Pisanu, PD, M5S e indipendentismo: perché dobbiamo dire si al sovranismo

Se lo ricorderà l’ex DC Pietro Soddu? Correva il 1980, in un convegno del capo di nord sull’autonomismo, Beppe Pisanu disse: “I grandi partiti nazionali e di massa, nel loro modo di atteggiarsi e di organizzarsi, tendono ad accentuare le spinte centralistiche”.
In seguito evocava un partito nazionale (italiano) su base autonomistica.
Questo partito nessuno l’ha visto.
32 anni dopo, la stessa classe dirigente, corresponsabile della inattuata Autonomia regionale, è arrivata alle medesime conclusioni: serve più autonomismo. Ogni ulteriore commento sarebbe superfluo e non sarebbe attinente ad un serio ragionamento politico. Tutta la classe politica, da destra a sinistra, è sempre vissuta di rendita, centellinando le concrete aspirazioni dei Sardi ad un vero governo del territorio capace di rispondere alle aspettative locali. La politica centralista e clientelare infatti non campa su una connotazione riformista ma assistenzialista. Vale a dire che se da anni avesse portato a compimento alcune riforme, sarebbero venute meno le ragioni con cui ha perpetuato il suo potere nel corso del tempo. Questa politica esiste grazie agli slogan, alle promesse ed agli annunci su riforme imminenti ma che nella pratica stentano a realizzarsi. Si tratta di un malcostume che storicamente non ha risparmiato neppure il notabilato Sardista.
Eppure anche questo sciagurato metodo di conduzione politica si trova ad un giro di boa.
Non vediamo concrete innovazioni ma vi sono certamente segnali importanti:

Il PDL Sardo, in crisi, ha compreso che aria tira e che l’unico modo per rilanciare la piattaforma del centrodestra è separarla dalla connotazione romana per darle uno spirito concretamente territoriale. Sta avvenendo ciò che in ogni seria Autonomia territoriale internazionale è già avvenuto diversi anni fa: i poli centralisti, pur non essendo indipendentisti, iniziano a convertire la propria offerta politica tarandola sulle tematiche territoriali. Come già avvenuto in Scozia e Catalogna. La protesta bilingue inviata dalla Giunta Cappellacci al Governo Monti in materia di entrate fiscali sarà solo il primo assaggio.

SEL e i Sardisti, seppur numericamente inferiori, rappresentano il centro di questo cambiamento. SEL in particolare ha fatto una scelta di campo nel momento stesso in cui ha considerato di poter destrutturare questo bipolarismo aprendosi ad un’alleanza basata sul programma piuttosto che sull’ideologia. Se la prospettiva verrà consolidata in sede elettorale, aprirà inevitabilmente nuovi scenari necessari a scompaginare la rigidità di un bipartitismo in crisi e lontano dal cambiamento chiesto dalla popolazione.
Al di là del referendum, in questo senso la coalizione del centrodestra italiano in Sardegna con i suoi alleati è stata più reattiva e partecipe, almeno nominalmente, di questo cambiamento. Le osservazioni di Pierpaolo Vargiu (Riformatori Sardi) si pongono correttamente in linea con questo rinnovato spirito popolare. E se da un lato concordiamo quindi con le opinioni dell’amico Gianfranco Pintore, altrettanto ragionevoli sono le opinioni espresse dal giornalista Vito Biolchini, riassumibili nella domanda: chi dovrebbe guidare questo cambiamento? Quale leadership? Sappiamo di chi non potrà essere la leadership: di un PD ancora impegnato con le sue lotte interne, completamente estraneo a questa ventata di novità e occupato a gestire le classiche rendite di posizione, magari dosando quella metodica politica assistenzialista (di cui parlavamo in apertura) al fine di arrivare ad una vittoria elettorale che forse considera troppo scontata. Infatti, mentre il PD Sardo prepara la rosa dei nomi che dovrà spedire in Parlamento nel dopo-Monti e i papabili alle prossime Regionali, allo stesso tempo non perde la superbia di trattare con freddezza l’asse SEL-PSD’AZ, che se amplierà il proprio perimetro politico saprà configurarsi come il vero ago della bilancia politica Sarda.
Non a caso, e non solo in Sardegna, emergono fenomeni come il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, il cui sincero attivismo ha la capacità di intaccare il voto strutturato del bipartitismo.

Il Partito Democratico Sardo che cosa vuole fare? Rinnovarsi e vincere in senso autonomista o perdere e proseguire nella classica retorica unitarista destinata a celare i particolarismi delle sue correnti? Un PD centralista nella Sardegna in cui mezzo milione di Sardi in un referendum ha scelto il rinnovamento è l’equivalente di un Titanic che, sicuro della sua stazza, prosegue a tutta forza verso il disastro.

Ma verso il disastro corre anche l’indipendentismo di testimonianza, quello duro e puro. Quello che non si rende conto dei primi sintomi del sovranismo in crescita. Lo stesso PD negli ultimi giorni ha inferto un colpo decisivo a questo inconcludente indipendentismo: l’On. Scanu, grazie al lavoro della Commissione che si è occupata di valutare l’impatto delle servitù militari italiane nella nostra isola, ha portato a casa un risultato. La chiusura di due importanti strutture militari e la conversione del poligono di Quirra hanno fattualmente sottratto a movimenti come AMPI, IRS, ProgReS e SNI uno dei loro principali temi politici. Eppure proprio il PD sostenne l’ampliamento di Quirra, il tema fu oggetto di discussione con l’On. Caterina Pes.
Con la crescita del sovranismo, cioè di una politica regionale complessivamente più attenta a questo e ad altri temi locali per conquistare quote sempre maggiori di sovranità, altri colpi attendono l’indipendentismo Sardo. Che non solo non crescerà, ma rischierà addirittura di perdere quella poca militanza di base a favore di un qualsiasi progetto politico sovranista di Governo (e finalmente capace di realizzare alcune riforme. Non perché le voglia, ma perché ormai costretto dal contesto a doverle avviare per poter sopravvivere).
La scelta per l’indipendentismo sarà molto semplice: o far parte di questo progetto, o collocarsi definitivamente nel marginalismo politico da cui non troverà via d’uscita.

Il sovranismo non è una forma di sudditanza “autonomistica”. Ad esempio, pur concordando su diversi aspetti con Bustianu Cumpostu (SNI), non sono condivisibili le sue affermazioni tenute presso un intervista nella rivista Làcanas: “è la posizione di chi crede che si possano acquisire maggiori spazi di sovranità e apportare miglioramenti alla condizione dei sardi e quindi avere la possibilità di un riscatto del popolo sardo pur rimanendo nella condizione di non libero e di dipendente. Non è quindi un andare oltre l’indipendentismo ma un rinunciare all’indipendenza e dunque al diritto a una propria soggettività politica statuale totalmente indipendente da quella dello stato attore della sudditanza. L’indipendenza non è una sommatoria di sovranità, è una condizione posseduta, non concessa”.

A nostro avviso il sovranismo è il sintomo del cambiamento della coscienza di un Popolo, della sua politica e quindi della possibilità di emanciparsi nel campo dei diritti economici, sociali e linguistico-culturali. L’indipendentismo non può assentarsi da questo passaggio storico, né può delegare in questo compito i soli Grillini o la buona volontà dei partiti italiani. Chiamarsi fuori da un’alleanza sovranista significa chiamarsi fuori dalla storia. Sarebbe l’equivalente dell’errore compiuto in Catalogna qualche anno fa dal movimento ERC, quando la sinistra indipendentista contestò il nuovo statuto autonomo catalano promosso dai nazionalisti moderati. In seguito, decimati alle elezioni, quando gli indipendentisti si resero conto dei benefici socio-economici promossi dalla nuova carta autonomistica, furono i primi a scendere in piazza in sua difesa nel momento in cui Madrid la dichiarò incostituzionale.
Ma pensiamo anche alla Scozia, dove a fine anni ’90 il Parlamento autonomo di Edimburgo fu sostenuto maggiormente dai laburisti e dai conservatori filo-londinesi. Di tale devolution se ne stanno avvantaggiando oggi gli indipendentisti dell’SNP, al Governo del Paese.

L’indipendentismo Sardo deve comprendere che non si trova nella posizione contrattuale e men che meno di consenso sociale per potersi opporre ad un sovranismo che continuerà a sottrargli importanti tematiche politiche portandolo all’estinzione. Deve adattarsi. In prima istanza deve ridurre la sua frammentazione, e in seconda, deve comprendere la necessità di aperture politiche in cui il programma e i contenuti vengano prima dell’ideologia e dell’evangelismo fine a se stesso.

L’indipendentismo non tema la mediazione (su tutti i livelli) inquadrandola come il classico trasformismo post-democristiano. In seguito si potrà discutere di progetti come quello del “Partito dei Sardi”.
Da parte nostra non possiamo che concordare con diversi osservatori, solo chi è in buonafede può a ragion veduta affermare che il sardista Paolo Maninchedda è attualmente uno dei più qualificati personaggi candidabili alla presidenza della Regione. A patto che lo stesso asse SEL-PSD’AZ non si faccia sottrarre dai grandi partiti italiani la sottana dal sedere così come succede all’indipendentismo di testimonianza. Ad esempio, è possibile che un presidente del PDL ricorra al bilinguismo e uno Sardista no?

Di Adriano Bomboi.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Nazionalisti Sardi

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    5 Commenti

    • Sono d’accordo quasi su tutto. Non sono d’accordo quando preme troppo sui partiti indipendentisti “di testimonianza”.

      E’ vero, come ho sempre sostenuto (http://inlibertade.blogspot.it/2012/05/qui-o-si-fa-lindipendentismo-o-si-muore.html), che si possono allargare le vedute con la possibilità di un’alleanza elettorale, ma tutto questo partendo da noi. Cioè, insieme anche al Psd’az partire da una programmazione riformista di stampo assolutamente sovranista che poi possa accogliere anche chi chiede informazioni e accetta i punti fondamentali della programmazione: identità, sovranità, sostegno sociale, economia propria.

      http://inlibertade.blogspot.it/2012/05/qui-o-si-fa-lindipendentismo-o-si-muore.html

    • Tengo a precisare che l’asse PS d’Az-SEl non è un asse tra due Partiti ma un asse tra due persone. Che i rispettivi Partiti retifichino gli accordi tra persone è tutto da verificare. Il Popolo Sardo sta ormai acquistando la consapevolezza che la soluzione dei suoi problemi non è il fallito autonomismo ma l’Indipendentismo. Con questo non voglio affermare che saranno i movimenti indipendentisti presenti sul campo che potranno prendere in mano la situazione. Ritengo che il termine “sovranismo” introduce un fattore di confusione nell’attuale discussione sull’Indipendentismo in quanto indipendentismo e sovranità vanno di pari passo: l’indipendentismo comprende il concetto di sovranità. Nell’attuale situazione della Sardegna riuscirà a prevalere il movimento che saprà interpretare meglio la volontà popolare. Non penso che questo possa accadere attraverso gli attuali Partiti politici e gli uomini che li rappresentano. Se questo non verrà capito e si continuerà a ragionare facendo finta che nulla stia accadendo, se cioè verrà male interpretatata la volontà di cambiamento del Popolo Sardo, il fenomeno Grillo dilagherà anche in Sardegna andando ad occupare lo spazio che qui avrebbero dovuto naturalmente occupare i movimenti indipendentisti. Ormai non si potrà più fare affidamento agli obsoleti giochetti di Parole della vecchia politica: la folla ha raggiunto già lo stadio di “irrazionalità” ed è pronta a travolgere coloro che l’hanno sempre ingannata con questi sistemi.

    • [...] infatti sono soprattutto d’accordo con Adriano Bomboi quando si chiede sul suo blog “il Partito Democratico Sardo che cosa vuole fare? Rinnovarsi e vincere in senso autonomista o [...]

    • Sig. Nioi, meno male che oltre alle sirene, qualcuno nel psd’az ha mantenuto la lucidità, apprezzo quanto dice.

    • [...] ci sono dubbi, il quadro era già stato ben illustrato nello scorso articolo sul sovranismo. Previsioni azzeccate. Le amministrative 2012 verranno ricordate come un esempio della distanza che [...]

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