Il caso Bellomonte e il terrorismo: ne parliamo con Cristiano Sabino (AMPI)

Di Bomboi Adriano.

Per quanto sia differente la linea e l’orientamento liberaldemocratico che contraddistingue la nostra associazione da A Manca pro s’Indipendentzia, non può venire meno l’attenzione verso una persona che da oltre 2 anni sta scontando una detenzione nel sistema carcerario italiano senza la possibilità di capire che cosa sta succedendo. Per quanti ancora non lo sapessero: chi è Bruno Bellomonte? Di quale crimine è accusato?

Bruno è accusato di voler riprendere la lotta armata nella formazione italiana denominata “Brigate Rosse” e in particolare di voler organizzare il bombardamento tramite velivoli radiocomandati delle navi che avrebbero ospitato i capi di stato degli otto paesi più industrializzati al vertice G8 che si sarebbe dovuto svolgere in Sardigna, a La Maddalena. Si tratta di una accusa doppiamente incredibile, da un punto di visto politico e da un punto di vista strettamente giudiziario. In primo luogo si accusa un dirigente indipendentista di partecipare alla costituzione di un’organizzazione italiana, in secondo luogo a carico di Bruno non esistono né provi né indizi. Accusare Bruno di far parte di una organizzazione politica italiana e addirittura di esserne uno dei promotori equivale a sostenere che Bruno non abbia intelligenza politica e non capisca che militare nel movimento di liberazione nazionale sardo è in aperta contraddizione con l’obbedire a logiche maturate in altri contesti. Il nostro è un partito che si basa sulla chiarezza e non sulla doppiezza!
Un indipendentista deve fare sempre salva l’autonomia politica nazionale, altrimenti risulta impossibile promuovere un progetto credibile e autenticamente nazionale.
Accusare un dirigente nazionale di aMpI di essere contemporaneamente esponente delle Brigate Rosse, di Sinistra Ecologia e Libertà o del Partito Democratico, significa accusare Bruno Bellomonte di non essere un comunista sardo onesto e probo. Come vedete si tratta di un attacco al cuore stesso della sua e nostra prassi politica, per inquinare alla falda ciò che in noi è puro: la chiarezza del nostro agire e pensare la politica.
Per quanto riguarda l’aspetto giudiziario non mi dilungo perché se n’è già parlato abbastanza: il processo è una farsa e l’accusa non ha niente in mano e non ha fatto nemmeno il tentativo di risultare credibile. Perfino il giudice a Latere (aspetto altamente eterodosso), durante il processo, ha chiesto più volte ai teste dell’accusa se vi fossero riscontri probatori senza ottenere risposte positive da parte dei testi.
L’obiettivo era evidentemente un altro.

La totalità dell’indipendentismo Sardo ha sempre rifiutato l’uso del terrorismo come strumento militare di rivendicazione politica. Motivazioni etiche, strategiche e politiche hanno indotto tutti i singoli e i movimenti organizzati a riconoscersi nei valori della democrazia e del riformismo. Che cosa intende quindi esattamente A Manca pro s’Indipendentzia quando parla di “rivoluzione”?

Se con il lemma «terrorismo» definite le pratiche della lotta armata utilizzate storicamente da diverse organizzazioni e formazioni rivoluzionarie credo che bisogni fare una precisazione iniziale:: credo che affrontare il dibattito sulla lotta armata in Sardigna oggi sia uno di quei discorsi che i filosofi pragmatisti americani definivano “metafisici”, ovvero totalmente privi di senso e di contenuti reali. Cosa indichiamo quando parliamo di “lotta armata in Sardegna”? Quali forze? Quali strategie? Quali obiettivi? Ovviamente nessuno, perché si tratta solo di aria fritta, visto che attualmente non esiste un dibattito politico sull’utilità della violenza nella lotta per l’indipendenza. Del resto chi parla in maniera maniaco-compulsiva della non-violenza lo fa evidentemente per allontanare da se le maglie della repressione, non per rispondere ad una posizione seriamente e coerentemente vicina alla lotta armata. Ma questo non ha niente a che fare con l’etica, con la strategia o con la politica. In mancanza di un dibattito reale sulla lotta armata, l’ostentazione pacifista e non-violenta è semplicemente una strategia retorica e pubblicitaria utile a far brillare il proprio movimento d’appartenenza. Io non discuto i valori altrui della non-violenza perché rispetto tutte le sensibilità interne al movimento di liberazione, ma sinceramente mi chiedo che senso abbia ad ogni passo alzare la mani e dichiarare di essere “pacifisti” mentre l’Italia devasta indisturbata la nostra terra e riduce a zero la nostra dignità di popolo? Vogliamo forse dichiarare che siamo inoffensivi? Credo che il movimento indipendentista abbia il dovere di utilizzare tutti gli spazi “democratici” e anche istituzionali a disposizione riportando la politica fra la gente e radicandola nelle nostre comunità. Questo è un metodo di azione politica ampiamente condiviso e fruttuoso. Del resto credo che non valga la pena neppure parlare, per lo meno non in questa fase.

Da un punto di vista politico generale sono consapevole che esiste un conflitto non mediabile tra gli interessi della parte lavoratrice del popolo sardo da un parte e dello stato italiano con le sue aree di consenso e di mediazione “sarda” dall’altra. Questo conflitto ha assunto nella storia molte forme. Nessuno possiede la palla di vetro e non possiamo dire come si manifesterà in futuro. Di sicuro quella che stiamo vivendo è una fase di maturazione e di accumulazione delle forze indipendentiste che stanno avviando un buon lavoro potenzialmente di massa e stanno proponendo di innescare un processo di cambiamento basato sull’esercizio della sovranità, che in altri termini è un processo di democratizzazione di una società fino ad oggi colonizzata e quindi impossibilitata ad esprimere una compiuta e reale democrazia popolare.

Il contributo di aMpI al processo di accumulazione di energie nazionali indipendentiste è chiaro dalle nostre tesi: fare in modo che sempre più ampie forze popolari e lavoratrici caratterizzino il percorso dell’autodeterminazione per impedire soluzioni semplicemente giuridiche o di vertice al conflitto stato italiano – nazione sarda.
Riteniamo che l’indipendenza sarda sia fin dalle sue premesse un processo rivoluzionario per tanti motivi, sia di carattere storico che geopolitico a livello statuale ed interstatuale scardinando potenzialmente equilibri e strutture di potere che facevano e fanno della nostra isola uno snodo fondamentale, ma soprattutto perché libera le forze produttive e sociali della nostra nazione oggi ingabbiate in una sterile e rigida economia di dipendenza basata sull’assistenzialismo. Questo processo è in corso e la sinistra indipendentista vuole fare in modo che le tensioni fra la nazione sarda e lo stato italiano non possano venire riassorbite e depotenziate da progetti moderati e mediatori. Secondo la nostra tesi politica l’indipendenza non sarà certo figlia del compromesso, ma della liberazione delle contraddizioni accumulate in decenni (se non in secoli) tra i reali bisogni delle classi produttive sarde e quelli del sistema coloniale.
La ragion d’essere della sinistra nazionale (aMpI) sta in questo scontro che deve ovviamente essere letto, interpretato, compreso, razionalizzato e veicolato verso un disegno politico costruttivo. Lo scontro fra nazione sarda e stato italiano non è aMpI, ma la dialettica fra lavoratori sardi e sistema coloniale italiano e la soluzione non potrà che essere quella di un rovesciamento rivoluzionario delle premesse coloniali: dipendenza, snazionalizzazione, improduttività, spopolamento, apatia collettiva.
Questa è la ragione per cui definiamo il processo per l’indipendenza un processo rivoluzionario e socialista, cioè rappresentativo di una forte rottura storica e a piena partecipazione della parte maggioritaria dei lavoratori sardi. Senza queste due premesse a nostro parere è anche superfluo parlare di «indipendenza», a meno che non si voglia semplicemente riverniciare la vecchia e sistemica categoria di «autonomia regionale».

Si dice che la qualità di uno Stato la si evinca dal trattamento che riserva ai suoi detenuti. Per quanto sia alta la nostra fiducia nella Magistratura Italiana, il caso Bellomonte ha portato a galla tutte le contraddizioni del sistema giudiziario italiano. Se i potenti ormai evitano persino i processi, i cittadini comuni li subiscono anche sul solo sospetto. Secondo il vostro punto di vista, a che punto è il procedimento contro Bellomonte? Ci sono prove a suo carico che giustifichino la carcerazione?

Come ho già detto non solo non ci sono prove, ma non ci sono nemmeno indizi o tracce di indizi. Ma non è questo il punto. Noi non abbiamo aperto un «fronte umanitario» sul caso Bruno, perché abbiamo una coscienza molto lucida sul carattere politico della persecuzione nei suoi confronti. Né a noi né a Bruno interessa fare la vittima dell’ingiustizia. Quelle che voi chiamate “contraddizioni” del sistema giudiziario italiano non sono in realtà altro che procedure normali per fiaccare e demoralizzare gli avversari di “sistema”. AmpI rappresenta un indipendentismo non compatibile e non riassorbibile. Da anni impostiamo la nostra linea politica sul solco della chiarezza e della rottura con l’intero blocco coloniale e ci facciamo promotori della costruzione di un polo di convergenza nazionale che sappia lavorare ad una alternativa alle centrali di potere politiche e sindacali in Sardigna. Come ho detto stiamo vivendo da ormai un decennio un periodo di accumulazione di forze, non solo noi ma tutto il movimento indipendentista. È ovvio che lo Stato cerchi di agire prima che si metta in moto un blocco d’insieme intellettuale, sociale e politico capace di far scricchiolare l’impalcatura dell’Italia nella nostra isola. Quale migliore strategia colpire la componente socialista del movimento, cercare di metterla all’angolo facendogli terra bruciata intorno e insieme fare breccia nell’opinione pubblica grazie al binomio indipendentismo-terrorismo?
Mi sembra una strategia anche troppo elementare. Ma come sappiamo i regimi in decadenza, per quanto feroci, non abbondano in creatività ed originalità!

A Manca pro s’Indipendentzia si è sempre battuta per un potenziamento dei diritti ai carcerati e per la territorialità della pena (ovvero la possibilità che l’imputato sconti il periodo di detenzione nella sua terra e vicino ai suoi cari). Quanto è stato rispettato questo principio nei riguardi di Bellomonte? E quanti sono i disagi della sua famiglia?

La lotta per la territorialità della pena che stiamo conducendo è paradossalmente una lotta legalitaria. Il sistema coloniale italiano risulta talmente tanto a briglia sciolta che non rispetta neppure le sue stesse leggi e lo Stato i patti e le intese con la “Regione autonoma”. Anche in questo caso abbiamo evitato di obliterare il carattere politico della vicenda di Bruno evitando accuratamente di porla su basi pietistiche. Bruno ha mantenuto altissima la dignità della sua carcerazione politica non stancandosi mai di denunciare che nella sua condizione di deportato ci sono circa 150 sardi che avrebbero per legge il diritto di stare nelle carceri sarde. La deportazione illegale e illegittima di Bruno e di tutti gli altri deportati sardi è pesantissima. Parliamo di persone lontano da casa, lontano dagli avvocati, dipendenti dalla struttura carceraria in tutto e per tutto e totalmente ostaggio di essa. Crediamo che il mancato rispetto della territorialità della pena sia un ulteriore indicatore del grado profondamente incivile e colonialistico dello Stato chiamato “Italia”.

Secondo il vostro punto di vista, ritenete di essere oggetto di una persecuzione politica? Oppure di un eccesso di cautela da parte degli organi inquirenti? O magari di qualche protagonismo sorto in un ambito minoritario della Magistratura Italiana?

Sinceramente non credo di poter essere in grado di dosare quanto nelle due operazioni condotte contro di noi (Arcadia 2006, Bellomonte 2009) entrino in gioco carrierismi di PM in ascesa e paranoie inquisitoriali tipiche di ogni sistema decadente e non vitale. Del resto non mi interessa neppure approfondire l’ipotesi abbastanza ridicola dell’«errore giudiziario» (avanzata dall’avvocato e politico italianista Elias Vacca all’epoca dell’operazione Arcadia e ripresa dalla parte radical della sinistra unionista). A me basta stare ai fatti. Da ormai cinque anni lo stato combatte una guerra a bassa intensità contro la parte sinistra del movimento di liberazione nazionale. Perquisizioni, pedinamenti, intercettazioni, minacce, arresti e deportazioni sono indicatori abbastanza chiari di quel che sto dicendo. Lo ripeto: l’obiettivo non è colpire aMpI in quanto tale, ma la proiezione a progetto che spaventa a morte gli analisti con formazione da buoni sociologi che animano i centri di comando dei servizi segreti italiani, i quali hanno del resto lanciato un allarme chiaro nei primi anni del 2000 attraverso la loro rivista ufficiale “Gnosis”: la Sardegna è un «laboratorio politico». Il progetto molto chiaro è quello di disarticolare od emarginare rendendola inoffensiva la parte sinistra del movimento di liberazione e costringere il resto degli indipendentisti a posizioni sempre più moderate ed integrabili. Una strategia che ha pagato negli anni ottanta ma che oggi sembra destinata ad assumere un effetto boomerang, perché la sinistra nazionale sembra uscirne ogni volta rafforzata.

Grazie.

Iscarica custu articulu in PDF

U.R.N. Sardinnya ONLINE – Nazionalisti Sardi

Be Sociable, Share!

    2 Commenti

    • Processo subito. Delle due l’una, o Bellomonte è un terrorista, e allora va processato e condannato, o non lo è. Il processo che mai inizia, la lunga carcerazione fuori, l’inutile sofferenza e angoscia causata alla famiglia mi fanno propendere per la seconda ipotesi. Si tratterebbe allora, probabilmente, di terrorismo di Stato.
      Spero che i giovani di AMpI continuino a mantenere i nervi saldi e non raccolgano provocazioni. La verità verrà fuori. Io non condivido l’impostazione ideologica di A manca e neppure un certo linguaggio. Ma il caso Bellomonte puzza, puzza parecchio e ciò mi irrita profondamente, per questo l’11 giugno ho partecipato alla manifestazione LIBERTADE PRO BRUNO INDIPENDENTISTA PRESONERI a Sassari. Voltaire mi ha insegnato il principio democratico del “detesto ciò che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo”.

    • Bruno Bellomonte è stato assolto.

    Commenta



    Per la pubblicazione i commenti dovranno essere approvati dalla Redazione.