Industria: cosa sono le essenzialità energetiche? Servono realmente all’economia sarda?

Di Adriano Bomboi.

Economia: Il tema dell’industria e dell’energia in Sardegna presenta complesse dinamiche di analisi, ragion per cui cercherò di sintetizzare i punti più rilevanti affinché anche i lettori meno esperti possano capire la situazione.

Le cosiddette “essenzialità energetiche” sono dei contributi pagati da tutti i cittadini tramite le bollette. Questi soldi vengono poi utilizzati per consentire a delle industrie del territorio – quelle che si occupano di produzione energetica – di poterlo fare in condizioni agevolate.

Molti di voi sapranno che in Sardegna il costo dell’energia è superiore a quello di altre Regioni, nonostante la nostra isola produca più energia del suo fabbisogno civile ed industriale. Le essenzialità servono ad abbassare questa maggiorazione dei costi solo nei confronti di chi produce energia. Ciò che però i politici non vi spiegano sono le risposte alle seguenti domande: perché abbiamo tale maggiorazione dei costi? Le essenzialità sono l’unico strumento per abbatterli? Senza essenzialità avremmo solo negative ricadute occupazionali?

In Sardegna i costi energetici sono più elevati per una serie di ragioni. Una di queste è la scarsa diversificazione delle fonti di approvvigionamento e produzione energetica dell’isola. La maggior parte di questo indotto deriva dal lavoro del petrolchimico di Sarroch, la Saras. Un’azienda che a sua volta controlla la Sarlux, che produce gas ed energia elettrica derivanti dagli scarti di raffinazione della Saras. Un’altra ragione è l’assenza di una rete di metano alternativa alla produzione Sarlux (infatti dire di no a qualsiasi nuovo metanodotto, che sia dall’Algeria o da Piombino, od a navi metaniere, equivale a giustificare l’oligopolio Sarlux). Un’altra ragione ancora è che le energie rinnovabili non sono ancora in grado di coprire il fabbisogno della grande produzione industriale, inclusa quella energetica, e se non vogliamo ritrovarci dall’oggi al domani con centinaia di nuovi disoccupati a cui elargire cassa integrazione e sussidi vari, occorre trovare soluzioni per tamponare il problema e governare la transizione della Sardegna verso un tessuto produttivo più virtuoso ed eco-sostenibile. Altre aziende di produzione energetica, come Ottana Energia od E.On di Porto Torres, in assenza di nuove reti di approvvigionamento, sopravvivono quindi grazie alle essenzialità.

Di recente l’Authority italiana per l’energia ha deciso di prorogare solo fino al 31 dicembre 2015 il regime di essenzialità, dietro proposta di Terna: la società che si occupa della gestione della rete elettrica. La motivazione è che la produzione di aziende come quella di Porto Torres ed Ottana non sarebbe più necessaria per garantire la stabilità del fabbisogno civile ed industriale dell’isola. In altri termini, nessuno le obbliga a chiudere, ma non avrebbero più il diritto di pretendere agevolazioni pagate dai contribuenti in quanto il loro prodotto è costoso e non indispensabile. Se vorranno rimanere in pista dovranno farlo solo in base alle condizioni di mercato, reggendosi sulle proprie gambe.
Ciò che nessuno vi racconterà è che tali aziende sono più onerose perché presentano vari gradi di obsolescenza degli impianti (ved. studi di Codonesu 2013). Gli imprenditori del settore, abituati a ricevere aiuti pubblici piuttosto che investire in innovazione, preferiscono usare lo spauracchio dei licenziamenti come arma con cui ricattare il ceto politico alla prosecuzione degli aiuti. A loro volta, i politici ritengono opportuno tutelare il proprio consenso politico, che garantisce loro la rielezione, assecondando tali ricatti. Questa dinamica, tipica delle economie arretrate da decenni di overdose assistenziale, spinge le istituzioni a salvaguardare modelli fallimentari di programmazione economica, magari travestiti da “sardismo”, che finiscono per bruciare ricchezza a vantaggio di pochi ed a scapito di tanti. E perché a scapito di tanti? In primo luogo perché tutti pagano di tasca propria il mantenimento di aziende che, in tali condizioni, non avrebbero bisogno. In secondo luogo, ma non meno importante, è che il regime di aiuti alimenta un triplo binario di problemi: il primo è che, così come accade nei trasporti marittimi, se qualcuno riceve aiuti pubblici impedisce automaticamente pure a chi ha capitali propri di investire nello stesso territorio, accentrando su di sé un potere negoziale che un libero mercato non gli avrebbe mai conferito. Il secondo è che, proprio in assenza di vera concorrenza, tali imprenditori non devono preoccuparsi di innovare la propria filiera, livellando verso il basso le loro prestazioni. Il terzo è che il mantenimento degli alti costi di mercato in ambito energetico danneggia tutto il settore civile, commerciale e manifatturiero che potrebbe approvvigionarsi di energia a prezzi più contenuti, ed impedisce a terzi di investirvi.

La risultante finale di questo processo è che per tenere un lavoro che brucia ricchezza a favore di poche centinaia di persone ne bruciamo le opportunità per altre migliaia in rapporto alle imprese che ogni mese nell’isola chiudono i battenti per gli alti costi che devono sopportare, e con i mancati investimenti di terze ulteriori aziende che avrebbero potuto insediarsi nel territorio e persino ricollocare il personale di quelle eventualmente fallite.

Come salvare i lavoratori dipendenti ed autonomi del presente e allo stesso tempo stimolare gli investimenti di quelli potenziali? Attraverso misure impopolari ad una politica basata sul clientelismo. Misure che non garantiscono immediate ricadute di immagine: ad esempio riducendo fisco e burocrazia (e che richiederebbero il taglio della spesa pubblica); ad esempio sviluppando l’elettrodotto SAPEI tra l’isola e il continente sia in termini di import che di export energetico; ad esempio sviluppando un metanodotto con Piombino (vecchia idea sardista esistente dagli anni Ottanta e mai realizzata); ad esempio riformando ed ampliando i poteri della Regione Autonoma per dotarci di nostre Authority di garanzia distinte da quelle italiane (ma naturalmente l’indipendenza sarebbe la soluzione più efficace).

Una proroga del regime di essenzialità avrebbe ragione di esistere solo in funzione di una politica che si attiva in tali direzioni. Sfortunatamente i nostri politici ed i nostri sindacalisti, di destra o sinistra che siano, paiono limitarsi agli annunci, strumentalizzando le essenzialità non come misura temporanea ma permanente, rimandando nel tempo un inevitabile confronto con questa improduttiva realtà.

L’unico dato certo è che se vorremo sviluppare l’economia e la sovranità della Sardegna, queste non passeranno sicuramente attraverso la difesa di superflue cattedrali nel deserto ma attraverso un competitivo accesso al mercato dell’energia.
Se la politica intende veramente rendersi utile, dovrebbe comprendere che la scelta della strada più facile equivale anche alla strada che condurrà tutti verso il baratro. Chi sostiene il regime di essenzialità senza lavorare su una seria riforma del fisco e dell’infrastrutturazione del territorio ha una visione superficiale dei problemi. Ed ogni sardo dovrebbe chiedersi se lo stipendio che paghiamo a tali politici sia giustificabile o meno.

La Sardegna non ha bisogno di ecologisti radicali ma neppure di conservatori che agitano ridicole bandiere di responsabilità e il cui unico impegno pratico consiste nel cronicizzare i problemi.

- Anche su Cagliari Globalist.

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    1 Commento

    • L’articolo è in linea di massima condivisibile (anche da uno come me che fa parte di quel centinaio di privilegiati che lavora per tenere le lampadine accese).
      Mi preme fare qualche precisazione:
      la prima è che l’essenzialità è servita ad abbassare il costo del MWh alla vendita cioè facendolo scendere alla media nazionale (60€/MWh). Prezzo a cui non si sarebbe mai potuti scendere proprio a causa dell’ obsolescenza degli impianti, delle modalità di approvvigionamento e della mancanza del metano.
      Nonostante ciò le aziende hanno continuato a chiudere (a proposito io di tutti questi investitori scalpitanti a cui sono state tarpate le ali nn ho notizie).
      Adesso Terna per giustificare i suoi investimenti sulla sicurezza della rete va a togliere ciò che prima ha imposto, sicura del fatto che un eventuale disservizio nn creerà nessun problema ad aziende ormai chiuse da tempo.
      La seconda obiezione riguarda le rinnovabili.. queste le paghiamo noi cittadini e ben più care dell’ essenzialità. E le pagheremo ancora più care quando, finiti gli incentivi, ci rimarranno solo le carcasse da smantellare.
      Per quanto riguarda l’essenzialità come mezzo per arrivare a un assetto industriale più virtuoso nn posso che darti totalmente ragione.

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