Servitù militari: la confusione dell’ANS e le differenze con la Scozia

Oggi sul sito dell’Assemblea Nazionale Sarda è apparso un articolo che vorrebbe esplicare la posizione dell’organizzazione in materia di servitù militari nell’isola, ma con gravi mancanze.

Oltre ad elencare l’estensione del demanio, l’inquinamento e l’assenza di positive ricadute economiche delle installazioni militari, dati noti da tempo e pubblicati pure dal sottoscritto (Bomboi, Condaghes 2019), si notano nel testo una serie di problematiche, vediamo in breve le principali:

1) Ci sono dei grandi assenti, i militari e il loro lavoro. Può un’organizzazione che si definisce “nazionale” non includere tutte le categorie professionali e le loro esigenze? Inoltre, può un territorio – sovrano o non sovrano – non disporre di una difesa o non dibattere su questo argomento?
In Scozia da oltre un decennio queste domande hanno trovato una risposta, ed hanno dato la possibilità, anche a migliaia di militari scozzesi, di votare per una maggioranza indipendentista oggi guidata dall’SNP.

2) Nel testo vi è poi un ulteriore e grave errore politico, alquanto dilettantesco: in ragione di quanto detto al punto 1, purtroppo non si parla di contrasto all’estensione delle servitù, ma alle servitù stesse. Il compito di un’organizzazione politica dovrebbe essere quello di offrire una piattaforma programmatica destinata a mediare tra le parti sulla base del contesto corrente, non quello di assumere posizioni pregiudiziali, fintamente neutrali, per poi scaricare a data da destinarsi l’eventuale confronto sul destino di una difesa territoriale (“quando avremo il potere di decidere allora vedremo se…”. Sbagliato. Bisogna affrontare immediatamente i punti).
Questo elemento purtroppo denota anche l’assenza, nell’indipendentismo sardo, di una cultura diplomatica e di governo, retaggio del massimalismo di sinistra da cui proviene larga parte dei suoi animatori. Ricordiamoci che anche paesi neutrali come la Svizzera possiedono una Difesa e dunque basi, militari, armi e addestramento. L’ANS invece afferma: “Essere contro le basi significa intraprendere una lotta per l’autodeterminazione della propria terra, ossia difenderla e pretendere il diritto di decidere cosa farne.”
Da questo passaggio se ne deduce che non si ha una posizione sull’argomento, eccetto quella di contrastare un preciso settore. E che non si ritiene utile ascoltare, trattare e riformare assieme al resto della collettività e dei diretti interessati le esigenze del settore.

3) Questione bonifiche, solito problema. Nel testo si dice che, innanzitutto, le “forze occupanti” dovrebbero bonificare le aree utilizzate. Altro elemento retorico originato dal massimalismo sessantottino. Chi sarebbero le “forze occupanti” precisamente? I nostri fratelli, zii, padri e cugini militari sardi? Lo Stato Italiano di cui facciamo parte, anche se maldestramente e nocivamente ha gestito il nostro territorio? Gli alleati USA che ci hanno garantito decenni di sicurezza rispetto ad un regime totalitario come quello sovietico? O un ordine internazionale che ci ha garantito la nascita di un’Europa politicamente ed economicamente coesa? Certo, le bonifiche vanno effettuate, ma occhio alla retorica, alle parole e alle accuse utilizzate. Perché su questi presupposti non si costruisce alcuna seria proposta politica.

4) La Sardegna si è storicamente e geograficamente trovata in una posizione strategica, all’epoca della guerra fredda, necessaria per monitorare, ed eventualmente frenare, le mire del Patto di Varsavia nel Mediterraneo occidentale. Ha senso oggi rivangare il passato, con sottese finalità ideologiche antiamericane, per limitare le basi nel presente? Pensate al passaggio del testo su quella che da decenni in Sardegna è una leggenda metropolitana, il presunto “rapporto CIA sul mangime da offrire a sardi e italiani” per l’allocazione delle installazioni (e che nel testo ha come fonte di provenienza una tesi di laurea…).

5) In diretta conseguenza di quanto affermato, l’ANS ritiene poi impropriamente che i sardi sarebbero contrari alla presenza militare. Ma le proteste, come noto, riguardano solamente gli ambienti antimilitaristi e indipendentisti dell’isola, non esiste alcun moto sociale di ribellione alle basi, e citare ossessivamente i fatti di Pratobello non muterà la realtà. Nella realtà il tema basi non interessa alla maggioranza dei sardi (che va trattato come sottoprodotto della generale crisi economica locale a cui anche l’indipendentismo dovrebbe offrire soluzioni), ed interessa principalmente agli indipendentisti per ragioni ideologiche (se per ipotesi domani sparissero tutte le basi, ad un indipendentismo prevalentemente di sinistra verrebbe meno una delle essenziali ragioni del suo agire, trovando scarso interesse in altri argomenti di alto rilievo, come quello delle riforme istituzionali).

P.S. Il Comitato Paritetico sulle servitù militari ha oggi frenato le attività di esercitazione militare in quanto incompatibili con l’area ambientale SIC (notate bene, elemento su cui sviluppare un’azione politica tesa a ridurre il volume e l’allocazione dei poligoni sardi, senza necessariamente mettere in discussione l’assetto delle alleanze internazionali e il necessario addestramento dei nostri militari).
Un tema che dovrebbe portarci a pretendere un’equa condivisione di questa responsabilità con altre Regioni d’Italia.

In Scozia, contesto profondamente diverso dal nostro, i quadri dirigenti SNP sono andati oltre, programmando persino una permanenza del paese nella NATO, in caso di indipendenza da Londra, seppur senza armi nucleari sul proprio territorio (sul modello danese e norvegese). E questo è avvenuto sulla base di tre esigenze:

A) sul piano politico, a differenza dell’articolo dell’ANS, il documento sulla Difesa è stato votato dalla maggioranza dei membri dell’assemblea per assicurare una posizione plurale e democratica sulla linea da portare avanti. Si pensi alla storica conferenza del 2012, capitanata da Alex Salmond; B) la leadership del partito scozzese ha compreso che costruire una sovranità, nel XXI° secolo, richiede imperativamente l’assunto di non alterare l’ordine internazionale esistente (a maggior ragione dovrebbe capirlo un’Assemblea Nazionale, che non è un partito, ma un organo plurale e collegiale); C) un’ipotetica indipendenza scozzese, quand’anche dovesse arrivare nei prossimi trent’anni, dovrebbe garantire la difesa della propria nazione, che non verrebbe più garantita da Londra. E che nel mondo contemporaneo, per essere efficace ed efficiente, richiede tecnologie sempre più costose e avanzate, il cui impatto sui conti pubblici può essere in parte assorbito dall’appartenenza ad una difesa collettiva che rappresenti tutti i partner democratici e commerciali occidentali (come la NATO, per l’appunto).

Riflettiamoci bene.

Di Adriano Bomboi.

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U.R.N. Sardinnya ONLINE

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