Indipendentisti: I motivi (veri) per cui Sardegna Possibile perse le Regionali

Di Adriano Bomboi.

Le elezioni regionali del 2014 videro la sconfitta di una delle più promettenti proposte politiche dell’anno. Fu il progetto di “Sardegna Possibile”, guidato dalla scrittrice Michela Murgia.

Ma quali furono i motivi essenziali su cui gli indipendentisti dovrebbero riflettere?

Aspetti elettorali:

Errata valutazione della (iniqua) legge elettorale. In assenza di un voto realmente strutturato si rivelò non necessario presentarsi con un cartello di tre sigle: ProgReS, Gentes, Comunidades.

Errata valutazione del consenso. Con ogni probabilità, Sardegna Possibile non disponeva di adeguate informazioni demoscopiche, il ché spinse il nucleo dirigente ad un eccesso di ottimismo circa la conduzione della propria campagna elettorale e sui risultati ottenibili.

Aspetti politici:

Insufficiente valutazione del bacino elettorale. Il nucleo dirigente di Sardegna Possibile si orientò prevalentemente nel captare un voto in uscita dal centrosinistra italiano. Ciò venne determinato da una serie di fattori, fra cui la presenza di due sigle che ne contenevano degli elementi (Gentes e Comunidades) e di una sola sigla politica munita di scarso radicamento sociale (ProgReS).

Mancata apertura a tematiche dal forte consenso popolare. L’argomento predominante di tutto il 2013, sostenuto anche dal centrodestra italiano sino alla vigilia dell’anno successivo, fu rappresentato dall’istituto delle zone franche. Sardegna Possibile non fu in grado di valorizzare, aggiornare e cavalcare un moto sociale successivamente dispersosi, anch’esso, per l’inadeguatezza dei proponenti che avevano populisticamente rilanciato un classico del sardismo (e in realtà del liberalismo).

Tardivo e parziale coinvolgimento del restante panorama indipendentista. Sebbene si tratti di numeri minoritari, il fenomeno è stato alimentato dai perduranti personalismi sorti in seno alla galassia indipendentista. La folklorizzazione di alcuni esponenti non avrebbe comunque intaccato l’immagine generale di una eventuale sigla unitaria in luogo delle tre presentate. Al contrario, ciò avrebbe rafforzato maggiormente il messaggio di unità e collaborazione tra le sigle nazionaliste sarde da offrire alla pubblica opinione.

Aspetti programmatici:

Ambiguità programmatica su tematiche fondamentali. Nonostante Sardegna Possibile abbia sviluppato un processo partecipativo di coinvolgimento collettivo per la redazione del programma e lo studio delle soluzioni, il tutto si è tramutato in una montagna di carta priva di chiarezza su pochi punti essenziali: fiscalità/lavoro, trasporti, reti idriche, ecc.
Ad oggi non si sono ancora comprese le soluzioni proposte da Sardegna Possibile in rapporto al mercato della navigazione e del comparto aereo (con riferimento a low cost e continuità territoriale).

Sardegna Possibile sosteneva la tenuta di Abbanoa ed una semplice quanto indefinita riforma dei suoi apparati organizzativi. Nessuna proposta di smantellamento e riassegnazione del servizio alle comunità locali (sia esso pubblico o privato) per cui ancora oggi numerosi Comuni si stanno battendo.

Scarso rilievo al tema della fiscalità (vedere anche zone franche), e blanda ripetizione della proposta di una agenzia sarda delle entrate. Tutto inutile alle esigenze delle partite IVA e del lavoro dipendente ed autonomo.

Scarso rilievo alle tematiche della trasparenza e dell’efficienza nella pubblica amministrazione (politica di vertice, enti, partecipate ed apparati burocratici). Temi spesso derubricati in una sola riga.

Eccessivo interventismo economico. Non c’è pagina del programma di Sardegna Possibile in cui non si sia attribuita alla Regione il ruolo di pianificare questo o quel coordinamento di mercato sui più disparati settori. E ciò tradiva l’inadeguatezza culturale e l’assenza di pluralismo ideologico del progetto, nel quale i privati sono stati declassati a semplici personaggi “da accudire e guidare” in favore dello sviluppo. Il problema è stato doppiamente grave in rapporto ad un’isola in cui la “ricchezza” prodotta deriva ormai al 65/70% da spesa pubblica. Il ché avrebbe dovuto suggerire ai nostri indipendentisti che in Sardegna non esiste tanto un problema di mercato o di operatori ma proprio un eccesso di settore pubblico, sia in termini burocratici che di assistenzialismo politico (ricetta su cui invece si proponeva un accanimento terapeutico).
I passaggi programmatici in cui si sosteneva la PAC agricola UE, spesata dai contribuenti (che in realtà è la fonte predominante del dumping d’importazione nell’isola e non un effetto del “neoliberismo”) rappresentava il maggior limite di analisi espresso da Sardegna Possibile.

Assenza di analisi della rete energetica sarda. A fronte dei limiti di mercato in cui gioca un ruolo persino il regime delle essenzialità conferito a poli come quello ottanese, il programma di Sardegna Possibile si limitava ad un generico elenco dei dati sulla produzione e sul riordino del settore. A ciò si aggiungeva l’idea di un’ambigua agenzia sarda dell’energia che, in assenza della succitata analisi, si sarebbe trasformata in un inutile carrozzone spesato dai cittadini.

Assenza di un progetto di riforma dell’Autonomia sarda (con annesso recupero dei diritti linguistici, storici e culturali negati).

Dialettica politica e campagna elettorale:

Scarsa opposizione. Era dai tempi della Democrazia Cristiana che non si assisteva ad una campagna elettorale così soporifera. Sentire Michela Murgia definire “amico” Francesco Pigliaru, esponente del centrosinistra, in un periodo in cui fioccavano avvisi di garanzia per peculato a tutto l’arco politico, fu un vero e proprio delitto.
Opportuno considerare che una dialettica politica moderata non implicava il tacere o l’essere eccessivamente morbidi con gli avversari politici sull’enormità degli argomenti che gli indipendentisti avrebbero potuto mettere in campo. L’impressione fu quella di essersi seduti su una Lamborghini per poi accodarsi dietro la Panda del centrosinistra.

Scarsa propositività comunicativa. I numerosi ceti produttivi dell’isola non hanno avuto chiare risposte sullo stato delle loro esigenze, e ciò ha inevitabilmente consegnato la maggioranza relativa dei voti alla compagine conservatrice del momento: il centrosinistra di Francesco Pigliaru, che pure in condizioni di forte astensione è stata premiata dal classico “voto di posizione”. Per certi versi Michela Murgia pareva essersi ritagliata il ruolo di una seconda opposizione di sinistra italiana, priva di radicamento elettorale, all’allora governatore uscente.

Aspetti politici post-elettorali:

Mancata costanza politica. Cosa determina l’esistenza di un ambiente politico nel quadro di una convivenza organizzata? La costanza. Gettare la spugna non appena perse le elezioni è stato il primo errore politico a fronte di un risultato che in ogni caso, nonostante tutti i limiti elencati, era stato conquistato: quasi 76.000 elettori.

Dissoluzione del fronte civico. Alla notizia delle sconfitta elettorale, buona parte delle componenti “civiche” di Sardegna Possibile rigettarono il progetto. Ciò fu dovuto all’estraneità politica di Gentes e Comunidades rispetto alla sigla di riferimento (ProgReS), che ne animava i contenuti. Molto semplicemente, chi proveniva dal centrosinistra e non aveva ottenuto i risultati sperati si allontanò con varie scuse da un progetto che non considerava più valido per ottenere uno stipendio pubblico. E questo non è necessariamente un problema (ma di questo magari vi parlerò nei prossimi tempi).

Mancata battaglia giuridica. Nelle settimane e nei mesi immediatamente successivi alle elezioni il nucleo dirigente di Sardegna Possibile, ormai minato, non ha attivamente sostenuto alcuna battaglia (né politica e né di giustizia amministrativa) per la riforma della legge elettorale che diede un grosso contributo alla sua sconfitta. Ciò ha prodotto ulteriori sentimenti di disaffezione, scoordinamento e negative considerazioni sull’effettiva possibilità di raggiungere dei risultati. Un problema che si è riverberato su tutto l’indipendentismo e ha indotto anche diversi nomi di punta a cercare conforto nella vita privata, accantonando quella politica, salvo occasionali comunicati politici di circostanza (e privi di sostanza). Oppure, come ha ricordato pure Alessandro Mongili, in sporadici sostegni politici amministrativi in chiave sardista.

Ad oggi il think tank Sa Natzione, animato dal gruppo U.R.N. Sardinnya, rimane l’unico spazio indipendentista costantemente aggiornato ed il primo portale di tutto l’indipendentismo sardo in termini di visite e di attrattività per tutte le componenti riformiste di varie sigle rimaste prive di punti di riferimento.

Ma Sardegna Possibile ha ancora un futuro? Probabilmente solo se saprà offrire una concreta innovazione rispetto ai numerosi problemi incontrati in questa lettura.
Si può quindi affermare che gli indipendentisti non si limitano a pagare un alto prezzo a causa dei propri protagonismi ma anche a causa di una bassa competenza politica (e culturale) che ne frena la crescita.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE

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