Il Partito dei Sardi? Il situazionismo da evitare per un Partito Nazionale Sardo

Chi si ricorda quel movimento politico-culturale sessantottino chiamato “situazionismo”? Ben pochi. Come ben pochi nel loro lodevole tentativo di ragionare su un ipotetico “Partito dei Sardi” si saranno resi conto che oggi non è l’estetismo della proposta politica a pagare ma i contenuti che un dato progetto politico dovrebbe incanalare a livello prettamente istituzionale.
Un serio partito territoriale dovrebbe basare la sua natura su due pilastri essenziali: l’identità e lo sviluppo socio-economico.

L’intellettuale Eduardo Galeano sostenne che “l’identità non è un pezzo da museo, calmo e tranquillo nella teca di vetro, ma la stupenda sintesi che ogni giorno si compie delle nostre contraddizioni”. Rivolgendosi direttamente al lettore, ricordò la tormentata situazione psicologica di un cittadino sottoposto alla colonizzazione, sia quella diretta, sia quella indiretta e spontanea, che così argomentò: “Il colonialismo invisibile ti convince che la servitù è il tuo destino e che l’impotenza è nella tua natura. Ti convince che non si può dire, non si può fare, non si può essere”.

In un epoca di crisi dell’Autonomia Regionale Sarda istituita nel 1948, la classe politica regionale si domanda quale sia lo strumento più idoneo per la rappresentazione degli interessi territoriali e lo trova nel più semplice strumento di cui da oltre un secolo si paventa: un presunto “Partito dei Sardi”, panacea di tutti i mali. Si tratta di una visione evidentemente riduttiva ed esemplificativa del ritardo politico e culturale a cui giunge la classe politica centralista in Sardegna, pesantemente abituata nello svalutare l’insufficiente Autonomia del secolo scorso e abitualmente dedita a fungere da braccio motore per quella innata colonizzazione invisibile che contraddistingue una generazione di Sardi allevata nel mito della costruzione della patria italiana.
Oggi questa classe politica centralista rilancia un progetto unitario e territoriale che in passato fu il cavallo di battaglia del sardismo. Pensiamo al “Partito dei Sardi” fondato dal siniscolese Luigi Oggiano, Lussu e Bellieni sotto la cui spinta nel secondo dopoguerra si formò una visione etno-nazionalista (come nella Lega Sarda di Bastià Pirisi e dell’ideologia di Simon Mossa) destinata a portare alla ribalta dei temi come la lingua e la cultura dell’isola. Il nazionalismo Sardo dunque arrivò a giustificare la richiesta di maggiore sovranità proprio in ragione del valore aggiunto che contraddistingueva la nostra specialità: l’identità. Ma, come andiamo ripetendo da anni, una identità che oggi deve essere intesa in termini liberali, dinamici e solidaristici, volti ad integrare la necessità delle riforme in campo istituzionale e quindi anche economico. Sono questi gli attributi che ci consentono di parlare non di un populistico “Partito dei Sardi”, ma dell’utilità di un vero e proprio “Partito Nazionale Sardo”.

Bisognerebbe pertanto chiedere ai vari segretari centralisti del PD, del PDL, dell’IDV e di altre formazioni politiche italiane in Sardegna, quale tipo di “Partito dei Sardi” intendano promuovere. Il ritardo da essi accumulato nella comprensione di dover e poter fondere la tutela dell’identità assieme alla necessità dello sviluppo economico ha radici nell’epoca della Rinascita, quando la ricerca di un economicismo imperante (e d’importazione, poi rivelatosi fallimentare) tendeva a spingere nell’oblio il diritto al rispetto della cultura Sarda, eliminando così proprio quel valore aggiunto su cui si basa – ancora oggi nel mondo – il perno giuridico per la tutela della specialità e la rivendicazione della sovranità nel quadro (e oltre) di uno Stato-nazione. Senza andare troppo lontano, basti osservare infatti le differenze pratiche tra l’autonomia di Bolzano e del Trentino Alto Adige con quella Sarda. Sebbene si tratti di prassi politiche sorte da percorsi storici diversi. Ma a Bolzano l’autonomia viene sorretta anche grazie al peso del contrasto identitario col resto dello Stato-nazione italiano.
E qui? Addirittura all’interno del sardismo si ritiene che l’economia venga prima della tutela identitaria, ignorando quanto entrambi i profili debbano muoversi su un piano paritario. Lo stato di perenne indigenza economica dell’isola (coadiuvato dal centralismo) ha indotto diversi sardisti a costruirsi la fossa da soli per quanto riguarda proprio quell’unico elemento capace di far sopravvivere la nostra specialità, essendosi omologati alla obsoleta visione diffusa in ambito democristiano e socialista secondo la quale per essere in sintonia con la modernità bisognava parlare solo di economia e meno di “nostalgie folk-territoriali”.
Se quindi un “Partito dei Sardi” non diventerà un “Partito Nazionale Sardo”, si perderà in partenza lo scopo della tutela della nostra specificità territoriale, è il rischio a cui si incorre con il “Partito” immaginato da chi è indietro nel dibattito culturale al riguardo, come i vari Segni, Parisi, Soddu, Silvio Lai, ed altri protagonisti della politica italiana in Sardegna e a Roma. Ed è il rischio che ci condurrebbe all’ennesima e ciclica questua petulante verso lo Stato centrale, il sintomo del più becero assistenzialismo che ha prodotto la crisi dell’attuale sistema politico, incapace di fare il salto di qualità della fusione tra identità e diritto allo sviluppo e limitandosi a proporre sterili riverniciature ai partiti esistenti come strumento per “contare di più” all’interno di uno Stato che non li considera adeguatamente. Anche in ragione dello scarso peso demografico (e quindi elettorale) della nostra isola rispetto ad altre regioni d’Italia.
Se questa classe politica non capirà che deve parlare di federalismo politico (e quindi multi-culturale, multi-linguistico e multi-nazionale) senza fermarsi alla diatriba del federalismo cooperativistico/antagonistico, non si svilupperà mai la consapevolezza che per “contare” seriamente in Europa e nel mondo serve un solo tipo di sovranità (che un partito territoriale attraverso delle riforme deve promuovere) e questa sovranità deve avere il solo e preciso scopo di aggirare l’intermediazione culturale ed economica dello Stato centrale di derivazione ottocentesca sui specifici interessi del nostro territorio, spesso difformi se non antagonisti a quelli di altre regioni italiane.
Su quali basi dovrebbe parlare di sovranità un partito locale privo di identità che rinnega in partenza lo start-up della sua specificità territoriale? Il fatto che solo una minoranza dell’ormai ambiguo “Popolo Sardo” si senta parte di una Nazione Sarda non implica il fatto che si debba rimuovere dalla radice quei preesistenti elementi identitari. Né implica che si debba forzare o romanzare la storia dell’isola per tutelarli.
Per queste ragioni, come U.R.N. Sardinnya, ci attendiamo maggior chiarezza dal progetto che – ad esempio – immaginano i Riformatori Sardi, basandosi sull’idea di un vago “Partito dei Sardi” demosardista e quindi privo di identità territoriale. Come ci attendiamo maggiori lumi dall’idea di “Partito dei Sardi” vista dal sardista Paolo Maninchedda, che si limita a paventare l’avvento di uno Stato sovrano ma senza circostanziare un’azione politica incentrata anche sul fattore identitario (che di per se non implicherebbe il ritorno ad un vecchio ed anacronistico etno-nazionalismo visto ad esempio presso Sardigna Natzione e nella prima fase della IRS di Sedda che contestammo). E come liberali saremmo anche diffidenti verso la visione di uno statualismo giuridico così come emerso dal romanticismo francese e col consolidamento dei classici Stati-nazione. Noi riteniamo che non sia la formazione di uno Stato in se a garantire un modello efficiente di sovranità, nella misura in cui non conta la quantità delle istituzioni ma la qualità dei poteri effettivamente esercitabili da nuove eventuali istituzioni.
I Sardi insomma nel loro ipotetico e complesso progetto politico unitario non dovranno solamente occuparsi di ridurre l’inutile frammentazione di sigle politiche locali, ma, come suddetto, dovranno tutelare tanto l’identità quanto l’economia, attualizzandone la veicolazione nella quotidianità (pensiamo ad esempio ad una riforma del sistema della Pubblica Istruzione nell’isola) ed occupandosi di sviluppare il massimo della sovranità per ogni settore in cui le istituzioni dell’isola dovranno avere voce in capitolo (fisco incluso). Circostanza compresa anche dalla nuova Fortza Paris e da anni dai fautori del “Comitadu pro sa noa Carta de Logu”, le cui proposte sono certamente perfettibili ed in linea con quanto ormai anche nel confusionario e leaderistico circuito politico indipendentista di derivazione marxista risulta relativamente evidente.
Senza queste caratteristiche, fare dei nuovi “Partiti Sardi” senza parlare di identità e riforme in senso sovranistico equivarrebbe al volere nuove biciclette senza sforzarsi di pedalare. Il ché rende assolutamente inutile e mediocre la diatriba innescata da alcune forze centraliste secondo le quali la Sardegna oggi non riuscirebbe a reggersi economicamente da sola in una globalizzazione di interdipendenza. Se ci riescono con successo repubbliche minori come Malta, evidentemente non si tratta di un problema esclusivamente economico, ma di un problema strutturale nella visione quadro della nostra organizzazione politica ed istituzionale.

Infine una nota verso l’area più intransigente dell’indipendentismo, come A Manca pro s’Indipendentzia: il compromesso con terze forze politiche (anche se non convintamente indipendentiste) non è necessariamente una minaccia alla stabilità dell’indipendentismo Sardo. C’è caso e caso, situazione e situazione. Ad esempio in Scozia e in Catalogna le forze centraliste pensavano che dosando maggiore autonomia avrebbero disinnescato ogni pulsione indipendentista. E’ successo l’opposto.
Se c’è qualcosa su cui dobbiamo orientarci come nazionalisti Sardi, questo non è l’apporre veti ad eventuali alleanze con qualsiasi schieramento politico, ma il vigilare affinché i programmi politici tengano conto degli elementi sopra menzionati nell’ottica di aprire un percorso riformista nell’interesse della nostra terra.

Grazie per l’attenzione.

Di Adriano Bomboi.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE – Nazionalisti Sardi

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