Flop referendum: oppositori e indipendentisti accrescono la forza di Renzi

Di Adriano Bomboi.

Come volevasi dimostrare, il quorum sul referendum per la proroga delle concessioni estrattive a piattaforme di gas e petrolio non è stato raggiunto, arenatosi attorno al 30%, sotto di ben 21 punti percentuali rispetto alla soglia legale. Il governo Renzi ha consolidato la sua forza e con esso le sue propaggini territoriali, tra cui quella della giunta Pigliaru.
Renzi vince grazie all’inconsistenza dei suoi oppositori, cioè dilettanti il cui errore fondamentale è stato quello di caricare di sensi politici un quesito referendario che non ne aveva. D’altronde anche la terracotta in sé non ha un valore religioso prima che venga trasformata nell’icona di un santo. In altri termini, chi avrebbe potuto consigliare libertà d’opinione o semplicemente tacere, ha invece alimentato il prestigio del successo renziano. Ovviamente questo spazio non si è piegato a fare da spalla al governo, perché la difesa dell’ambiente e di un equilibrato sistema energetico passerà unicamente per la riforma dello Statuto Autonomo regionale: un tema oggi abbandonato da tutti i partiti esistenti nell’isola. E questo, a differenza di percorsi già intrapresi da scozzesi e catalani, ci offre la cifra dello scarso spessore politico, strategico e culturale dei sardi.

A molti stupirà sapere che nelle scienze politiche alcuni studiosi spiegano tali fenomeni tramite l’etologia: l’esempio è quello del bufalo, dove un branco di questa specie si separa dalla mandria principale e ritenendo di essere sulla strada giusta si trova a finire nel baratro. Internet è stata indubbiamente la prateria su cui si è consumato questo bagno di sangue, dove i singoli si sono emotivamente conformati a quello che percepivano essere il trend generale, ma che non corrispondeva alla realtà. Ennesima prova che i nostri movimenti politici, in particolare quelli indipendentisti, non godono di alcun radicato consenso sociale presso il popolo che pretendono di rappresentare. Perché la loro sconfitta al referendum non è il prodotto della sola disinformazione della pubblica opinione sul tema, ma pure della scarsa credibilità di svariate argomentazioni sostenute dal fronte dei contrari alle “trivelle”, ragion per cui migliaia di persone hanno consapevolmente votato no e, soprattutto, si sono astenute.
Tra le argomentazioni dei “si”, pensate, vi erano persino coloro i quali si opponevano alle energie rinnovabili, in quanto deturpanti, ed allo stesso tempo contrari al gas (tema principale del quesito) ed al petrolio (tema minoritario del quesito ma esposto come “principale”). Cioè contrari a tutto, benché l’ipocrisia non li portasse a disdegnare l’uso dell’energia di cui quotidianamente si avvalgono. Anche in Sardegna messaggi simili hanno indotto migliaia di elettori a considerare i promotori poco affidabili, lasciandoci due filoni di riflessioni da sviluppare:

- il primo è che tutti i movimenti indipendentisti si sono schierati contro le energie tradizionali, dimostrando ancora una volta l’assenza di pluralismo di questo ambiente politico, diviso solo da bandierine diverse. Ciò denota l’assenza di dirigenti dotati di una visione politica e di una responsabile cultura di governo. Sebbene molti simpatizzanti abbiano scelto di non seguire il pressapochismo dei propri leader (amici, abbiate il coraggio di esporvi, non solo di scrivermi in privato).
- il secondo riguarda la demagogia di quattro sigle sardiste: Partito dei Sardi, Unidos, PSD’AZ e Riformatori Sardi. I primi due hanno invitato a votare a favore delle energie rinnovabili mentre allo stesso tempo si sono battuti per la salvaguardia di poli produttivi, come ad Ottana o nel Sulcis, caratterizzati dall’uso di energie tradizionali (e questo dimostra che non credevano all’utilità del referendum). Il PSD’AZ ha invece celebrato i suoi 95 anni con l’insipienza che da tempo lo contraddistingue: ben lontano dalla statura politica dell’SNP (suo collega nell’European Free Alliance, che tutela energie tradizionali e sviluppo delle rinnovabili), si è piegato al conformismo di quel grillismo culturale che in Italia, come in tutti i populismi dell’Europa meridionale, non è parte della soluzione ma del problema. I Riformatori, infine, si sono semplicemente accodati in ordine sparso alla retorica di un centrodestra italiano morente, la cui disperazione lo porta a sposare tematiche anticapitaliste che mostrano ormai la vocazione minoritaria a cui sta andando incontro. I professionisti della politica paiono quindi in netto disagio nel comprendere il termometro popolare, affidandosi troppo agli umori della rete. Distintasi solo Fortza Paris con il suo semplice invito al voto.

Che fare? Siamo tutti a favore delle energie rinnovabili ma bisogna riconoscere la transitoria utilità delle energie tradizionali. Mi rivolgo in particolar modo alle forze sardiste: abbiamo bisogno di rilanciare il tema delle grandi riforme, unitariamente ad un piano industriale. Assente da quando i 4 Mori avevano dirigenti di ben altra levatura politica, che pur sbagliando coltivavano idee e progetti. Oggi occorre cambiare linea e ritornare ad una matrice riformista accantonata a favore dei velleitarismi mediatici, i cui risultati elettorali, come abbiamo visto, sono assai modesti.

Ciò detto, nessuno nega l’esistenza di una lobby conservatrice del settore petrolchimico, ma il fatto che esistano persino nel settore della pasta non implica che si debba smettere di mangiarla. Del resto si sono rivelati improponibili pure i paragoni con altre realtà internazionali, una strada su cui sarà bene non ritornare: tra questi i raffronti con Stati dotati di centrali nucleari; un altro invece inerente il basso peso delle royalties italiane, ignorando l’esistenza di Irap ed Ires (più accise finali), tra le più alte di area OCSE, manco fossimo in Lussemburgo. O ignorando anche che in altri Paesi, come la Norvegia, le royalties sono state cancellate sin dal 1986. Volete altro? Mentre le isole Baleari si fanno servire da un gasdotto per un turismo di oltre 30 milioni di passeggeri annui, in Sardegna c’è chi ha elogiato l’iniziativa olandese per la messa al bando, nei prossimi anni, dei veicoli a combustibile classico. Sfortunatamente il Washington Post ha pubblicato uno studio mostrando come un mercato formato interamente da auto elettriche farebbe impennare la costruzione di centrali tradizionali ad energia carbonfossile pur di permettere a tali mezzi di avere adeguate ricariche per poter circolare (salvo nuove scoperte tecnologiche). I più avveduti avranno compreso che l’agenda di Parigi contro i cambiamenti climatici è stata un semplice teatrino politico.

Ma arriviamo al cuore del problema referendario: perché è stato lecito astenersi?
Perché un quesito teso ad abrogare una norma che ha posto sullo stesso piano gas e petrolio (due materie dotate di tecnologie, mercati, politiche ed impatto ambientale diverse tra loro) non poteva essere collocato in un “si” od un “no”. Lo Stato ha speso milioni di euro per avvallare un pasticcio referendario che l’ingenuità dei proponenti aveva già compromesso a monte.

Se i movimenti sardi vorranno fare qualcosa di utile dovranno studiare il referendum dei prossimi mesi al quale probabilmente sarà necessario partecipare, e cioè quello relativo alle riforme costituzionali varate dal governo. Benché le Regioni a Statuto Autonomo abbiano ottenuto una clausola di salvaguardia, dovremo sicuramente valutare – non la difesa di un’obsoleta Costituzione, di cui come indipendentisti non ci importa nulla – ma se la nuova centralizzazione del Titolo V° avrà ripercussioni nel nostro esiguo livello di autonomia. E purtroppo ci sono già indipendentisti contrari alla partecipazione ad un referendum del quale invece bisognerebbe discutere.

A tutti i comuni militanti indipendentisti porgo l’invito di non insultare i sardi per il democratico esito delle urne, perché l’infantilismo non servirà a migliorare la vostra situazione.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE

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    2 Commenti

    • No. C’è poco da girare attorno alla questione: il fatto che il referendum non sia passato è una schifezza, e basta. Abbiamo permesso al governo di regalare risorse e soldi a privati che non pagheranno una lira di tasse (non dovendo aumentare la velocità di estrazione, e quindi rimanendo nella quantità stabilita annuale) e produrranno rifiuti che poi dovremo smaltire a nostre spese. Quale sarebbe il vantaggio per noi? Perché questa è l’unica domanda da farsi. Il resto è irrilevante. Una produzione di energia la cui mancanza sarebbe stata in gran parte già assorbita dal calo dei consumi? Non credo. È andata male. Decisamente male.

    • [...] anch’esso democratico, per fare tutto: far finire il “branco” (di cui ho parlato in un articolo precedente) verso il [...]

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