolvere le necessità energetiche sarde ma per usare l’isola come piattaforma di transito per convogliare enormi quantità di gas per l’Europa tramite l’Italia.
      La dorsale che collegherebbe il Sulcis con Olbia non servirebbe per alimentare la rete sarda ma per ospitare a valle e a monte e forse in passaggi intermedi delle grandi e invasive stazioni di pompaggio che servono per spingere il gas nel tubo e farlo arrivare senza cadute di pressione in Italia.
      Il tubo sarà molto grosso, molto di più di quanto servirebbe solo per la Sardegna, dovrebbe superare grandi dislivelli e quindi necessiterebbe di molta energia per spingere il gas, si dovrebbero scavare grosse trincee per alloggiare il tubo con ai lati molte decine di metri di terreno di salvaguardia.
      La Sardegna riceverebbe gas solo dall’Algeria e non da tutte le diverse fonti d’approvvigionamento come se ricevesse il gas da Piombino.
      Il rischio di una chiusura del gas dall’Algeria o per cause economiche o politiche o conflitti è enorme.
      Il gasdotto non è andata e ritorno. Se non passa gas dall’Algeria non si può invertire il flusso e riceverlo dall’Italia. Nelle altre regioni italiane se manca il gas russo c’è quello libico e se non c’è quello libico c’è l’olandese ecc.
      Si tratta quindi di una iniziativa che nasce da esigenze esterne, eterodiretta e quindi monocolturale e coloniale.
      Verrà realizzata una grande servitù energetica della quale non abbiamo ancora un’idea precisa nella sua negatività e persistenza.
      Esattamente come l’eolico.
      Del resto tutte le reti del gas che adesso funzionano nell’isola utilizzano il GPL o aria propanata sottoprodotto della raffinazione della SARAS di Sarrok.
      Stanno comunque trascorrendo gli anni e del GALSI non si vede ancora l’inizio.
      Forse saremo salvati dallo sventramento verticale della Sardegna dalla realtà economica internazionale.
      Oggi per le esigenze energetiche sarde ben presenti nel piano energetico regionale e sempre minori per la finalmente avvenuta morte delle industrie chimiche e metallurgiche energivore, basterebbe operare sulla fiscalità eliminando le accise, l’iva e le altre tasse sugli idrocarburi come nelle Canarie.
      Ma siamo colonizzati sin nell’anima e preda dell’ultimo venditore di perline.
      Penssiamo che nell’ipotesi, invece di farci pagare i diritti di passaggio come hanno fatto in Sicila, in quote gratuite di gas e denari, la SFIRS ha buttato grossi capitali di minoranza nella società che progetta il GALSI e che quindi non determineranno nessuna capacità di controllo né di profitto..
      Milioni buttati e regalati..
      Da notare che l’ultima gara annullata della Regione è stata quella per l’acquisto di una decina di locomotori diesel per la rete ferroviaria rinunciando all’elettrificazione.
      Elettrificazione che avrebbe trovato un incentivo nell’alimentazione a gas delle centrali elettriche ora a carbone o olio pesante.
      Tutto il trasporto è su gomma alimentato ad idrocarburi.
      Intanto bisognerebbe ammortizzare uil maggior costo che abbiamo da oltre mezzo secolo per la mancanza di gas..basterebbe eliminare o ridurre le accise e l’Iva..
      Intanto l’energia costa più che nel continente e siamo trattati come indiani di riserva..e siamo nel 2010…

    • Concordo su molti punti, si è entrati in un progetto di cui non si conosceva l’utilità e l’entità, o almeno la nostra classe dirigente non era culturalmente idonea ad affrontare il tema. Se pensiamo comunque di avere “autonomisti” che scordano il valore della zona franca e di richiedere quanto dovuto dallo Stato nonostante ci attacchino nell’argomento costi/entrate, non c’è da stupirsi.
      Il valore politico del GALSI però sta proprio nelle sue dimensioni. Da Piombino sarebbe stato pressoché incompatibile con la politica energetica UE del medio termine, in quanto lo scopo di far giungere il gas Algerino è proprio quello di evitare i problemi di intermediazione esistenti dalle condutture attuali della terraferma. Non esistono rischi di conflitto negli stati del nord’Africa, che sono anche grandi partner commerciali d’Italia e d’Europa. Inoltre abbiamo una condizione di insularità rispetto al continente che riduce le nostre capacità di manovra sul piano delle reti. E’ chiaro che si tratta di una struttura pensata per l’export. C’è da domandarsi quindi se la politica si farà carico della sfida di garantire un secondo utilizzo del gasdotto, oppure rinuncerà a quest’opera ignorandone il valore e rendendola appunto una mera servitù priva di efficace tornaconto. Anche altri gasdotti nel mondo comunque sono in fase di ritardo nella realizzazione. Un saluto.

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