Renzi riforma il Titolo V? Si accrescono i danni del centralismo

Lo scorso 12 marzo il Governo di Matteo Renzi ha presentato una bozza di revisione costituzionale, ed in particolar modo del Titolo V°. Il testo, di 41 pagine, non ci permette in questa sede di offrirne una analisi a tutto tondo, ma possiamo evidenziarne i limiti maggiori che iniziano a contraddistinguere la proposta. E non si tratta solamente della riforma del bicameralismo (con l’istituzione di un Senato delle Autonomie al Titolo I°), ma dei poteri che dovrebbero esercitare gli enti territoriali, che vedono ridursi la propria sfera di competenza a favore dello Stato centrale. In buona sostanza, il Senato delle Autonomie rischia di diventare uno specchio per le allodole di fronte all’ennesimo attacco alle Regioni. Ma ancor più superficiale è il clima culturale sorto attorno a questa proposta, che da un lato accetta passivamente le decisioni romane, mentre dall’altro le giustifica con una approssimazione al limite del ridicolo. E’ il caso del Corriere della Sera, che ha titolato l’iniziativa di Renzi come “piano del Governo per fermare le spese folli delle Regioni”. Solo dei sempliciotti infatti potrebbero pensare di eliminare il fenomeno della corruzione riducendo i poteri degli enti periferici dello Stato, perché chiunque abbia studiato la storia d’Italia dall’unità ad oggi ha avuto modo di osservare che sprechi ed inefficienze non hanno un nesso di casualità con l’istituzione delle Regioni in se ma col numero e soprattutto la “qualità” della nostra classe politica. Non è l’istituzione in se che produce il dolo, ma il modo con cui la si utilizza. E’ tipico di Roma pensare di risolvere i problemi, non responsabilizzando la collettività (e quindi decentrando poteri), ma avocando a se ulteriori competenze. Tutto questo mentre in Europa i maggiori Stati del vecchio continente sono alle prese con un processo federale inarrestabile, che probabilmente culminerà con la nascita di nuovi Stati. Fra i vari punti, Renzi pensa di modificare l’art. 117 della Costituzione, alla lettera z, introducendo il seguente passaggio, estremamente dannoso per numerose Regioni: “Lo Stato ha competenza esclusiva in […] grandi reti di trasporto e navigazione d’interesse nazionale e relative norme di sicurezza, porti e aeroporti civili, di interesse nazionale e internazionale; programmazione strategica del turismo”. Pensiamo cosa potrebbe significare una competenza esclusiva dello Stato in tema di trasporti e infrastrutture per la continuità territoriale, o per la promozione turistica (che se in molte Regioni non è ancora decollata non significa che debba occuparsene lo Stato, e che in Sardegna si è già distinto per la scarsa valorizzazione del nostro patrimonio storico-ambientale). Su quest’ultimo punto Confartigianato segue il Corriere nella sua approssimazione, e afferma: “è un fatto che nel periodo 2009-2011 le Regioni spendevano mediamente 939 milioni l’anno (!) per la promozione e l’Italia scivolava al quinto posto nella graduatoria mondiale per presenze estere”. In questo caso si può parlare di autentica incompetenza. Si può basare una riforma costituzionale su un dato statistico di 3 anni senza neppure valutare le differenze che sussistono in materia fra Regione e Regione e senza valutare la cresciuta competitività fiscale e ricettiva in generale di terze località turistiche internazionali? Ovviamente no, ma per una importante associazione di categoria come Confartigianato e per il primo quotidiano d’Italia si. Ma i danni derivanti dalla riforma Renzi sarebbero numerosi, ad esempio lo Stato avocherebbe a se anche l’ordinamento scolastico (lettera n) e il coordinamento del sistema tributario (lettera e), mentre la Sardegna ancora si arrabatta per sviluppare una propria automazione fiscale. Ricordiamoci che l’agenzia di rating Fitch da qualche anno a questa parte sta penalizzando la Sardegna rispetto all’Alto Adige con una argomentazione molto semplice: Cagliari non fa valere a sufficienza la sua autonomia rispetto allo Stato centrale. L’idea sarebbe anche quella di sopprimere il terzo comma dell’art. 116, scaturito dalla riforma del 2001, impedendo alle Regioni “ulteriori e particolari forme di autonomia” da concordare. Uno schiaffo alla volontà del Popolo Sardo che all’ultimo referendum aveva chiesto l’istituzione di una Assemblea Costituente dei Sardi per la riforma dell’Autonomia (e su cui è calato un patetico silenzio). Ma il Governo Renzi non parla neppure di minoranze linguistiche, la parola “nazione” nella sua proposta di riforma viene ripetuta in tutte le salse possibili, ma sempre e comunque con riferimento a Roma. Altri gravi problemi arriverebbero dal totale controllo dello Stato sulle reti energetiche (e in Sardegna senza un nostro Antitrust e senza una agenzia per l’energia sappiamo bene cosa sta comportando la concentrazione di oligopoli, anche pubblici, del settore). Questi sono solo alcuni dei principali limiti della riforma, c’è da dire tuttavia che secondo il Governo determinate materie non dovrebbero riguardare le Regioni a Statuto Speciale. In Alto Adige ovviamente non si fidano e con premura si sono immediatamente attivati per chiedere all’esecutivo Renzi una clausola di salvaguardia per l’autonomia. E in Sardegna? Beh, in Sardegna si stava ancora decidendo sulla Giunta Pigliaru, ma nessuno ovviamente ha sentito il bisogno di informarsi e protestare sulla tegola che potrebbe piovere sulla testa delle Regioni. Anzi, qualcuno si, il segretario del PSD’AZ Colli, che ha dichiarato: “Si tratta di un processo politico e istituzionale che deve essere contrastato in tutte le sedi. Esso è dannoso per la realtà sarda che, invece, dovrebbe trovare in un’ organizzazione dello Stato, quantomeno di tipo federale, nuove e moderne forme di distribuzione dei poteri”. Ma nel complesso nell’isola “si spera” in Renzi, mentre in Alto Adige gli viene detto che avrebbe bisogno di un corso di diritto costituzionale e di non fare passi avventati. E d’altra parte, come ha ricordato Paolo Bernardini, dovremmo chiederci se in questo nuovo secolo abbiamo veramente bisogno di una Costituzione, mentre isole come quelle britanniche ne fanno volentieri a meno, pur preservando la democrazia.
Una nota positiva della riforma Renzi riguarda l’abolizione delle Province, su cui i Sardi si sono già favorevolmente espressi in un referendum. Purtroppo la loro cancellazione non è bilanciata da un concreto rafforzamento dei poteri dei Comuni (che su determinate pertinenze potrebbero unire le forze), e si prevede un incremento dei seggi nei consigli comunali minori. Inoltre viene totalmente ignorata l’abolizione delle Prefetture, un dispendioso e antiquato strumento di controllo del territorio da parte dello Stato centrale, di cui gli apparati di sicurezza non hanno necessariamente bisogno per l’opera di prevenzione.
Secondo il politologo Arend Lijphart, i sistemi politici a vocazione maggioritaria, sul modello centralista, sarebbero adattabili a realtà relativamente omogenee, mentre le realtà composite si adatterebbero maggiormente ad una democrazia di tipo consensuale (ad esempio come nel modello confederale svizzero), [1984]. E’ chiaro che l’Italia, essendo una realtà culturalmente, linguisticamente ed economicamente composita, dovrebbe rinunciare ad inseguire il modello centralista per dedicarsi ad un serio decentramento politico. La Costituzione spagnola, nettamente più avanzata di quella italiana, consente alle proprie autonomie persino una propria regolamentazione Antitrust. In Svizzera invece non esiste il Capo di Stato ma solo il presidente della Confederazione.

Gianfranco Pintore ci mise in guardia contro il neo-bonapartismo di Stato, e dalla sua volontà, neppure troppo celata, di eliminare il regionalismo dalla storia della Repubblica, anche in uno dei suoi ultimi articoli. Purtroppo il massimo che sappiamo fare è lodare dei vecchi rappresentanti del centralismo isolano, come Pietrino Soddu, oggi spacciato per guru dell’autonomismo. Mentre la sua vecchia classe politica, quella paternalistica DC, e anche quella PCI (si, proprio quella del mito Berlinguer), gettava le basi dell’industrializzazione pesante della Sardegna, e della monocultura economica che oggi ci ha consegnato una terra inquinata, disoccupata, con basse prospettive di sviluppo e perennemente in balia del peggior clientelismo assistenziale possibile.
Viviamo nell’Italia della superficialità, dove si spende per combattere un nemico in Afghanistan mentre il nemico sta a Roma. Abbiamo uno Stato che vi manda la Guardia di Finanza non appena aprirete una nuova attività, mentre in Svizzera gli investitori sono accolti dalle autorità locali.

E i nostri indipendentisti? Troppo occupati a parlare di sovranismo e di cautela di fronte ai micidiali fendenti inviati dallo Stato. Sarebbe ora di rilanciare una proposta destinata alla nostra sovranità popolare: riportare il Parlamento a Cagliari. Gli Scozzesi ci hanno pensato negli anni ’90, noi siamo solo all’agenzia delle entrate.
Probabilmente con una seria proposta di indipendenza sentiranno a Roma ciò che con la timida autonomia non riescono ad afferrare.

Adriano Bomboi.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Natzionalistas Sardos

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