Quali prospettive per l’indipendentismo Sardo?

Pubblicato per l’associazione Diritto di Voto.

L’anno appena trascorso ha confermato un dato rilevante: l’indipendentismo Sardo è in crescita. Lo testimoniano l’accrescersi del dibattito nella pubblica opinione, i numerosi articoli della grande stampa regionale, le trasmissioni delle emittenti locali, ma soprattutto le mosse politiche avviate nel corso del 2013 sia dai partiti Sardi che da quelli centralisti. I primi, nel difficile tentativo di trovare una convergenza in vista delle prossime elezioni regionali del 2014, i secondi, nel maldestro tentativo di riciclare la propria proposta politica in chiave maggiormente autonomista, consapevoli del generale trend di crescita del nazionalismo Sardo.
Abbiamo tre passaggi politici essenziali su cui ragionare.
Il più interessante riguarda la nuova legge elettorale, modificata dai maggiori partiti del Consiglio Regionale, PD ed ex PDL, per conservare le rispettive rendite di posizione ed arginare tanto l’indipendentismo quanto la crescita del Movimento 5 Stelle (che in Sardegna si è portato al 29% dei consensi). Nei diversi sondaggi anche gli indipendentisti godono di stime a due cifre, mentre sul piano dei contenuti va ricordato che negli ultimi mesi i grillini hanno rivelato tutta la loro inconsistenza programmatica sulle specifiche tematiche della Sardegna, dimostrando una scarsa conoscenza del territorio.
Per entrare nella prossima legislatura regionale una coalizione dovrà ottenere almeno il 10% dei consensi, mentre per i partiti che corrono da soli la soglia di sbarramento è stata innalzata al 5% dei consensi (considerando inoltre che il numero dei consiglieri è stato riformato dagli attuali 80 seggi a 60). La frantumazione dell’indipendentismo, particolarmente accentuata all’inizio del 2013, non ha permesso alcuna valida opposizione ad una legge elettorale che di fatto riduce gli spazi della rappresentanza democratica, ma si tratta di un problema relativo. Nonostante i partiti italiani godano di ampie clientele nella pubblica amministrazione locale, la loro credibilità è stata ulteriormente erosa negli ultimi mesi dalle inchieste della Magistratura sull’utilizzo illecito dei fondi ai gruppi politici regionali, che vedono decine di indagati in tutti i maggiori partiti di maggioranza e opposizione.
Il secondo passaggio politico riguarda la candidatura di Michela Murgia alla presidenza della Regione, in rappresentanza del movimento indipendentista ProgReS, per la coalizione “Sardegna Possibile”. La sua notorietà, derivante dalla talentuosa attività di scrittrice per la Einaudi (Premio Campiello 2010), le ha consentito di attirare verso il proprio progetto persino varie componenti progressiste staccatesi dal PD, a riprova dell’emorragia di consensi attraversata dai partiti italiani in Sardegna. Per contro, la scissione maturata nel PDL a seguito delle vicende giudiziarie di Silvio Berlusconi, ha indebolito il centrodestra regionale, e se da un lato ha consentito al governatore Cappellacci di riproporre la sua candidatura per un secondo mandato, coalizzando la vasta area conservatrice del partito, dall’altro, Mauro Pili, ex PDL, ha fondato un nuovo movimento territoriale chiamato Unidos, sottraendo uomini al PDL ed attirando in coalizione alcune sigle autonomiste e indipendentiste (come Fortza Paris e la neonata Soberania).
L’isola assiste così ad un lento ma progressivo declino della partitocrazia centralista, a cui purtroppo non corrisponde un adeguato ambiente indipendentista in grado di capitalizzare politicamente il quadro complessivo della crisi. Ciò risulta particolarmente evidente nell’osservazione del terzo passaggio politico, che riguarda il posizionamento del mondo sardista, abituato a sviluppare la propria strategia di governo solo in ambito autonomistico ed in alleanza con partiti italiani. Da una parte abbiamo il Partito Sardo d’Azione, il più prestigioso ma tuttavia anche il meno dinamico nella capacità di effettuare pressioni in chiave riformistica (e in questo senso assai meno utile in ambito autonomistico, ad esempio, del suo omologo altoatesino SVP). E nonostante abbia ricoperto importanti cariche amministrative a livello regionale, provinciale e comunale. Nella dirigenza del PSD’AZ è emerso il classico orientamento, giustificato dalla nuova legge elettorale, secondo il quale la sopravvivenza del partito è legata alla sua necessità di ottenere degli eletti, perseguendo la linea di alleanze col centrodestra ed il centrosinistra italiano. E così, dopo aver esaurito la propria partecipazione col PDL, al PSD’AZ non è rimasto che il PD. Questa linea venne anticipata dall’ex consigliere sardista Paolo Maninchedda, ritenendo di poter sviluppare il “sistema Vendola” utilizzato da SEL in Puglia, cioè far aderire il PSD’AZ alla coalizione di centrosinistra, e da lì presentare un proprio candidato a delle primarie di coalizione, alternativo e vincente rispetto a quello del PD, per conquistare la presidenza della Regione. Tale strategia includeva la volontà di utilizzare il PSD’AZ come base per un Partito Nazionale Sardo (analogamente all’idea rilanciata dal gruppo U.R.N. Sardinnya nel 2007), al fine di riunire sotto ad uno stesso tetto le varie sigle autonomiste e indipendentiste nate nel corso degli anni da numerose e improvvide scissioni. Pochi mesi fa la dirigenza sardista ha rigettato l’autonomia politica di Maninchedda nel partito, rifiutando la proposta di evoluzione del PSD’AZ verso un PNS, ed ha cacciato il consigliere regionale, che a quel punto ha proseguito in modo unilaterale la propria linea, coinvolgendo Franciscu Sedda, ex dirigente di ProgReS, e fondando il “Partito dei Sardi”. Si sono creati così una serie di errori. Da una parte, il nuovo “PDS” non può essere considerato un aggregatore di sigle identitarie, perché non da luogo ad alcuna fusione ma si limita a mettersi in coda a quelle esistenti. Dall’altra, il PSD’AZ avvia comunque una trattativa con il PD, inizialmente impostata sulla candidatura di Francesca Barracciu del Partito Democratico (perdendo così la possibilità di esprimere una propria candidatura, e creando una nuova area politica “sovranista”, rappresentata da Maninchedda, portatrice di una strategia similare). La paradossale situazione messa in piedi dalla dirigenza sardista ha raggiunto il suo culmine nel momento in cui la Barracciu è stata coinvolta nell’inchiesta giudiziaria per peculato (circostanza che il 30 dicembre l’ha costretta a rinunciare alla candidatura), perché i sardisti si sono trovati a dover “difendere” l’indagata sulla base della presunzione d’innocenza, pur di conservare la possibilità di allearsi, ma perdendo credito sia nella propria base che negli elettori in generale, in un momento storico di crisi in cui la figura del politico, sulla scorta di una visione giustizialista del populismo, “è colpevole” a prescindere. Mentre poco prima i sovranisti di Maninchedda, a cui si sono uniti i RossoMori, avevano consigliato alla Barracciu di farsi da parte. Così facendo, sardisti e sovranisti hanno reso fragili strategie apparentemente solide, che le divisioni non hanno consentito di perfezionare. Da non escludere ulteriori soprese.
Con ogni probabilità altre sigle correranno sole, come il Meris di Meloni. Altre non hanno ancora sciolto il nodo della propria strategia, come IRS e Sardigna Natzione. Mentre interessanti proposte di convergenza democratica come quella del Fronte Indipendentista Unidu non hanno raccolto interesse nelle altre formazioni politiche.

In conclusione, la sudditanza politica di una parte del nazionalismo Sardo ai partiti italiani denota una debolezza di fondo superabile unicamente grazie ad una maggiore collaborazione fra le sigle autonomiste e indipendentiste, le quali non dovrebbero aver timore di raggiungere traguardi politici oggi accessibili, nonostante le difficoltà imposte dalla legge elettorale. Comunque vadano, le prossime elezioni presenteranno ai Sardi dei movimenti territoriali che hanno la capacità di rispondere ai problemi dell’isola, a partire dalla necessità di una fiscalità autonoma per uscire dalla corruzione dell’assistenzialismo, e dal rilancio di una cultura autoctona, danneggiata da quella italiana. Mentre i partiti centralisti tenteranno di cambiare pelle per tutelare lo status quo e gli interessi statali in Sardegna, fra cui i proventi delle sperimentazioni dei poligoni militari, con un demanio che vanta la più alta estensione d’Europa per questa destinazione d’uso, senza alcun beneficio ambientale e finanziario per i suoi abitanti.
Nel futuro della Sardegna ci sarà meno Stato e più mercato. Ecco perché il Partito Nazionale Sardo è fin da oggi un traguardo inevitabile, al pari della sovranità che dovremo conquistare.

Adriano Bomboi.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Natzionalistas Sardos

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