Caso Sardegna: Lettera a Giuliano Ferrara sul Canton Marittimo e sulle Europee

Egregio Ferrara,

Il Foglio in edicola lo scorso marzo non ha mancato di offrire una panoramica sulla provocazione del “Canton Marittimo”, l’iniziativa che prospetterebbe l’adesione della Sardegna alla Confederazione Svizzera come mezzo per aggirare i guai italiani. Sebbene ci dividano diverse opinioni sulla politica del Bel Paese, bisogna riconoscere al suo quotidiano la volontà – alquanto rara nel panorama della stampa italiana – di sviluppare un ragionamento senza il tabù dell’indivisibilità dello Stato. Personalmente mi preoccupano quei Sardi felici di esser ceduti a questo o a quello Stato nella speranza che svaniscano le responsabilità collettive con cui sono maturate le cause del mancato sviluppo dell’isola. Ma la provocazione, perché di questo si tratta, è stata un ottima iniziativa dei promotori per discutere sull’organizzazione dello Stato, e quindi per separare l’inettitudine della nostra classe politica dall’inefficienza delle nostre istituzioni: si tratta di temi diversi. L’approssimazione nel confonderli ha colpito invece i suoi colleghi del Corriere della Sera, secondo i quali il neo-centralismo prospettato da Renzi potrebbe risolvere il fenomeno della corruzione negli enti locali. Come se la crisi sia dovuta unicamente alle responsabilità della nostra classe politica e non, anche, all’architettura dello Stato ed alla sua iniqua distribuzione dei poteri. Infatti nel caso-Sardegna il problema non è stato solo quello di avere numerosi politici mediocri e furfanti, ma di non avere sufficienti strumenti amministrativi e fiscali per garantire la nostra minoranza linguistica e per lo sviluppo del nostro tessuto imprenditoriale, che, salvo poche eccellenze, non può esprimere il proprio potenziale (poi non lamentiamoci del saldo negativo della bilancia commerciale). I nostri contribuenti hanno bisogno di liberarsi tanto dal rapinatore di partito quanto da quello romano. La Svizzera in questi termini è un modello di riferimento, con una pressione fiscale contenuta, e assicurata da istituzioni confederali concorrenti, dove ogni Cantone ha voce in capitolo persino sul tema linguistico. Da noi le cose sono più complicate, se a Pompei crolla un muro qualche Procura apre una inchiesta, se in Sardegna crolla un nuraghe non succede nulla. Può fare chiasso solo un sardista o un raro giornalista attento: è il prezzo della centralizzazione culturale. L’Italia non può garantire i medesimi diritti della Svizzera, e non perché non potrebbe (differenze economiche e culturali insistono sull’Italia forse più che in qualsiasi altro Paese d’Europa), ma perché il mito dell’unità nazionale è la foglia di fico del privilegio di pochi a danno di tanti. E se la politica centrale non può e non vuole discutere è giusto che i cittadini passino dalle parole ai fatti, come sta succedendo anche in Veneto. Il referendum sull’indipendenza promosso dal trevigiano Busato è stata la miglior risposta al nuovo bicameralismo proposto da Palazzo Chigi, in cui si cerca di limitare ulteriormente i poteri degli enti locali. Ora sta agli indipendentisti riprendere in mano un percorso di riforma delle nostre istituzioni che a suo tempo la Lega Nord non è stata in grado di portare avanti. Da parte europea non ci sono preclusioni alla nascita di nuovi Stati nel vecchio continente, gli unici ostacoli continuano ad arrivare dallo snobismo che purtroppo accompagna anche tanti giornalisti, e che forse denota la loro sudditanza alla politica centrale. Salvo pochi osservatori onesti, basti pensare che nelle scorse settimane la BBC ha preceduto la grande stampa italiana nell’annunciare il referendum autogestito della Serenissima. Ma la vulgata unitarista ha influenzato persino i comici, come Maurizio Crozza, che ha trasformato la satira in pura denigrazione pur di allontanare una seria riflessione attorno a queste tematiche. Può darsi che negli ambienti culturali vicini al PD, dopo tanta retorica sulla “difesa della Costituzione”, siano diventati più nazionalisti del M.S.I. di Almirante. Difficile esserne certi, ultimamente il PD ha persino votato contro l’istituzione del collegio unico UE della Sardegna per separarla dalla circoscrizione con la Sicilia (da cui è tradizionalmente penalizzata). Corre voce che la presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, la siciliana Anna Finocchiaro, ne sappia qualcosa. Dopotutto Strasburgo è un parcheggio per trombati illustri di partito. Ma noi che siamo garantisti ci riserviamo il beneficio del dubbio. Che Roma stia avviando una secessione al contrario? Non so che cosa ne pensi lei caro Ferrara, ma in Sardegna fin dalle prossime elezioni europee l’astensione sarà un dovere politico e morale.

Adriano Bomboi,

Direttore del portale indipendentista SaNatzione.eu

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    1 Commento

    • Giusto una precisazione sul canton marittimo: la vera provocazione é il fatto di essere “ceduti” alla Svizzera, ed é servita solo per attirare l’attenzione sulla situazione attuale sarda in mezzo mondo. Tentantivo riuscito quindi.

      A parte questo, per quanto sia improbabile un simile evento, vorrei far notare che é impensabile che la Sardegna cambi alle condizioni attuali: i sardi, per abitudine, indole e modi di fare non sono molto diversi dagli italiani. Stessa furbizia di fondo, stessa propensione a non rispettare le norme e stessa propulsione ad evadere le tasse e le norme in generale. Senza contare una certa tendenza all’auto distruzione del patrimonio locale, sia con atti vandalici sia con leggi a danno del territorio.

      Con queste premesse, per quanto rimanga ben piu’ probabile un’indipendenza pura rispetto ad una annessione alla Svizzera, rimane sempre il problema legislativo, che sarebbe in mano agli stessi sardi con i difetti sopraccitati, e con una scarsa attitudine del popolo sardo a rispettare tali leggi, ma soprattutto con una difficoltà estrema a restare uniti.

      Ecco, spiegato questo, magari suona un po’ meno strana l’idea di annessione (non cessione) dell’isola alla comfederazione elvetica, che dalla sua ha un sistema federale eccellente, una democrazia veramente diretta, un senso civico sviluppatissimo, e un’attenzione al territorio neanche immaginabile al momento in Sardegna.

      Se pensiamo alla Sardegna come a un bambino inesperto, la scelta di avere una guida puo’ solo essere positiva, soprattutto se tale guida ha in se gran parte delle soluzioni ai problemi presenti, e lascia al “bambino” una libertà enorme di gestirsi, correggendo solo dove necessario.

      Saluti

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