Wilhelm Ropke ai tempi dell’integrazione economica europea

“Amo l’Europa ma è triste che si debba discutere di un illiberale sistema d’integrazione economica europea. Aumenterà la soggezione dei piccoli gruppi ai grandi gruppi concentrati, con una burocrazia pianificatrice colma di privilegi e influenze”.

Sono le parole di straordinaria attualità dell’economista Wilhelm Röpke, tra i protagonisti della potenza economica tedesca del secondo dopoguerra, in merito al processo di unificazione europea. Proponiamo alcuni passaggi del suo intervento, in netta controtendenza all’ottimismo del Manifesto di Ventotene, proseguendo così il nostro contributo per accrescere anche in Sardegna quella cultura liberale spesso colpevolmente ignorata.

L’economista Wilhelm Röpke (1899-1966) fu uno dei maggiori protagonisti della potenza economica tedesca del secondo dopoguerra; promotore dell’ordoliberalismo di derivazione friburghese, condusse la Mont Pelerin Society sostenuta da intellettuali del calibro di Mises e Hayek.

Tra i vari contributi, stupisce oggi rileggere la straordinaria attualità del suo pensiero in materia di unificazione europea, che identificò alcuni dei maggiori punti critici economici e sociali delle attuali istituzioni continentali:

“Sotto la falsa bandiera della comunità internazionale è sorto un apparato di concentrazione, di agglomeramento, di uniformità e di dirigismo economico che, sia nell’ambito delle Nazioni Unite e delle relative organizzazioni, sia nell’ambito di organismi continentali quali la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, diviene sempre più potente e assicura ad una burocrazia sempre più numerosa privilegi ed influenze.
Se si eccettuano alcune lodevoli eccezioni, l’utilità di questo accentramento internazionale è straordinariamente sproporzionata al suo costo. Ma pochi sono capaci di riconoscere, dietro il paravento degli alti ideali, la spiacevole realtà […] Non sono molti, dunque, a intuire l’insidia che si nasconde in questa progettata concentrazione […] valendosi di nomi e di formule che hanno in sé una forte carica di suggestione («Europa», «sovranità supernazionale», «armonizzazione internazionale») minaccia di dare il colpo di grazia al superstite sano decentramento internazionale e alla sana varietà internazionale.

Di questo sviluppo la tappa più recente è costituita dal progettato Mercato Comune Europeo. Con carattere meno accentratore, esiste già l’ampia Zona di Libero Scambio […] implica tutta una serie di preoccupanti pianificazioni economiche […] Crescerà enormemente la soggezione degli individui e dei piccoli gruppi ai grandi gruppi concentrati. E tutto ciò avverrà in nome dell’Europa e della tradizione europea, che invece tanto debbono alla libertà, alla varietà e all’individualità.

E’ il pericolo che l’economocrazia venga trasferita dall’ambito nazionale a quello internazionale, con il conseguente dominio, inevitabile, dei pianificatori, degli specialisti di statistica, cioè di una burocrazia che elargirà sovvenzioni a questo o quel Paese, con tutto ciò che segue.

Dico queste cose perché io amo l’Europa; l’amo con il patriottismo di chi ne riconosce i valori più alti.

E’ triste che si debba addirittura discutere di un sistema di integrazione economica, che è quanto di più illiberale, nella più ampia accezione del termine, secondo il concetto europeo di libertà.
Un nazionalismo, un dirigismo economico continentale non rappresentano certo un progresso rispetto al nazionalismo e al dirigismo delle singole nazioni, anzi, un netto regresso, poiché a quel livello quei due sistemi possono svilupparsi molto più sfrenatamente.
Dovremmo trovarci in pieno disaccordo coi tecnocrati, che vogliono costruire l’Europa su un tavolo da disegno e farne, in nome del progresso tecnico, un organismo colossale.

Vogliamo veramente tutto ciò?”

Da: Jenseits von Angebot und Nachfrage (1958).

L’autore è reperibile in Italia grazie all’opera delle case editrici Rubbettino, Armando e Il Mulino.

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Redazione SANATZIONE.EU

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